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Ostacoli senza fine per ricordare la giovane uccisa da Cosa nostra. E in un attimo si torna alla Palermo anni ’80

"Questa targa non s'ha da fare, né domani, né mai", verrebbe da dire, richiamando la celebre frase che i bravi dissero a Don Abbondio ne "I promessi sposi" di Manzoni, per commentare l'ennesima ridicola e offensiva vicenda accaduta a Palermo nei confronti di Lia Pipitone, vittima innocente di mafia.
Dopo che lo scorso 7 marzo, su iniziativa di Libera, venne proposto di ricordare la giovane con una targa nel quartiere dell'Arenella, in via Papa Sergio 1, dove venne uccisa da Cosa nostra, ecco che il proprietario dell'immobile ha negato il consenso.
"È un magazzino che sto ristrutturando, per cercare di trarne profitto, per venderlo o affittarlo - spiega il dottore Giovanni Benfante ai microfoni di Repubblica -. Se venisse messa una targa in cui si dice che lì è stata uccisa una ragazza potrebbero crearsi dei problemi. Potrei subire un grosso danno economico". E ancora: "Se quel magazzino fosse a uso e consumo mio, perché ad esempio ci posteggio l’auto, me ne fregherei. Ma, ripeto, l’ho comprato per cercare di investire dei soldi".
Altolà: non si dica che il dottor Benfante non sia un cuor di leone come Don Abbondio. Al contrario. "Con me sfonda una porta aperta su questi temi - dice, precisando di essere un medico ed ex ufficiale dei carabinieri, “contrarissimo alla mafia” -. Ma ho già una proposta di affitto per questa estate e mi sto muovendo per far mettere un passo carrabile".
L’ex ufficiale dei carabinieri si giustifica dicendo che affiggere una targa in memoria di Lia potrebbe diventare un vantaggio "solo" se l’associazione promotrice di questa iniziativa (Libera) prendesse in affitto il suo immobile. “Per farne un circolo culturale o un museo - rilancia -. Altrimenti, si tratterebbe solo di uno svantaggio per me". Stessa cosa se, al posto della targa, venisse realizzata una pietra d'inciampo come ha proposto Libera. Anche questa "sarebbe un danno economico di non poco conto per me", risponde Benfante.
In quel posto c'è ancora il manifestino sistemato dall’organizzazione fondata da don Ciotti nei giorni scorsi su un tubo del gas nel corso della manifestazione in cui diedero la notizia della targa. "Lia Pipitone, uccisa nel corso di una finta rapina per il suo desiderio di libertà, perché libera, perché ribelle al patriarcato mafioso", si legge.
A differenza di Benfante, secondo la signora Letizia Palizzotto, che abita nel condominio del magazzino, la targa "dovrebbero metterla al più presto". Se la ricorda Lia. “Ero bambina e lei mi salutava sempre quando veniva alla sanitaria. Che bella ragazza, Lia ha reso libere tutte le donne di Palermo. E adesso nel suo nome dovrebbe rinascere questo quartiere troppo spesso dimenticato dalle istituzioni”, dice a Repubblica.
La giovane, figlia del boss dell'Arenella Antonino Pipitone, venne uccisa perché ritenuta troppo ribelle per le rigide regole di Cosa nostra. Il suo temperamento forte e poco incline ai compromessi l'ha sempre spinta ad essere libera nelle sue scelte. Dalla scuola alle amicizie, Lia ha sempre tracciato da sola la sua vita. Durante una rapina inscenata per depistare le indagini, il 23 settembre 1983, venne uccisa all’uscita da una cabina telefonica a gettoni con diversi colpi di arma da fuoco. Alcuni pentiti accusarono suo padre, Antonino Pipitone, di aver dato l’ordine di procedere alla sua eliminazione. Per il suo omicidio sono stati condannati a 30 anni di reclusione i boss Vincenzo Galatolo e Antonio Madonia, mentre il padre di Lia è stato processato e assolto in via definitiva, prima di morire. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici che hanno ricostruito il contesto di quel delitto hanno spiegato: “La presunta relazione extraconiugale della figlia del mafioso Pipitone, l’offesa all’onore ed al prestigio del padre si era tradotta, inevitabilmente, in una offesa all’onore ed al prestigio dell’intera articolazione mafiosa cui egli apparteneva. Da qui - hanno scritto i giudici - la decisione di uccidere Lia per lavare con il sangue l’affronto che, secondo le regole del codice mafioso, non poteva essere tollerato. Trattavasi, nella cultura mafiosa, di un fatto gravissimo, tra quelli che non potevano restare impuniti e che richiedevano una soluzione estrema”.
Tornando alla targa, lo stallo rimarrà fino a quando non ci sarà l’ok del proprietario dell’immobile che, precisiamo, ha il diritto di impedire questa iniziativa. Resta però una situazione imbarazzante che si aggiunge al mancato riconoscimento di Lia Pipitone in qualità di vittima innocente di mafia da parte dell'Ars, secondo cui non avrebbe i "requisiti soggettivi" a differenza di quanto stabilito dai giudici che affermano che si trattò di un delitto di mafia.
“Tutto nella norma”, si fa per dire. Da oltre un anno il vento di restaurazione sta investendo il Paese intero sui fatti di mafia e non solo. Un po’ come lo scirocco che ha colpito la Sicilia nei giorni scorsi: correnti forti, calde e con scarsa visibilità a causa della sabbia del Saara. Il connubio perfetto per disorientare le persone.

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