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Indice articoli

L'intervista al magistrato Guido Lo Forte
Dissociazione, la carta vincente dei boss
di Giorgio Bongiovanni



Procuratore Lo Forte, nella storia di Cosa Nostra, si è sentito parlare spesso di trattativa. In particolare nell’ultimo decennio ci si riferisce a quella che sarebbe intercorsa tra Mafia e Stato nel cosiddetto biennio stragista del ‘92-’93. Oggi sentiamo parlare di dissociazione, cioè della manifestata volontà di alcuni boss mafiosi che in cambio della presa di posizione ufficiale di allontanamento da Cosa Nostra vorrebbero godere di benefici carcerari. Esiste un nesso tra questi due tentativi di «trattare»? Se sì come si collegano fra di loro?
Io ho l’obbligo di definire ogni cosa con parole precise. Quindi, comincerei con il distinguere gli eventi del ‘92-‘93 dalle iniziative riguardanti la dissociazione che si sono verificate in questi ultimi anni, e ulteriormente dalle voci ricorrenti su ipotetiche o ipotizzate trattative finalizzate alla cattura del più importante latitante di Cosa Nostra attuale, Bernardo Provenzano. Poiché le indicazioni sulle trattative del ’92-’93 derivano dalle dichiarazioni di alcuni collaboranti, debbono ancora esser completamente verificate e quindi non possiamo definire quei fatti come «trattativa» tout court. Le iniziative sulla dissociazione invece sono fatti sui quali possiamo ragionare e compiere delle valutazioni, mentre quelle relative alla cattura del boss latitante sono affidate soltanto a voci ricorrenti, ma non c’é assolutamente nulla di oggettivamente verificabile.
A partire da ciò che concerne Salvatore Riina e la sua cattura, volendo sinteticamente definire con esattezza ciò che é avvenuto, Giovanni Brusca riferiva che Leoluca Bagarella aveva forti sospetti circa la possibilità che l’arresto fosse stato in qualche modo favorito da Bernardo Provenzano o da uomini a lui vicini. Noi sappiamo solo che Bagarella avviò indagini interne e che Francesco Brugnano, legato alla famiglia di Partinico, fu in rapporti confidenziali con il maresciallo Antonino Lombardo e per tanto fu soppresso dopo aver subito un interrogatorio di Cosa Nostra allo scopo di verificare proprio questi sospetti.
Brusca spiega di essere stato a conoscenza della sorte che spettava a Brugnano, si riprometteva di partecipare lui stesso a questa operazione poiché aveva un interesse a sentire Brugnano, ma questa azione delittuosa fu fatta improvvisamente, senza preavvertirlo e ciò alimentò il suo presentimento che qualcuno, sempre all’interno di Cosa Nostra, volesse impedirgli di conoscere i fatti. Queste sono le voci dentro Cosa Nostra. A noi magistrati risulta oggettivamente che Riina – perché bisogna essere chiari su questo punto – sia stato catturato al termine di un’operazione di ricerca, di monitoraggio dei luoghi e di paziente investigazione: una azione brillante e vorrei sottolineare a questo proposito il ruolo del Capitano Ultimo. Quindi un’importante, notevole contributo ad una delle fasi essenziali della lotta alla mafia. Poi si é parlato anche di trattativa con riferimento al periodo compreso fra le stragi del ’92 e quelle del ’93.
Io qui posso limitarmi semplicemente a ricordare quello che é stato ricostruito nella sentenza della Corte di Assise di Firenze che ha definito, in primo grado, il processo agli autori delle stragi del ’93, nel cui ambito effettivamente é stato verificato che Cosa Nostra trasmise, forse attraverso Vito Ciancimino, –sull’individuazione dei canali c’é qualche dubbio – dei segnali volti a cercare una trattativa, un accordo, un patto di dout ut des con lo Stato. Cosa sia effettivamente avvenuto nei dettagli, é ancora da verificare, ove ciò sarà possibile. Indubbiamente, però, Cosa Nostra tentò di avviare questa trattativa.
Se questa ci sia stata o no, non ebbe un esito favorevole per la mafia. Tutto quello che accadde dopo é storia.
Per quanto invece attiene le ultime voci concernenti la cattura di Bernardo Provenzano, debbo dire sinceramente che non ne comprendo l’origine.
Siccome conosco quali siano l’intensità, la professionalità e la forza dell’impegno profuso da tutte le forze dell’ordine, in particolare dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri con la piena collaborazione della magistratura, nell’osservanza di tutte le regole che l’ordinamento prevede per la cattura dei latitanti, mi domando quale possa essere la finalità di queste indiscrezioni.

