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orioles-riccardo-web1di Riccardo Orioles - 19 marzo 2015
Signor Presidente,
il quotidiano La Sicilia non è “la voce delle forze impegnate nella legalità”; Lei sbaglia a dirlo. La Sicilia non è stata af­fatto, e non è tuttora, voce d’impegno civile, ma esattamen­te l’opposto.

Ha combattuto Scidà, ha esaltato i Cavalieri, ha in­timidito penti­ti, ha insultato Beppe Montana e Giuseppe Fava. Ha ospita­to dei boss, sulle sue pagine e fisicamente. E in questo preciso momen­to essa è inquisita – in persona del suo proprietario – per eventua­le collusione con mafiosi. È inquisita da magistrati che di­pendono dal Csm, di cui Lei – signor Presidente – è il massi­mo garante. Son giudici coraggiosi, devoti all’ordine, e non ter­ranno conto delle Sue parole. Ma se non lo fossero sta­ti? Se esse, senza volerlo, avessero poi contribuito a salvare un reo?

Se sotto indagine fosse stato un santo, Lei avrebbe do­vuto esi­tare a parlare – in bene o in male – di questo santo: per scrupo­lo, per timor d’influire anche minimamente nel giudicato. E qua non si trattava d’un santo, come Catania sa bene.

Scriviamo queste parole non con polemica, non col tono che avremmo usato per un Napolitano o un Cossiga, ma – signor Presidente – con dolore. Lei non è uno dei tanti politici, Lei è dei nostri. Di noi che per decenni abbiamo combattuto – ma que­sto è il meno – e che abbiamo dovuto chiamare generazioni di giovani a lottare e a soffrire insieme a noi, chiedendo sacrifici e offrendo pericoli, con l’unica ricompensa di servir fedelmente ciò a cui Lei, salendo alla nostra Repubblica, ha giurato.

Mai più, signor Presidente. Mai più di questi dolori.

Tratto da: isiciliani.it

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