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L’ingordigia di certi terroristi neri fa impressione. Non smobilitano, non imboccano mai il viale del tramonto. Commettono delitti e stragi ma, nonostante questo, restano in servizio permanente effettivo. Eppure l’Italia, per loro, è una piccola Bengodi.
Sin dove possibile, li si lascia a piede libero. Li si tratta con tolleranza e umana comprensione, puntando - e giustamente - al loro recupero, posto che se a quei tempi non andava “toccato” Caino, non si capisce perché dovremmo perseguitare oggi l’intera stirpe dei Caino, visto fra l’altro lo spaventoso crollo della natalità nel nostro Paese. Insomma: teniamoci buoni tutti i “cittadini italiani”, quelli che abbiamo, senza andar troppo per il sottile.
La ragione è semplice: in Italia, il “nero” è più perdonato del “rosso”.
E si giunge a questa conclusione alla notizia, oggi, dell’ arresto di Paolo Bellini, terrorista nero, quindi fascista, condannato in primo grado all’ergastolo, oltre un anno fa, per la strage di Bologna (85 morti, 200 feriti). E con un palmares criminale sterminato, impossibile da riassumere qui.


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Il bello è - si fa per dire - che Bellini era rimasto ai domiciliari sin dall’aprile dell’anno scorso. Evidentemente perché non venivano considerati reali né il pericolo di fuga né la reiterazione di eventuali reati.
Ora invece, e qui veniamo all’ingordigia alla quale facevamo riferimento all’inizio, Bellini è stato intercettato telefonicamente: minacciava la sua ex moglie (la cui testimonianza, con tanto di riconoscimento visivo, era stata decisiva per accertare la presenza del marito sul luogo della strage); minacciava apertamente il figlio del giudice di primo grado che lo aveva condannato all’ergastolo (di cui il Bellini conosceva bene indirizzi e abitudini di vita). Insomma, nonostante la condanna all’ergastolo, Bellini aveva ancora voglia di menar le mani. In fondo, anche questa è un'ennesima lezioncina per il ministro della giustizia, Carlo Nordio: servono, eccome se servono le intercettazioni telefoniche.
Ma torniamo al Bellini.


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E’ stupefacente che, all’indomani della sentenza, non fosse stato ammanettato. Se non altro perché nel suo interminabile curriculum ci stanno pure anni e anni di latitanza in Brasile, con identità falsa a seguito di altre condanne.
Ma diciamo che l’Italia è più un paese per “neri” che un paese per “rossi”.
Oddio qualcuno avesse protestato per Bellini, come accadde per il “caso Battisti” o per i terroristi rossi che beneficiavano in Francia della “dottrina Mitterrand”. Insomma in Italia non è chiaro quando e se si finisce in cella.
Dipende. 

Foto © Paolo Bassani

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La rubrica di Saverio Lodato

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