Potrebbe essere una strategia di Cosa Nostra?

Penso che Cosa Nostra possa avere anche interesse a non confutarle, piuttosto ad alimentarle, perché tutto sommato l’idea che un importante capo di Cosa Nostra (si veda il caso Riina) possa essere catturato soltanto a seguito di una decisione interna all’organizzazione, non fa che accrescerne il prestigio, sia perché sminuisce l’eventuale importanza del successo dello Stato sia perché consolida l’idea che i capi abbiano dei canali di colloquio con le istituzioni.
Questa é una cosa estremamente importante, poiché la forza di Cosa Nostra in particolare, negli anni, é stata alimentata, oltre che dalla sua capacità militare e dal suo buon modello organizzativo interno, proprio della convinzione di una potenziale impunità derivante dalla possibilità di dialogare ad alti livelli.
In ogni caso se ipotesi o tentativi di trattativa ci fossero stati o ci fossero, non verrebbero mai a conoscenza dei magistrati, perché si tratterebbe di una sfera rientrante, per così dire, nel concetto di «ragion di stato», ma non nelle comuni regole a cui la magistratura si attiene e deve attenersi.
La dissociazione, invece, é l’elemento più importante e più verificato. In effetti, c’é stato questo tentativo di uomini importanti di Cosa Nostra, ma non é una cosa affatto recente, poiché risale addirittura alla metà degli anni ’90.
Sostanzialmente si vorrebbe il riconoscimento di benefici attinenti sia al trattamento penale che penitenziario, sia alla confisca dei patrimoni che dovrebbero essere riconosciuti dal semplice atto di dissociarsi pubblicamente dall’organizzazione, ben si intenda, senza confessare nulla dei propri reati e, soprattutto, senza dover indicare nulla circa responsabilità di altri uomini d’onore e senza fornire alcuna informazione sullo stato attuale dell’organizzazione.
Questo tentativo é stato percorso, per esempio, da Salvatore Cucuzza, un importantissimo uomo d’onore, si pensi che é stato per un lungo periodo reggente del mandamento di Porta Nuova ed uno degli esecutori materiali, oggi reo confesso, dell’omicidio di Pio La Torre e di Rosario Di Salvo. Egli fece la proposta proprio alla Procura di Palermo. I magistrati che si occuparono di Cucuzza fecero immediatamente presente, con la massima chiarezza, che non si trattava di un percorso assolutamente attuabile perché la legge dello Stato non può prevedere alcun beneficio se non per chi, come i genuini collaboratori di giustizia, rechi un contributo attivo alla sconfitta dell’organizzazione Cosa Nostra. Cucuzza comprese e, successivamente, ha deciso di collaborare con la giustizia ed é divenuto, tra l’altro, uno dei collaboratori più affidabili fra i molti che ci sono.
Tuttavia, questa idea della dissociazione é stata spesso ripresa, anche in perfetta buona fede, e con nobili fini, dai più vari ambienti culturali. Io ricordo, per esempio, alcuni anni fa un intervento del vescovo di Acerra, a proposito della Camorra. Però questi punti di vista, che sono senza dubbio apprezzabili dal punto di vista morale, non sono condivisi da noi magistrati che ci occupiamo di questo fenomeno, poiché ci risulta che la dissociazione non sarebbe il frutto di un ripensamento morale, come si vorrebbe far credere ma, appunto, di un progetto di tipo politico di Cosa Nostra che mira, non al dissolvimento dell’organizzazione criminale attraverso la dissociazione, ma al suo rafforzamento.
Un altro degli uomini più importanti di Cosa Nostra, che in qualche modo nei suoi primi interrogatori si é proposto come soggetto ipoteticamente disponibile a dissociarsi, ma mai a collaborare poiché considerava la collaborazione attiva come un tradimento, come una condotta per lui moralmente non accettabile, é stato Pietro Aglieri. Un diverso esempio da decifrare con attenzione, perché espresso con comportamenti e con linguaggi più criptici, é venuto più di una volta da Pippo Calò, poi si é verificato come tutti sappiamo – ne hanno parlato pure le cronache –,  che altri influenti esponenti di Cosa Nostra chiedessero di poter avere colloqui all’interno del carcere al fine di verificare la disponibilità di altri codetenuti a praticare questa via.
