Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Intervista al pm Giuseppe Lombardo: a volere morto Di Matteo sono i capi invisibili della mafia

Con le sue inchieste ha sviscerato i complessi intrecci mafioso-politici e lobbysti toccando quei “fili” spesso definiti “dell’alta tensione”, oltre ad aver coordinato l'arresto di alcuni dei più importanti boss di 'Ndrangheta. Giuseppe Lombardo, magistrato a Reggio Calabria, più volte è stato destinatario di messaggi intimidatori: "Se non la smette lo ammazziamo” è una delle telefonate anonime ricevute nell'ultimo periodo. Lombardo, però, ha le idee molto chiare: "Lo Stato in cui credo io non stipula accordi con i sistemi criminali di tipo mafioso, mai e per nessuna ragione, quei sistemi li combatte, fino in fondo e senza paura" dichiarava alla XXII edizione della ''Gerbera Gialla'', poche settimane fa, mostrando preoccupazione per una "bulimia legislativa” che trascura però gli indispensabili strumenti di contrasto alle mafie, come il concorso esterno in associazione mafiosa e lo scambio elettorale politico-mafioso. O il fatto che si sottovaluta "la circostanza che mafia e corruzione siano componenti indispensabili di uno stesso sistema criminale, integrato e circolare". "Abbiamo tutti bisogno - sottolineava Lombardo - di acquisire una consapevolezza nuova e stabile, in grado di spezzare quei perversi meccanismi di potere che si alimentano di notizie false, strumentali al mantenimento di percorsi informativi che servono solo a far credere che la ‘Ndrangheta, e le mafie in genere, siano bande di criminali, senza menti raffinate ed evolute". E' proprio sotto questa luce che il magistrato reggino legge le ultime rivelazioni del pentito Vito Galatolo sul progetto di un attentato al pm Nino Di Matteo. La conferma, spiega, viene proprio dalle parole dell'ex boss dell'Acquasanta, quando all'udienza del processo trattativa Stato-mafia parla di "soggetti esterni" a Cosa nostra. Un intreccio di interessi e di poteri che costituiscono un livello molto più alto delle singole mafie.

Il pentito Vito Galatolo ha rivelato che Cosa nostra voleva organizzare un attentato contro il pubblico ministero Nino Di Matteo, e ha acquistato il tritolo in Calabria. Alla luce di queste dichiarazioni, quale lettura possiamo dare dei rapporti tra le due organizzazioni criminali?
Parlare, mantenendole separate, di 'Ndrangheta, Cosa nostra e Camorra è assolutamente superato. Loro vivono in un sistema criminale di tipo mafioso integrato, in cui le singole storiche organizzazioni mantengono le loro caratteristiche e soprattutto rimangono ancorate ai loro territori, ma sanno perfettamente che la loro vera forza è legata alla capacità di operare in maniera sinergica, attuando un programma criminale in grado di agevolare tutti. Già tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 la 'Ndrangheta diventa l'organizzazione criminale più capace di curare determinate relazioni e, soprattutto, di fornire anche armi ed esplosivi di vario tipo. Oggi quel percorso criminale è andato avanti seguendo una strada coerente, le mafie sono molto più organizzate di noi, sono assolutamente convinte di quello che fanno e quindi lo fanno molto meglio. La 'Ndrangheta in questo momento ha un potere tale, soprattutto economico, a livello mondiale, da poter acquistare chiunque e qualsiasi cosa. Non conosco i particolari della vicenda che Galatolo racconta in relazione al collega Nino Di Matteo, ma secondo me non c'è da stupirsi. Se Cosa Nostra ha determinate necessità e per soddisfarle ha il problema di non esporsi troppo, o meglio di operare sinergicamente con un'altra organizzazione, il suo interlocutore più immediato è il contesto criminale calabrese.

