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Una pratica con la “A” maiuscola

“Soltanto la punta di un iceberg”. Così il procuratore di Palermo Francesco Messineo e l'aggiunto Roberto Scarpinato – anche in rappresentanza dei sostituti Paolo Guido, Fernando Asaro e Pierangelo Padova – hanno definito quanto scoperto nel corso delle indagini sfociate nell'operazione Hiram. Che ha aperto le porte del carcere per Renato Gioacchino Giovanni De Gregorio, 59 anni, ginecologo palermitano, condannato in appello per violenza sessuale su una minorenne, Calogero Licata, 57 anni, imprenditore agrigentino ed ex assessore comunale di Canicattì; Francesca Surdo, 35 anni, agente della Polizia di Stato in servizio presso la Direzione anticrimine di Roma e, ovviamente, Rodolfo Grancini, Guido Peparaio, Calogero Russello, Nicolò Sorrentino. Tutti o quasi legati dalla comune appartenenza alla loggia massonica “Serenissima Gran Loggia Unita d'Italia”.

Dalle intercettazioni, hanno spiegato i giudici, è emersa l'esistenza di un ingranaggio funzionante da tempo e la prova più evidente è senza dubbio nella vicenda che riguarda Giovan Battista Agate, uomo d'onore della “famiglia” di Mazara del Vallo e fratello del più noto Mariano Agate, storico capomandamento mazarese.

Più volte condannato per il delitto di associazione mafiosa (pena interamente scontata) Giovanbattista Agate aveva subito un'ulteriore condanna per il delitto di appropriazione indebita commessa al fine di agevolare Cosa Nostra e proposto, per questo, ricorso in Cassazione. Pratica che risaliva al 2003, ma che grazie all'intervento degli indagati dormiva ancora, silenziosa, in un armadio della Suprema Corte in attesa della prescrizione che sarebbe arrivata nell'agosto dello scorso anno.

Regista dell'operazione: Michele Accomando, uomo d'onore, intermediario tra il duo Grancini-Peparaio e il boss di Agrigento e per il caso in questione in stretto contatto con Calogero Licata, pienamente coinvolto nella gestione della vicenda processuale tanto da tenere nel proprio ufficio di Canicattì la documentazione relativa al condannato.

Tutto, insomma, sembrava filare liscio fino a che, nel marzo del 2007 veniva inaspettatamente fissata l'udienza nel corso della quale i giudici avrebbero discusso del ricorso dell'Agate. Evento inatteso che rischiava di far saltare non solo i piani, ma anche qualche testa. “Ma Rodolfo, forse non ci siamo capiti – è la voce del Licata, intercettato proprio il 1° marzo dello stesso anno - questa doveva andare a finire, avevamo detto il trenta agosto invece c'è il ventinove di marzo l'udienza, hai capito quale pratica è? Quella che inizia con la A, ehhh Rodo, cioè qua non ci sono santi che tengono, non c'è qua né Nicola né Antonio Calì né cazzi né mazzi, questi sono quelli di Castelvetrano che gli abbiamo dato la certezza per agosto!!” .. “con questi non possiamo scherzare”.

Gli evidenti riferimenti a persone di Castelvetrano giustificavano pienamente la preoccupazione del Licata: la vicenda, si intuisce, oltre che dalla famiglia mafiosa direttamente interessata, quella di Mazara del Vallo, veniva seguita anche da soggetti appartenenti ed inseriti nel mandamento di Castelvetrano e quindi dal pericoloso superlatitante Matteo Messina Denaro, capo indiscusso della provincia di Trapani.

La stessa preoccupazione emergeva anche nei discorsi con l'avvocato Stefano De Carolis Villas, il Gran Maestro della Loggia, anche lui impegnato, tramite la corruzione di non meglio specificati ufficiali giudiziari, nell'aggiustamento del processo Agate. Processo che il Grancini riuscirà a far slittare al 5 giugno, pur non potendo assicurare un lieto fine alla vicenda, anche questa volta per “colpa” della Procura di Palermo.

Il 7 maggio, infatti, Accomando veniva raggiunto da provvedimento di cattura emesso dal Gip presso il tribunale palermitano su richiesta della Dda con l'accusa di associazione mafiosa, detenzione illegale di armi da sparo e turbativa d'asta. E visto che l'evento sterilizzava ogni ulteriore comunicazione tra i componenti del gruppo criminale il 19 giugno Giovanbattista Agate non poteva in alcun modo evitare il suo ritorno in carcere.

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