Perché tutti i magistrati della Dda di Palermo hanno detto in tutti i comunicati e anche con note di carattere istituzionale e ufficiale che sono assolutamente contrari?
Perché riteniamo che si tratti di un progetto volto a rafforzare l’organizzazione. Innanzitutto abbiamo constatato che quando all’interno dell’organizzazione si ritiene di avere delle sponde all’esterno per far passare una legge come quella in questione diminuiscono immediatamente le collaborazioni. Il fenomeno si inaridisce poiché, sostanzialmente, oggi come oggi, se raffrontiamo la legge sui collaboratori di giustizia, entrata in vigore all’inizio dell’anno 2001, con le norme sulla dissociazione che dovrebbero essere approvate se andasse in porto una simile trattativa, ci accorgeremmo che i dissociati godrebbero di benefici uguali o maggiori di quelli riservati ai collaboratori di giustizia. Faccio un esempio: oltre che diminuzioni di pena e agevolazioni sul piano penitenziario, vi sono anche le norme relative al sequestro dei beni. Sarebbe facile, e del resto giuridicamente corretto, dopo una dichiarazione di dissociazione, escludere la pericolosità sociale del soggetto e quindi si arresterebbero le indagini volte ad individuare i patrimoni e a chiederne il sequestro tanto al dissociato quanto a tutti i suoi prestanome. Un trattamento di gran lunga più favorevole rispetto a quello riservato al pentito il quale ha, invece, per legge, l’obbligo di indicare all’autorità giudiziaria non soltanto i beni acquisiti illecitamente, ma pure i beni acquisiti lecitamente, la legge ne prevede il sequestro e soltanto in una fase successiva, peraltro non disciplinata dalla legge, si potrebbe anche arrivare alla restituzione di quelli legittimi. Questo che cosa significa? Significa introdurre un forte deterrente per la collaborazione con la giustizia e agevolare il fenomeno della dissociazione. Noi ci potremmo trovare in uno scenario in cui, sostanzialmente, gli uomini d’onore avrebbero tutto l’interesse non più a collaborare, e quindi a recare un contributo contro l’organizzazione criminale, ma avrebbero la possibilità, in extremis, quindi dopo essere stati condannati con sentenza definitiva ad una pena detentiva di notevole entità, di dissociarsi. Quindi, un sistema penale che oggi trova sempre maggiori difficoltà a combattere la mafia per una serie di ragioni di carattere tecnico e legislativo. Si inaridiscono progressivamente le fondamentali fonti di prova di cui si dispone nella lotta alla mafia: i collaboratori in primo luogo, ma non soltanto.
In una situazione di questa difficoltà, in cui é estremamente complicato ottenere una sentenza definitiva, e  ci vogliono in ogni caso molti e molti anni, l’unico vero rischio che corrono i mafiosi, di cui hanno veramente timore, é la condanna all’ergastolo, o una pena molto elevata corredata dall’applicazione dell’art. 41 bis. Questa é l’unica cosa che può far paura all’uomo d’onore, che può indurlo in qualche  modo ad un ripensamento, a collaborare con la giustizia.
Se perfino in questo caso si offre all’uomo d’onore una facile via d’uscita che é quella della dissociazione, quindi con l’esclusione del 41 bis, ulteriori riduzioni di pena, l’ammissione a tutti i benefici e la sostanziale tranquillità sul fronte del proprio patrimonio, non si fa che incoraggiare la ripresa dell’organizzazione e ripudiare, rinnegare il lavoro che si é fatto, anche difficile e drammatico, in quest’ultimo decennio e ritornare ad una situazione di convivenza o di patto di coesistenza tra lo Stato e la mafia, in cui lo Stato stabilisce certi confini oltre i quali la mafia non deve andare, ma rinuncia ad eliminarla definitivamente.

