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Quante ne dissero - e ne dicemmo -; quante ne scrissero - e ne scrivemmo -, sulla buonanima di Giulio Andreotti, nella sua interminabile carriera.
In quanti misteri d’Italia, grandi delitti, eccellenti e oscuri, stragi, pagine pesanti di mafia e Camorra, scandali e crack bancari, fu tirato in ballo in qualità di mandante o di regista occulto, persino nell’uccisione di giornalisti, come Mino Pecorelli.
Lui tirava per la sua strada.
Fedele al motto un po' siculo, e molto di più mafioso: “Calati iuncu, ca passa la china”. Flettiti giunco, quando arriva la piena, l’importante è non spezzarsi; tanto la piena così come viene poi se ne va.
Ma il bello è che Andreotti, nei processi, ci andava per difendersi, fossero anche macigni le accuse contro di lui, mai perché decideva di querelare qualcuno o avanzare richieste di piatti di lenticchie come forma di risarcimento danni.
Sapete come è finita?
Che Andreotti oggi è considerato uno dei grandi statisti che ha avuto l’Italia. Né più né meno come è finita a Berlusconi che però, a differenza di Andreotti, si imbizzarriva come un cavallo quando qualcuno – tanti, in verità - intendevano portarlo a processo per i reati più disparati.
Insomma, anche Berlusconi è ormai considerato uno dei grandi statisti che ha avuto l’Italia: la nuova presidente del consiglio, Giorgia Meloni, gli ha tributato sette giorni di lutto nazionale, e si vorrebbe che le Poste italiane emettessero una serie di francobolli con la sua effigie.
Sia chiaro, e sia detto per inciso, che se ciò dovesse accadere ci faremo promotori di una campagna a favore di analogo francobollo in memoria di Andreotti. Quello che è giusto è giusto.
Quanto a Berlusconi, da presidente del consiglio, non portò mai nessuno in tribunale. Dai suoi denigratori, infatti, non pretendeva un euro. Al contrario. Spesso, infatti, preferiva comperarli a peso d’oro.


colpa di spugna libro

Abbiamo dedicato questa premessa alla figura degli “Statisti” che abbiamo in Italia, perché ci torna assai comodo per affrontare il tema della causa “Meloni vs Luciano Canfora” visto che, tanto per cambiare, stiamo facendo parlare di noi persino all’estero. Le cose le facciamo sempre in grande.
Ora, per carità, non entriamo nel merito del processo. Si vedrà.
Sappiamo però che la Meloni si è fortemente risentita per essere stata definita da Canfora, filologo di fama indiscussa, “nazista nell’anima”. E chiede, con il suo stuolo di legali, tante scuse e una cifra che ammonta a ventimila euro.
Che dire? Sarà la Storia futura a raccontarci, quando sarà, se anche la Meloni andrà ad arricchire la galleria degli Statisti di cui sopra, con annesso francobollo.
Qui, però, la Meloni, essendosi discostata dal duo Andreotti-Berlusconi, che come ricordato non portava nessuno in tribunale, sembra destinata a esplorare terreni vergini, e un po' in discesa, per una presidente del consiglio.
Mi spiego meglio.
Siccome sarà il professore Canfora a dovere argomentare, per difendersi, sul presunto “nazismo nell'anima”, la discussione andrà per le lunghe.
Ne valeva la pena?
Prima dell’iniziativa giudiziaria della Meloni, la storia era pressoché sconosciuta all’opinione pubblica.
Adesso è destinata a diventare materia di TG, servizi televisivi in prima serata, microfoni e approfondimenti, editoriali al calor bianco, da una parte e dall’altra.
Ne valeva la pena?


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L’Italia - e la sua storia ce lo insegna - sì è sempre divisa in parti uguali fra innocentisti e colpevolisti. Lo ripetiamo: ce n’era bisogno?
E voglio concludere con una vecchia storiella che raccontava mio nonno che, un paio di secoli fa, fu falegname a Canicattì.
Un bel giorno, un cittadino salì su una sedia nella piazza principale del paese e iniziò a urlare, nel disinteresse generale: “Lu re è nudo, lu re è nudo”. Pur ripetendo l’ingiuria decine e decine di volte, furono davvero pochi i passanti che si fermarono ad ascoltarlo. Ma la cosa giunse all’orecchio del re. Che pretese analogo comizio riparatorio.
Detto fatto.
Le autorità del paese annunciarono con grande anticipo il contro comizio, ingaggiarono un funzionario di provata fede, lo issarono sulla sedia, e lui ripeté sino alla nausea: “Lu re non è nudo, lu re non è nudo”. Solo che questa volta, ad ascoltarlo, si radunò una folla oceanica calamitata lì dalla grande attesa e dalle voci che giravano in paese dopo la prima esibizione andata praticamente deserta.
Osservò mio nonno: il re avrebbe fatto meglio a lasciar perdere. E non aggiunse altro.
Da quel giorno, infatti, e dopo quel gran parlare, a una parte degli abitanti del paese, nessuno riuscì più a togliere dalla testa che il re era davvero nudo.
Morale della favola: se una parte del popolo è persino disposta a credere che il re è nudo, cosa volete che sia, sempre per una parte del popolo, convincersi che forse Giorgia Meloni è davvero “nazista nell'anima”?
Insomma, mio nonno, al posto del re avrebbe lasciato cadere.

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La rubrica di Saverio Lodato


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