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di Alessio Pracanica
“C’è chi dice che faranno il ponte sullo Stretto,
se la mafia approverà il progetto.”
(Elle - Vincenzo Spampinato)

Racconta Plinio il Vecchio che il primo e finora unico, ponte sullo Stretto di Messina venne costruito nel 211 a.C. dal console Lucio Cecilio Metello, con botti e barche, per condurre a Roma gli elefanti catturati durante la prima Guerra Punica.
Passate le bestie, la mirabile opera venne smantellata, perché essendo a pelo d’acqua impediva la navigazione.
Non sappiamo quanto sia costata, ma volendo credere al solito Plinio, tra i propositi di Lucio Metello c’era quello di pecuniam magnam bono modo invenire, diventare ricco con mezzi leciti.
Uno così, insomma, non dovrebbe aver lucrato sugli appalti pubblici e comunque, quand’anche fosse, dopo ventidue secoli è più che legittimo invocare la prescrizione.
Muovendosi verso tempi più recenti, più nulla accade fino al medioevo, quando l’idea del ponte torna a solleticare le fantasie di molti illustri personaggi, come Carlo Magno e Roberto d’Altavilla. Ma una simile realizzazione, con tutte le difficoltà dovute alla lunghezza dell’opera e alle forti correnti, è impresa impossibile per le tecnologie dell’epoca.
Altri lunghi secoli di oblio e arriviamo così alle fine dell’Ottocento, con il fiorire di immaginifici progetti, degni di un Jules Verne. Ponti a cinque campate, tunnel di venti chilometri e giganteschi tubi d’acciaio da posare sul fondo marino.
Ci penserà il terremoto del 1908 a mitigare certi focosi futurismi, ricordando ai geniali genieri che con il rischio sismico c’è poco da scherzare.
Passate le due guerre mondiali, durante le quali c’erano forse altre più immediate necessità, la proposta viene rilanciata da alcuni gruppi privati e solo nel 1968 il Ministero dei Lavori Pubblici bandisce un Concorso Internazionale di Idee, per l’attraversamento stradale e ferroviario dello Stretto di Messina.
Le idee, si sa, sono merce preziosa, difatti il Concorso prevede, tra primi e secondi premi ex aequo, la bella somma di 108 milioni di lire, equivalente a un odierno milione di euro.
Briciole, rispetto a quello che verrà.
Veniamo infatti al 1971, anno in cui il governo Colombo approva la legge 1158 per la creazione di una società statale che dovrebbe occuparsi di progettare e realizzare il tanto sospirato ponte.
La società, per gli incomprensibili ritardi di certa ottusa burocrazia, vede la luce solo dieci anni più tardi.
Nasce così la Stretto di Messina S.p.A.
Ben più di una semplice sigla. Un segnale di riscossa per il vilipeso sud. Una fiaccola di speranza, alta nel cielo dei Lavori Pubblici, a indicare la rotta verso il meritato sviluppo.
E perché sia chiaro a tutti che altrove si chiacchiera a quaggiù si concretizza, viene chiamato a presiederla uno dei più grandi esperti mondiali di pontificazione.
L’onorevole Nino Calarco, giornalista, direttore della Gazzetta del Sud e soprattutto democristiano di provata fede.
Naturale che le fiaccole siano ancora più costose delle idee, soprattutto in Italia.
Forse per questo, secondo la Corte dei Conti, la società Stretto di Messina è costata ai contribuenti:

74 milioni di euro per studi di fattibilità, ricerca e progetto di massima;

91 milioni di euro per progetto preliminare e atti di convenzione;

147 milioni di euro per gare, piano finanziario, sistemi informativi e gestionali;

160 milioni per la sospensione delle attività (sic);

172 milioni per accordi con i contraenti, aggiornamento delle convenzioni e del piano finanziario;

312 milioni per progetto definitivo, monitoraggio ambientale e stipula dell’atto aggiuntivo;

Per un totale di quasi un miliardo di euro.