Come dobbiamo chiamare coloro che fanno parte di questo sistema criminale?
Non dobbiamo criminalizzare tutto perché significherebbe creare le premesse per non poter più operare, e questo non deve avvenire. Sono un insieme di soggetti, sono tutti coloro i quali operano in maniera infedele negli ambiti strategici a livello mondiale, soprattutto in ambito finanziario, economico, imprenditoriale, ma anche politico e istituzionale. Sono soggetti che hanno rapporti stabili in settori chiave, che passano dal sistema bancario ai principali sistemi finanziari e, soprattutto, entrano in quegli apparati che governano il potere reale. L'errore di fondo da non fare è considerare nel 2015 la 'Ndrangheta come un'organizzazione tipicamente calabrese o Cosa Nostra come un'organizzazione tipicamente siciliana, perché operano in un mercato mondiale ed in quello spazio economico godono di autorevolezza senza pari. Se da una parte sembrano aver perso le loro singole individualità, in realtà hanno acquistato un potere sempre maggiore proprio perché non si presentano come espressioni di singole realtà locali: nel momento in cui il grande capo mafia calabrese ha necessità di operare in uno Stato estero o ha necessità di aprire nuovi canali operativi in ambito finanziario, ricorre al sistema criminale integrato di cui è parte che lo agevola e lo protegge, rendendolo invisibile.

Quindi quando Galatolo dichiara in udienza che per l'omicidio di Di Matteo erano d'accordo anche soggetti esterni a Cosa nostra non parliamo più dell'organizzazione di una cosca ma di un livello sopraelevato?
Nelle parole di Galatolo riscontro esattamente questo. Quando ci parla di "entità esterne" e di "soggetti ulteriori" dice che non ci si deve limitare a pensare che la decisione possa essere di Matteo Messina Denaro o della ristretta cerchia di persone che lo circonda. Il sistema che decide è ben più ampio e beneficia solo dell'azione materiale che pongono in essere le mafie per ottenere vantaggi che vanno a soddisfare altri interessi, di più alto rango. Galatolo manda un segnale chiaro che va colto in questi termini: attenzione, perché se continuate ad osservare questi fenomeni con gli stessi occhi di qualche anno fa questo sistema integrato non lo capirete mai fino in fondo, o forse non sarete proprio in grado di vederlo. Questo l'ho notato anche in relazione ai collaboratori di giustizia calabresi che ormai forniscono il proprio contributo da 15-20 anni e che hanno capito che il percorso processuale di contrasto alle mafie, basato anche sulle loro dichiarazioni, non è arrivato dove doveva: molti di loro sono stati in grado di avviare un percorso critico, che li ha portati a rimproverarsi il fatto di non essere stati in grado di spiegarsi fino in fondo. Insisto molto su questo argomento perché oggi, in numerosi processi, queste criticità stanno venendo fuori con chiarezza: è importante per tutti rendere una ricostruzione che vada oltre la visione tradizionale, ormai superata e antistorica, che spesso e volentieri anche coloro i quali si occupano di questi fenomeni rischiano di accettare acriticamente. Ecco perché nella vicenda che riguarda Nino Di Matteo trovo una straordinaria conferma di quella che è sempre stata la mia idea. Quando abbiamo iniziato a parlare nei processi di sistemi criminali di tipo mafioso, in determinati ambiti si sono registrati scossoni che non si aspettavano. Qualsiasi azione da consumare ai danni di determinati magistrati, non verrà mai posta in essere da una mano sola, per la evidente ragione che quando ci sono obiettivi di livello molto alto i vertici locali non sono più abilitati a decidere.

Però la 'Ndrangheta sa che l'attenzione verso tutte le organizzazioni criminali si rinfocolerebbe se dovesse essere ucciso un magistrato palermitano…
Le logiche sono complesse e richiedono analisi molto approfondite: penso che al giorno d'oggi non succederebbe più quello che è successo nel '92, quando tutti i riflettori sono stati accesi sulle grandi famiglie siciliane e parallelamente spenti sulla Calabria, su cui invece erano accesi nel periodo dei sequestri di persona. Ritengo che la 'Ndrangheta, quando l'attenzione si è spostata sulla Sicilia, abbia avviato il percorso di crescita che le ha consentito di diventare quella che è oggi, e che tale sviluppo non abbia avuto effetti solo a suo favore. In una prima fase, penso abbia svolto un'operazione di supplenza, anche a favore di chi, Cosa Nostra, in quel momento doveva rimanere fermo. È chiaro che quando i riflettori pian piano si sono spenti anche sulla Sicilia, la forza acquisita ha consentito anche a Cosa Nostra di beneficiare dei risultati a cui la componente calabrese era arrivata.

