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A Palermo, nel quartiere dell'Arenella, in via Papa Sergio 1, è stato posto un cartello per ricordare l'assassinio nel 1983 della giovane Lia Pipitone uccisa dalla mafia. L’iniziativa, promossa da Libera lo scorso giovedì 7 marzo, ha visto la partecipazione di studenti, cittadine e cittadini.

Figlia del boss dell'Arenella, Antonino Pipitone, la giovane venne uccisa perché ritenuta troppo ribelle per le rigide regole di Cosa nostra. Un temperamento forte e poco incline ai compromessi ha sempre spinto la giovane figlia del boss ad essere libera nelle sue scelte; dalla scuola alle amicizie, Lia ha sempre tracciato da sola la sua vita. Durante una rapina inscenata per depistare le indagini, il 23 settembre 1983, venne uccisa all’uscita da una cabina telefonica a gettoni con diversi colpi di arma da fuoco. Alcuni pentiti accusarono suo padre, Antonino Pipitone, di aver dato l’ordine di procedere alla sua eliminazione. Per il suo omicidio sono stati condannati a 30 anni di reclusione i boss Vincenzo Galatolo e Antonio Madonia, mentre il padre di Lia è stato processato e assolto in via definitiva, prima di morire. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado i giudici che hanno ricostruito il contesto di quel delitto hanno spiegato: “La presunta relazione extraconiugale della figlia del mafioso Pipitone, l’offesa all’onore ed al prestigio del padre si era tradotta, inevitabilmente, in una offesa all’onore ed al prestigio dell’intera articolazione mafiosa cui egli apparteneva. Da qui - hanno scritto i giudici - la decisione di uccidere Lia per lavare con il sangue l’affronto che, secondo le regole del codice mafioso, non poteva essere tollerato. Trattavasi, nella cultura mafiosa, di un fatto gravissimo, tra quelli che non potevano restare impuniti e che richiedevano una soluzione estrema”. Un delitto di mafia, oltre che un femminicidio, a cui ora il Coordinamento di Libera Palermo ha voluto dedicare una targa in sua memoria.

"La decisione di uccidere Lia Pipitone - afferma l'ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando - era la ‘punizione’ criminale mafiosa per le sue scelte di libertà. Fare memoria di quella uccisione aiuta a collegare l'intreccio perverso tra prepotenza patriarcale e arroganza mafiosa. Franca Viola - ha ricorda Orlando, presente all’inaugurazione - nel 1965 rifiutò, con il coraggio anche dei suoi genitori, il matrimonio riparatore imposto da logiche patriarcali e mafiose, spingendo il Parlamento a eliminare la norma che faceva cadere ogni ipotesi di reato per violenze se interveniva un ‘matrimonio riparatore’. Rimane ancora però nella normativa antimafia una legislazione e una burocratica interpretazione che nega la qualifica di vittime e familiari di vittime della mafia la qualifica. Una inaccettabile negazione della libertà in nome della cosiddetta soffocante liberticida legge del sangue". Il riferimento è al figlio di Lia Pipitone, al quale sono stati negati i benefici previsti per i familiari di vittime della mafia, che ha ricordato sua madre così: “Mamma ha indicato una strada a tutte le donne che non vogliono sottostare a una vita di ricatti”.
    
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