In occasione dell’apertura dell’anno giudiziario il Procuratore Generale Celesti ha prospettato l’inquietante ipotesi che Cosa Nostra possa ritornare ad usare la violenza. Mi chiedo, però: se venisse accordata ai mafiosi la possibilità di dissociarsi, l’organizzazione otterrebbe un enorme vantaggio, quindi per quale motivo dovrebbe alzare di nuovo il tiro?
L’unica cosa che io posso fare in questo momento é un’analisi di tipo logico, anche sulla base di esperienze del passato.
Ci sono dei fattori che inducono a non fidarsi troppo di questa ormai lunga e inconsueta pax mafiosa. L’esperienza storica dimostra che la «politica» di Cosa Nostra é determinata da due fattori. Il primo é, naturalmente, l’atteggiamento generale delle Istituzioni e della società nei confronti del fenomeno criminale perché é chiaro che una sottovalutazione o una estrema attenzione fanno la differenza. Il secondo, a cui tanto spesso, anche se é ovvio, non si pensa, é la situazione interna a Cosa Nostra.
Faccio un esempio: gli omicidi eccellenti e le stragi del ’92, secondo una ricostruzione giudiziaria abbastanza consolidata, sono avvenute quando la leadership suprema di Cosa Nostra é entrata in fortissima crisi poiché non é riuscita a ottenere tutte le assicurazioni che aveva dato al popolo degli uomini d’onore circa la loro impunità. I capi avevano garantito ai detenuti che prima o poi la loro situazione si sarebbe aggiustata, che il maxi processo sarebbe finito in una bolla di sapone, che, alla fine, in qualche modo le condanne sarebbero state annullate e si trattava solo di pazientare.
Queste promesse, per motivi complessi, non sono state mantenute, ne è derivata una fortissima perdita di credibilità, soprattutto per Salvatore Riina, che – se vogliamo usare una terminologia politica – come un leader politico, poteva scegliere se dimettersi o rilanciare. (Posto che in Cosa Nostra non esistono dimissioni, andarsene significa solo essere uccisi).
Salvatore Riina ha rilanciato con le stragi, cioé per riaffermare la sua leadership ha deciso di imboccare la via delle stragi. Falcone e Borsellino dovevano essere uccisi, Cosa Nostra ne aveva pronunciato la condanna da moltissimi anni, ma la scelta del momento in cui farlo é stata determinata da questa esigenza, poi le stragi del ’93.
Quindi il fallimento della trattativa ha decretato la fine di quella linea politica e l’instaurazione di quella nuova.
Se ripercorriamo il medesimo procedimento logico al quale l’organizzazione ha sempre fatto riferimento domandiamoci: dal 1995 in poi, dopo la cattura di Bagarella e dopo la cattura di Brusca, nel ’96, che cosa ha promesso la leadership di Provenzano?
Ha promesso che non con le bombe, non con il terrore, ma con il paziente sfruttamento di tutti i canali possibili e con una strategia di recupero del consenso attraverso gli affari, si sarebbero ottenuti dei risultati, vale a dire quanto era contenuto nel papello.