Quindi stragi, attentati, azioni violente contro uomini delle istituzioni, magistrati, rappresentanti delle forze dell'ordine, giornalisti che avrebbero la capacità di spiegare cos'è un sistema criminale, sarebbero organizzati da questa componente invisibile?
Assolutamente sì, ne sono convinto. Nel mio lavoro mi sono trovato di fronte a numerosi ed importanti capimafia, che hanno delle capacità criminali molto elevate, ma posso dire con altrettanta certezza che non hanno la capacità di programmare azioni criminose in grado di provocare effetti prolungati nel tempo. Il beneficio connesso a tali azioni, se così lo possiamo chiamare, non è mai programmato al fine di produrre effetti solo oggi per domani. Quando si pensa di attentare alla vita di un magistrato, mi sembra evidente, è difficile pensare che possano derivarne benefici nell’immediato. La storia insegna che la pressione aumenta, gli strumenti normativi diventano più rigidi, puntuali ed efficaci. Quindi, se sono in qualche modo convinti che colpire un magistrato possa servire la vera domanda è: a chi serve davvero? Perché è chiaro che il nocumento per le organizzazioni criminali di base sarà enorme, in quanto verranno aggredite giudiziariamente. Allora è immediato pensare che l'effetto vero che si vuole conseguire va a favore di ambiti più elevati. Nel momento in cui si pensa di colpire un magistrato simbolo come Nino Di Matteo, il messaggio che si vuole mandare è diretto a bloccarne tanti altri. Non dobbiamo mai commettere l’errore di pensare che la programmazione di azioni di tale portata siano il frutto di pulsioni estemporanee. Quando ci si trova di fronte a riferimenti puntuali come quelli fatti da un collaboratore di giustizia come Galatolo, una certezza deve accompagnarci: qualcuno ha riflettuto molto bene sui reali obiettivi da raggiungere. Un'azione di questo tipo è pensata e programmata in ambienti composti non solo dai vertici delle diverse organizzazioni criminali, a cui difetta la necessaria raffinatezza strategica. I miei doveri mi impongono di non andare oltre.

Il timore di questo sistema criminale è che voi, in quanto rappresentanti dello Stato (quello vero) possiate incepparne i meccanismi?
C'è un momento ben preciso in cui tu capisci di aver capito. Soprattutto, capisci che loro hanno capito che tu hai capito. Qui a Reggio Calabria è successo per quanto riguarda il mio lavoro tra il 2009 e il 2010. Quando ho cominciato a mettere insieme i pezzi loro mi hanno fatto sapere che sapevano con una puntualità imbarazzante cosa stavo facendo. E' proprio questa la prova definitiva di quello che ci stiamo dicendo. Quando abbiamo iniziato a cambiare impostazione al nostro lavoro e abbiamo detto che eravamo ormai consapevoli che accanto alla parte visibile di questo sistema criminale, che doveva servire a proteggere la parte riservata, vi era altro, di più alto profilo, quella parte che conta davvero, allora si sono preoccupati seriamente. Questo linguaggio ci ha consentito di capire che esisteva una parte ulteriore che la 'Ndrangheta definisce “invisibile”, una parte riservata, occulta, in cui i soggetti che ne fanno parte non sono investiti di cariche organiche alla struttura criminale, perché ciò comporterebbe la perdita dell’invisibilità. Per scongiurare il rischio che tale componente venisse conosciuta dalla base hanno creato una serie di cariche speciali, a favore proprio di quei soggetti che sono la vera mente dell’organizzazione ma sono coloro che determinano le scelte criminali da attuare. Sono i soggetti che costituiscono la cellula pensante di alto livello, il cuore del sistema criminale. Pur utilizzando altri termini, ritengo che Cosa nostra abbia gli stessi profili caratteristici. Sono queste le componenti che quando si incontrano tra loro costituiscono il vero sistema criminale di tipo mafioso, quel sistema che poi stabilisce quali sono le strategie da seguire e le azioni da consumare, che poi vengono affidate alle varie componenti visibili. Quindi se è necessario agire in Palermo, l'esecuzione viene affidata a chi in quei territori storicamente ha sempre operato: così avviene in Calabria. Se si deve operare in qualsiasi altro territorio viene stabilito di volta in volta chi materialmente deve consumare l'azione, valutando i vari aspetti che tratteggiano lo specifico ambito operativo.

