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Non si tratta con i mafiosi

«Vi sono stati nuovi tentativi di dissociazione da parte dei boss mafiosi detenuti». Lo ha riferito il procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna durante la recente audizione presso la Commissione Antimafia. Durante i colloqui investigativi - ha spiegato Vigna - i boss hanno manifestato la loro volontà di prendere le distanze dall’organizzazione criminale e di riconoscere l’autorità dello Stato in cambio di benefici carcerari ed eventualmente una prospettiva di vita con il reinserimento nel tessuto sociale. 
Secca la risposta del presidente Centaro: «io conosco solo la legge sui collaboratori di giustizia. La dissociazione non esiste giuridicamente. Eppure poi non capisco quali sarebbero i vantaggi per lo Stato se i «dissociati» dicono di non essere disposti a denunciare gli autori dei reati. Condivido quanto detto da Vigna in commissione: non ci possono essere trattative con i mafiosi».
Non è dello stesso avviso l’avvocato Carlo Taormina che invece caldeggia l’iniziativa dei detenuti: «I tentativi di dissociazione devono essere raccolti e va abolito anche il carcere duro, perché è servito fino ad oggi a costruire batterie di pentiti».
Dalla trincea di Palermo arrivano i commenti del procuratore Grasso e dell’aggiunto Lo Forte che dichiarano di non essere in possesso di alcuna informazione riguardo a concrete proposte avanzate dai boss.
Sempre durante il suo intervento in Commissione Vigna ha reso noti i numeri della mafia. 310 i latitanti in Italia, venti dei quali inseriti nel programma speciale di ricerca del Viminale, i più famosi, Bernardo Provenzano e Graziano Cubeddu la cui cattura è affidata sia alla polizia che ai carabinieri. In particolare 88 latitanti appartengono alla criminalità sicula, 97 a quella calabrese, 100 a quella campana, 5 alla Puglia, 10 alla Sardegna, 10 non sono classificati. I più pericolosi sono 100. Di questi, 33 sono della Sicilia, 27 della Calabria, 20 della Campania, 10 della Puglia e 10 della Sardegna.
In tema di strategie di indagini il procuratore denuncia che spesso si verificano interferenze e quindi «bisognerebbe affidare la competenza della cattura di un latitante ad un singolo magistrato che diventa titolare dell’azione».
In proposito ha rassicurato il Procuratore capo di Palermo, Piero Grasso, «Di fatto il mio ufficio applica già questa modalità di lavoro. Ad ogni latitante corrisponde un magistrato che coordina le ricerche». A.P.

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