E non dobbiamo dimenticare che comunque ha mantenuto il suo potere, anche perché conta ancora su punti di riferimento esterni.
E’ potente. C’é quell’intercettazione ambientale avvenuta nell’estate del 2000, che posso citare perché ormai é stata utilizzata in un’ordinanza di custodia cautelare, quindi non é pi segreta, in cui risulta esserci stato un vertice di esponenti di Cosa Nostra – Bernardo Provenzano, Salvatore Lo Piccolo, Benedetto Spera – nel corso del quale si è considerato che, per il bene dell’organizzazione, bisognava in qualche modo «passar su agli errori del passato»; facendo riferimento con questa espressione alla politica stragista che si era rivelata sbagliata, e «ricostruire il giocattolo», cioé Cosa Nostra. Per cui bisognava trovare una soluzione che tenesse conto degli interessi di tutti. Questo é fondamentale.

Inoltre Provenzano avrebbe detto: <<Non é che mi possa mettere contro di loro>>, riferendosi a Riina e Bagarella. Significa che ancora questi detenuti in stretto regime carcerario hanno un potere a cui lui deve corrispondere?
Esatto, perché per adottare le decisioni bisogna comunque avere il consenso di quelli che stanno in carcere, con riferimento a Riina e Bagarella.

Quindi Provenzano, secondo lei, visto che non sapeva di essere intercettato, di fronte alla Cupola, alla Commissione di Cosa Nostra, riconosce ancora la leadership di Bagarella e Riina?
E’ un ragionamento logico nel senso che ci si rende conto che questa componente di Cosa Nostra ancora esiste, ancora ha dei rappresentanti all’interno delle carcere e al loro esterno, quindi  occorre tener conto in qualche misura degli interessi di tutti per poter ricostruire definitivamente l’organizzazione. E, d’altra parte, al di là di questa intercettazione di cui potremo discutere (il suo significato dovrà essere vagliato ed eventualmente confermato), c’é tutta un’altra serie di segnali dei quali non posso parlare analiticamente che certamente continuano a dimostrare a tutt’oggi la ricerca di un accordo e di un’intesa interna per far fronte alle esigenze anche quelli di coloro che sono stati condannati all’ergastolo, e che non hanno la possibilità di colloquiare con i loro familiari e vivono una situazione di estrema difficoltà.

Quindi la dissociazione sarebbe la soluzione definitiva, risolverebbe i problemi interni di Cosa Nostra e quindi ne rafforzerebbe la ricostruzione. Ma cosa potrebbe avvenire se non venissero soddisfatte le aspettative di tutti?
Potrebbe scatenarsi un conflitto interno dirompente.

Che nella storia di Cosa Nostra già si é verificato.
In un frangente simile si potrebbe verificare un altro fenomeno storicamente ricorrente: una nuova leadership che, tentando di scalzare la precedente, non ha saputo mantenere i suoi impegni e non ha saputo realizzare gli obiettivi di una politica propagandata in diversi anni, ricorre alla violenza. E non dobbiamo dimenticare che, talvolta, a questo scopo, si può dirigere la violenza contro gli esponenti delle Istituzioni.
Abbiamo alcuni esempi emblematici nella storia di Cosa Nostra.
Ci sono stati due omicidi gravissimi, all’inizio degli anni ’80, quello del Procuratore della Repubblica Gaetano Costa e quello del capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, il cui effetto é stato quello di dirigere la reazione dello Stato, peraltro giustissima, contro una componente di Cosa Nostra, quella degli Inzerillo, degli Spatola, dei Bontate che ha agevolato così il subentro della leadership dei Corleonesi. Questo é già avvenuto nel passato e può avvenire benissimo anche nel futuro.
Questo è in tutta probabilità quello che intendeva il Procuratore Generale. Siamo in presenza di fattori di crisi, di instabilità, di problemi irrisolti, non siamo ovviamente in grado di prevedere con certezza i futuri sviluppi dell’organizzazione, ma teniamo conto anche di tutto questo.
Vorrei tornare, a tal proposito, su quanto si diceva prima circa le voci ricorrenti che riferiscono di una trattativa per consegnare Bernardo Provenzano.
Trattative che, ribadisco, a noi non risultano. Si potrebbe anche ipotizzare che Provenzano, ancora prima di noi che disponiamo certamente di elementi minori rispetto a quelli di cui lui stesso dispone sulla situazione interna di Cosa Nostra, abbia pensato di poter prefigurare una sua personale via d’uscita, in caso di eventuale fallimento della sua politica. Consideriamo alcuni fatti: Provenzano vive in stato di latitanza da moltissimi anni; come tutti gli altri latitanti di Cosa Nostra, non ha vissuto, non vive e non vivrà una latitanza dorata in qualche grande albergo di un paese straniero, ma in condizioni disagiate, all’interno del territorio, perché un capo di Cosa Nostra può continuare a svolgere il suo lavoro soltanto se si tiene in stretto contatto con il proprio territorio. E’ anziano, sappiamo anche che ha bisogno di periodiche cure mediche e quindi certamente vive uno stato personale difficile, condiviso anche dai familiari e da coloro che gli sono più vicini dal punto di vista delle relazioni personali e patrimoniali, perché é evidente che tutti questi soggetti sono da anni sottoposti ad una pressione investigativa notevole, e continueranno ad esserlo. Se non dovessero maturare presto i frutti della sua politica, potrebbero assommarsi anche pericoli molto gravi, cioé potrebbero concretizzarsi quei fattori di dissenso interno che sono latenti. In questo caso, una via d’uscita per Provenzano, oggettivamente favorevole agli interessi dell’organizzazione, potrebbe essere il suo arresto. Chiaro che non sarebbe mai una costituzione, poiché questo non sarebbe concepibile per la psicologia di un capo come lui. Tutto questo poi  potrebbe anche determinare, tutto sommato, uno stato di maggior quiete per l’organizzazione criminale nel suo complesso, poiché, visto come vanno le cose nella società di oggi, in cui l’importanza della comunicazione é di gran lunga superiore all’importanza della realtà, l’arresto di colui che giustamente é considerato il più grande capo di Cosa Nostra, potrebbe anche ragionevolmente essere recepito dall’opinione pubblica come la fine di Cosa Nostra. Così si realizzerebbe quello che gli ecclesiastici che si occupano di questi temi definiscono come la più abile astuzia del diavolo: quella di far credere di non esistere. Ma, ripeto, qui siamo nelle ipotesi, nelle elucubrazioni, nel tentativo di comprendere tutti i possibili scenari futuri. E’ chiaro che non disponiamo di tutti gli elementi di conoscenza che sono necessari per un’analisi realmente affidabile.