Quali sono gli strumenti necessari per contrastare un livello ben più elevato delle singole organizzazioni criminali?
Borsellino poco prima di morire disse in maniera straordinariamente chiara che non si può fare questo lavoro pensando che le organizzazioni criminali siano bande di criminali disorganizzate o legate a logiche primordiali. Fino a quando esisterà questo approccio, soprattutto da parte di chi fa il nostro lavoro, ci troveremo sempre davanti a difficoltà insormontabili. Ormai siamo assolutamente consapevoli di quello che deve essere il nostro compito e soprattutto siamo già in possesso di quasi tutte le risposte ai principali quesiti. Se nel momento in cui, affrontando nuove situazioni, non abbiamo la capacità di evitare di ripartire costantemente da zero, non saremmo mai in grado di alzare il livello delle nostre indagini. La loro forza sono le relazioni, che non sono esterne alle organizzazioni criminali. Se cambiamo prospettiva ed immaginiamo un sistema integrato, in cui queste singole componenti diventano parti di un qualcosa di molto più ampio, otteniamo il risultato evidente che quello che sta all'esterno rispetto alle singole mafie si troverà, invece, all'interno del più ampio sistema criminale. L'errore peggiore che si possa commettere è processare le persone ritenendole concorrenti esterne a Cosa nostra o alla 'Ndrangheta, quando invece più attente investigazioni le trasformano in soggetti di vertice del sistema criminale di tipo mafioso. Sono le nostre capacità investigative che trasformano quell'esterno in una componente interna, che spesso diventa anche il vertice: ecco quello che diceva Borsellino 23 anni fa. Se così non fosse, si tratterebbe di bande di delinquenti di bassissimo livello, torneremmo ad un'organizzazione con caratteristiche di base talmente note, che non sarebbe difficile annientare in pochi anni e individuare tutti i responsabili. Questo non è ancora avvenuto perché quel circuito criminale primordiale oggi è diventato molto altro, pur mantenendo una serie imprescindibile di legami con le regole tradizionali.

Qual è il ruolo di un magistrato oggi nella lotta alla mafia?
Il nostro compito di magistrati è questo, consapevoli che il nostro lavoro è e deve essere sottoposto al giudizio pubblico non solo per fornire all’imputato le indispensabili garanzie che merita ma anche per garantire ai danneggiati (noi tutti) di accedere alle informazioni essenziali per capire da che parte stare, a chi ispirarsi, a quali modelli positivi accedere, a quali verità credere, sulla base di un percorso personale di conoscenza non condizionato dalle idee o dalle opinioni altrui, spesso veicolate in modo interessato o con mal celata violenza.
Ho ancora la speranza che tutto questo sia possibile, che questo Stato abbia un futuro fatto di passaggi trasparenti in cui ognuno di noi è giudicato per quello che ha fatto, per quello che fa e per quello che sarà in grado di fare, nel rigoroso rispetto della legge e dei principi costituzionali.
Anche se la strada da percorrere è ancora lunga, mi guida la certezza che chi ha la pretesa di sottrarsi al giudizio collettivo, che si fonda anche sugli strumenti di conoscenza che noi magistrati saremo stati in grado di fornire, non è e non sarà un mio compagno di viaggio.

Foto © Paolo Bassani

ARTICOLI CORRELATI

In Calabria noi diciamo No alla 'Ndrangheta
Solidarietà al pm Giuseppe Lombardo e ad i magistrati della Dda di Reggio Calabria
di Giorgio Bongiovanni

'Ndrangheta stragista, Lombardo: ''Graviano non ha parlato a caso''

'Ndrangheta stragista, Lombardo: ''Attentati ai carabinieri finalizzati a destabilizzare lo Stato''

La Mafia in Germania: il pm Lombardo spiega il livello alto della 'Ndrangheta in Europa

Italia: un narco-Stato-mafia?
Il grave silenzio dei politici sulla lotta alla mafia

Non di sola mafia - Prima parte | Seconda parte

'Ndrangheta: anatomia di un potere
PDF - ANTIMAFIADuemila n° 71

La mafia più potente del mondo

"Siamo pronti ad ucciderlo", potenziata la scorta del pm Lombardo

Duecento chili di esplosivo per il pm Lombardo, "lo facciamo saltare in aria"

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos