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di Davide de Bari - Foto
“I figli, se li ami, ti lasciano quando scompaiono una ferita talmente profonda che solo il tempo aiuterà a guarire. Sono passati trentuno anni, il tempo non ha fatto altro che togliere i punti a quella ferita che si apre ogni anno e ti lascia sempre il segno”. Con l’emozione che trabocca delle sue parole Antonio Domino, padre del piccolo Claudio Domino, ucciso da Cosa Nostra all’età di undici anni il 7 ottobre 1986, è intervenuto durante la trasmissione de L’Altroparlante andata in onda su Radio In 102 lo scorso mercoledì sera. Ancora una volta è giunto il giorno del ricordo ma la volontà di rendere onore alla memoria del piccolo Claudio e a quella degli altri 107 bambini uccisi dalle mafie, della famiglia Domino è una promessa che si rinnova quotidianamente.

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La vicenda di Claudio
La storia della famiglia Domino è davvero drammatica. Quando Claudio venne ucciso era ancora in corso il maxiprocesso e all’epoca il padre gestiva un'azienda che aveva ricevuto in appalto il servizio di pulizia all'interno dell'aula bunker. Il bambino stava giocando davanti alla cartolibreria della madre, in una via del quartiere San Lorenzo di Palermo, quando un uomo, dopo aver attirato la sua attenzione, gli sparò dritto sulla fronte.
Un gesto vile, assurdo, nei confronti di un’anima innocente. Non era la prima volta che la mafia uccideva dei bambini, ma cosa aveva portato Cosa nostra ad uccidere ancora una volta così barbaramente?
Diverse furono le ipotesi sollevate sul movente ed alla fine, grazie alle rivelazioni del collaboratore di giustizia Giovanbattista Ferrante, è emerso che Claudio era stato ucciso perché aveva visto confezionare alcune dosi di eroina in un magazzino. Per questo era diventato un testimone scomodo, da eliminare.  
Un omicidio che creò scandalo al punto che Giovanni Bontate, in un’udienza del maxiprocesso, lesse un documento in aula dove si dissociava dall’omicidio del bambino pronunciando la parola “noi” (inteso i mafiosi, ndr). Un atto senza precedenti con cui di fatto si ammetteva l’esistenza di Cosa nostra pur di non perdere il consenso sociale.
Un altro collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi (oggi deceduto), ha raccontato che Salvatore Riina avrebbe ordinato la ricerca e l’eliminazione dei responsabili dell’eccidio. Ferrante, nelle sue dichiarazioni, ha riferito di essere stato lui stesso il killer, su ordine di Giovanni Brusca, di Salvatore Graffagnino, proprietario del bar vicino al luogo dell’omicidio di Claudio, il quale, sotto tortura, avrebbe ammesso di essere stato il mandate, incaricando un tossicodipendente di eseguire l’omicidio.

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I genitori di Claudio Domino, Antonio (in piedi) e Graziella (© Emanuele Di Stefano)


Un esempio per i giovani
In tutti questi anni la morte di Claudio ha aperto una voragine di dolore all’interno della famiglia Domino. A ferire il cuore della famiglia è stata soprattutto la reazione della società: “Ti aspetti dalla società la solidarietà e la comprensione. - ha detto Antonino Domino ai microfoni de L’Altroparlante - Questa affettuosità, di solito, la si esprime nei momenti più cauti della tragedia. […] Lo sdegno, l’urlo del popolo: assassini! E poi tutto cade nel dimenticatoio e diventa una stanza buia”. I coniugi Domino, dopo la perdita di Claudio, hanno continuato la loro vita “in maniera normalissima”, aspettando che il tempo anestetizzasse la ferita. A tanti anni di distanza la tentazione di scappare dalla terra dove è avvenuta la tragedia è sempre più forte, ma i genitori di Claudio hanno scelto di “restare per dare un esempio”. Per questo motivo, dopo un lungo silenzio, i coniugi Domino hanno trovato la forza di reagire. E’ stato in particolare un episodio ad aver dato loro un’ulteriore scossa di indignazione: la nota intervista di Bruno Vesta al figlio del boss corleonese Totò Riina. “Da quel momento in poi lo sdegno ha preso il sopravvento. - ha raccontato Domino - Abbiamo detto: è impossibile che passi il messaggio di un padre buono e grazioso, quando questo padre ha fatto piangere tanti famigliari e figli. Allora no, basta!”. Un dolore che si è trasformato in impegno civile. “Dobbiamo iniziare a protestare in piazza - ha proseguito il padre del piccolo Claudio - dobbiamo urlare educatamente e far capire i sacrifici fatti da uomini come Falcone e Borsellino. […] Dobbiamo dire ai ragazzi che devono cominciare a cambiare e non dimenticare”. In questi ultimi anni Antonio e Graziella hanno girato in diverse scuole d’Italia, raccontando non solo la storia di Claudio, ma anche la storia dei molti bambini uccisi dalla mafia.

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Graziella Accetta, insieme a suo marito Antonio, porta avanti un progetto di crescita e tutela dei minori, iniziato l’anno scorso in ricordo del trentesimo anno dalla morte di Claudio. “Questa decisione è nata domandandomi quanti bambini sono stati vittime di mafia - ha raccontato la donna - Facendo delle ricerche scopro che sono 108 quelli riconosciuti dallo Stato. Da quel momento decido di dedicare i trent’anni della morte di Claudio a tutti i bambini, con la collaborazione delle Agende Rosse, Libera e la parte sana della società”. Anche quest’anno, per il trentunesimo anniversario, è prevista a Palermo una manifestazione per ricordare Claudio e tutti i bambini vittime di mafia e indifferenza.

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