Dopo anni di immane e tangibile lavoro, nel 2013 la società è posta in liquidazione, in seguito alla decisione del governo Monti di annullare la costruzione del ponte.
Viene perciò nominato un commissario, che si incaricherà di assolvere al triste compito entro dodici mesi, per il modico compenso di 160mila euro annui.
Fatto sta che, vuoi per una cosa, vuoi per un’altra, la Stretto di Messina S.p.A. gode ancora di ottima salute.
Nonostante la Corte dei Conti insista per la chiusura, argomentando che così, oltre a cancellare i costi, decadrebbe qualsiasi ipotesi risarcitoria.
Perché, nel frattempo, le due società inizialmente incaricate della costruzione, Eurolink e Parson Trasportation Group, hanno fatto causa allo stato, chiedendo risarcimenti per 700 e 200 milioni di euro.
Dulcis in fundo, è stata la stessa Stretto di Messina S.p.A. a citare in giudizio il ministero delle Infrastrutture, chiedendo un risarcimento di 325.760.660 euro, per la mancata realizzazione dell’opera. Lo stato che fa causa a sé stesso. Un guazzabuglio giuridico.
Eppure sull’argomento si è chiaramente espressa l’Avvocatura Generale dello Stato spiegando che “la pendenza giudiziale non impedisce la conclusione della fase di liquidazione… Appare, peraltro, evidente che la determinazione di procedere alla chiusura della liquidazione è atto proprio del commissario liquidatore…”
Niente. La società continua a gravare sull’erario, per una cifra compresa tra 1 e 2 milioni di euro l’anno.
Commissario incluso, ovviamente, che prosegue imperterrito, dal 2013, nella sua lenta, ma inesorabile azione liquidatrice.
Senza aver mai chiesto, bisogna riconoscerlo, un aumento di stipendio.
Si chiama Vincenzo Fortunato ed è stato, a suo tempo, capo di gabinetto del ministro Tremonti.
Nomina sunt omina, direbbe Plinio. I nomi sono presagi.
Immemori di questi prodigiosi trascorsi, a intervalli regolari i politici italiani si avvicendano nel proporre la costruzione del Ponte, presentandola ogni volta come idea nuova e risolutiva di ogni problema, individuale e collettivo.
Come non ricordare, a tal proposito, le immortali parole del presidente Berlusconi, che tanti anni fa, in un comizio effettuato proprio in riva allo Stretto, fece due solenni promesse.
La prima era quella di prestare diversi giocatori del Milan al Messina Calcio, che languiva in fondo alla classifica. La seconda era di costruire il Ponte, perché così, se uno ha un’amante dall'altra parte dello Stretto, potrà andarci anche alle quattro del mattino, senza aspettare i traghetti.
Motivazione di immensa forza morale, in grado scuotere anche le coscienze più sorde e retrive.
Aveva promesso anche di sconfiggere il cancro, ma purtroppo il destino cinico, baro e comunista, si è opposto alla realizzazione di questi lungimiranti disegni.
Così il cancro continua a mietere vittime e il Messina Calcio è retrocesso più volte, finendo in serie D. Quanto agli amanti divisi dalle acque, si spera abbiano trovato modi alternativi per relazionarsi.
Ma l’Idea del Ponte resiste. Come la Forza degli Jedi, scorre potente in certe famiglie.
Non a caso, l’ultima proposta arriva dalla voce di Matteo Renzi. Considerato da molti il miglior interprete della nouvelle vague berlusconista. Il celebre senatore infatti, presentando la sua ultima fatica letteraria, ha dichiarato che “il Ponte va fatto prima possibile”.
Ora, subito, ieri.
Affermazione che ha riscosso il tiepido interesse nel governo e vasti consensi nell’opposizione, da Salvini a Stefania Prestigiacomo. Senza dimenticare il grande entusiasmo suscitato in Maria Stella Gelmini, che riteniamo abbia a cuore, per comprensibili motivi personali, soprattutto il progetto del tunnel.
Spiace dunque dover ribadire un diniego, scoraggiando animi sì generosi e disinteressati, ma a Messina il Ponte c’è già.
Anzi, sarebbe il caso di sfruttarlo come risorsa turistica, portando legioni di crocieristi in riva al mare, per ammirarlo.
Eccolo là! Non lo vedete?
Con tanto di guide che illustrano le mirabolanti soluzioni architettoniche partorite dall’ingegno italico. Le agili, ma solide campate, il tunnel sottomarino, i pilastri eolici.
Ci si potrebbero guadagnare bei soldini.
Come? Non si vede niente?
Ma è proprio quella la trovata più ingegnosa. La più antisismica ed ecologica delle soluzioni.
Di ponti, più o meno belli, lunghi o corti, innovativi o monumentali è pieno il mondo. Da Brooklyn al Bosforo, dall’Arno al Tamigi, da Kobe a Mostar. Tutti perfettamente visibili e attraversabili.
Evidenti quanto banali prerogative, che a far ponti così, sono capaci cani e porci.
Ma un ponte inesistente, costato un miliardo di euro, ce l’abbiamo solo noi.
E ce lo teniamo Stretto.

In foto: il plastico presentato nel 2011 del Ponte sullo Stretto di Messina © Imagoeconomica

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