A parte il vostro lavoro in prima linea, alla luce attuale dei fatti  non penso che si possa sostenere che il lavoro svolto da una certa parte politica non abbia e non stia favorendo Cosa Nostra. Quindi l’unica ragione che potrebbe indurre Provenzano e i suoi a cambiare strategia sarebbe di origine interna, visto che lo Stato non oppone nessun contrasto.
Ci sarebbe un modo più semplice per impedire gli attentati, sarebbe quello dell’unità, della coesione fra tutte le componenti dello Stato e della società. Quando questo si verifica non ci sono attentati, non ci sono omicidi eccellenti. Non sono io a dirlo, ma la storia. Cosa Nostra riesce a percepire la disunione e l’isolamento di alcune componenti dello Stato. Quindi basterebbe avere uno Stato forte, coeso e assolutamente concentrato a sconfiggere l’organizzazione. Quando questo si é verificato – in un breve periodo della nostra storia – ne abbiamo avuto il riscontro, nel senso che, messa da parte la politica delle stragi, gli uomini d’onore; non appena arrestati, a distanza di cinque minuti, decidevano di collaborare con la giustizia. Erano già consapevoli di aver perso la guerra, persa la propria battaglia individuale con la cattura, cedevano immediatamente, perché erano convinti di essere stati sconfitti. Poi qualcosa é cambiato, nel momento in cui hanno ricominciato a pensare non solo che la guerra non era perduta, ma che si poteva forse nuovamente vincere, allora la situazione si é ribaltata. Mentre prima c’erano moltissime collaborazioni e pochissime affiliazioni, perché i padri cercavano di evitare la combinazione in Cosa Nostra dei propri figli, adesso é tutto il contrario: sono finite le collaborazioni e aumentano le affiliazioni. Tutto questo non é nella realtà semplicissimo e schematico come io l’ho presentato per ragioni di comodità espositiva. Quindi, due cose possono eliminare per sempre il rischio degli attentati: o la sostanziale vittoria di Cosa Nostra, nel senso che Cosa Nostra raggiunge quell’insieme essenziale di garanzie di base per cui accetta un tipo di coesistenza limitatamente conflittuale, che, evidentemente, é nella natura delle cose o la vittoria dello Stato.
Invece, é la situazione di mezzo, che comporta sempre rischi e pericoli, tanto più se vi sono fratture all’interno dello Stato, quando cioè alcune delle sue componenti perseguono una linea di disarticolazione ed eliminazione di altre.

Tommaso Buscetta, prima di morire, avanzò una sua ipotesi, più o meno condivisibile. Disse che a suo parere Bernardo Provenzano stava colloquiando con qualcuno molto in alto a livello istituzionale. Lo desumeva dalle scelte «raffinate» che il capo di Cosa Nostra stava compiendo.

A mio avviso solo scoprendo il fitto mistero della «trattativa», ammesso che mai ci riusciremo, potremmo scoprire la vera ragione della battuta di arresto che ha subito il vostro lavoro e il motivo per cui Cosa Nostra ancora esiste. Io ipotizzo che l’elemento determinante di «trattativa» sia da ricercare nel grandissimo potere economico dell’organizzazione. Mi spiego. Cosa Nostra, tra affiliati, fiancheggiatori e prestanome, gestisce un impero economico ingente, tale da poter compromettere la stabilità del mezzogiorno e forse da aver potuto condizionare l’ingresso del nostro Paese in Europa... un potere contrattuale notevole. Quindi Provenzano potrebbe aver garantito la pace tanto militare quanto finanziaria e ottenuto il tornacornto necessario per far risorgere Cosa Nostra, altrimenti «muoia Sansone con tutti i Filistei».
Io non sono in grado di rispondere con precisione a questa domanda, poiché non ho gli elementi per farlo, però ho gli elementi per fare un ragionamento più semplice ritornando a quello che ha detto Buscetta. Questi, nel 1993, ha deciso di aprire un nuovo capitolo inedito della collaborazione con lo Stato perché, da mafioso, da profondo conoscitore anche dei rapporti risalenti alla mafia e a pezzi delle Istituzioni, aveva ritenuto che in Italia ci fosse stato un grande cambiamento dopo le stragi e aveva ritenuto che in quel momento era possibile una sconfitta della mafia. Aveva percepito i segni della reale maturazione della opinione pubblica.
Successivamente ha seguito, con strumenti di comprensione e di analisi più fini dei nostri perché evidentemente fornitigli dalla sua esperienza di uomo d’onore, l’ulteriore svolta ed è giunto alle conclusione che lei ha ricordato.
Personalmente io stento a credere ad incontri, a consigli di amministrazione che appartengono più all’iconografia, alla fantasia, un po’ ai miti della stessa cultura mafiosa, credo, invece, ad una cosa molto più reale: la convergenza di determinati interessi. Sono convinto che l’organizzazione criminale non riconosca formalmente sopra di sé dei superiori, é un’entità che ritiene di essere sovrana nel suo ambito. Ma, nello stesso tempo, é ben consapevole che, storicamente – e parliamo anche di cose molto antiche, perché non si capisce l’oggi senza riflettere sul passato –, ci sono state delle fasi in cui la ragion politica ha ricercato ed attuato alcuni patti con la mafia. Questo è avvenuto attraverso alcune mediazioni che, naturalmente, sono state a conoscenza soltanto di pochissimi esponenti di Cosa Nostra. Per fare dei nomi e cognomi: Gaetano Badalamenti, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano.
Io penso ad un tacito accordo tra poteri forti che mal sopportavano una sovrabbondanza di legalità nel nostro paese ed un altro potere forte che era l’organizzazione criminale Cosa Nostra che alla fine ha agevolato quest’ultima.
Ci sono state piuttosto delle condizioni generali in cui, oggettivamente, gli interessi di Cosa Nostra erano compatibili con interessi di altri poteri forti. E’ chiaro che ormai il sistema dell’economia illegale, a livello anche internazionale, é un sistema talmente forte che, difficilmente, può essere neutralizzato dai singoli stati. Proprio le ricerche di accordi a livello internazionale, la conferenza dell’ONU che ha trovato la sua sede proprio a Palermo in tempi recenti, la sensibilità manifestata da molti stati a ricercare accordi contro il crimine organizzato, é determinata appunto dalla perfetta consapevolezza che nel sistema economico mondiale in cui oggi viviamo, nessuno stato, ancorché forte, da solo può risolvere il problema della criminalità organizzata e dell’inquinamento dell’economia e del mercato. Soltanto un’alleanza tra gli stati può far questo. Quindi, é evidente che queste convergenze di interessi ci sono state, ci sono e continueranno ad esserci tra l’economia illegale globale e le singole organizzazioni criminali. E’ assolutamente corretto adoperare per definire questa situazione un’espressione che noi alla Procura di Palermo abbiamo adottato nel passato, quella dei sistemi criminali. Sappiamo benissimo che, specialmente negli anni ’92 e ’93 c’é stata una molteplicità di contatti tra le organizzazioni criminali fra loro e con settori dell’eversione nera, con settori della massoneria, ci sono stati progetti di ristrutturazione politica dello Stato maturati sulla base di questi agganci che, per nostra fortuna, non si sono realizzati, ma che hanno certamente potuto avere un’influenza in quegli anni sanguinosi. Siccome questi progetti non erano legati a condizioni che sono svanite ma, anzi, che si sono rafforzate – perché il sistema dell’economia criminale oggi é considerato a livello internazionale ancora più temibile che nel passato –, evidentemente, tutto questo può ancora avvenire e bisogna riflettere su un punto. Sconfiggere Cosa Nostra deve essere considerato ancora oggi, un interesse prioritario, poiché non significa semplicemente risolvere un problema locale di alcune regioni di un singolo paese, ma è una questione di democrazia, di inserimento forte e sicuro del nostro paese in una comunità internazionale che cerca di progredire; significa tutelare e proteggere il futuro da rischi, non soltanto nelle regioni meridionali, ma in tutta Italia e anche all’estero, che attentano proprio alla civiltà democratica e liberale.

Giorgio Bongiovanni




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