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di Giulietto Chiesa - 25 ottobre 2010
Sono in corso di svolgimento diversi incontri, convegni, momenti di confronto, di convergenza, tentativi di coordinamento, di unificazione, nel variegato panorama italiano al di fuori della “casta” politica, o ai suoi confini.
Ho notizia di quattro di questi, probabilmente i più significativi, ma altri sicuramente ne esistono, o stanno per partire.   

È un segno salutare, io credo. Parlo dell’incontro di Torino di sabato 16 ottobre, al quale ho partecipato, promosso dalla Rete dei Movimenti e delle Liste di Cittadinanza; del Gruppo delle Cinque Terre, riunito a Bologna; della Costituente Ecologista, che sta per riunirsi ad Ascoli Piceno, dell’appello di “Abbiamo un Sogno” uscito sul web recentemente, e di diversi altri analoghi.

Se ne ricava che nei gruppi e aggregazioni diverse, che si collocano in quella che io chiamo la “voragine” dei non più rappresentati, sta maturando la consapevolezza che restare ciascuno per conto proprio significa continuare a non contare, cioè significa non riuscire a incidere sullo stato del paese.

Se è un segno salutare occorre aiutarlo.

La formula che meglio si adatta a ciò che potrebbe accadere l’ho ascoltata in un intervento a Torino: “uniti e diversi”. Fa venire in mente formule di un passato lontano, ma non importa: è efficace e ben descrive lo stato dell’arte.

paper_boatsPartirò dall’aggettivo “diversi”. Non deve spaventare nessuno. Siamo diversi e non potrebbe essere diversamente. Da trent’anni nessuno si è più preoccupato di unire, di formare, di educare alla politica e alla democrazia. È uno degli effetti della bancarotta intellettuale e etica della casta in tutte le sue terminazioni.

Ciascuno di coloro che pensavano al bene comune, al presente e ai destini degli uomini e delle donne di questo paese, ha dovuto percorrere la sua strada da solo. I reduci dei partiti, immersi nelle loro delusioni, hanno proseguito nei loro percorsi. Ma i più giovani, senza eredità alcuna, hanno dovuto inventarsi le forme e i contenuti dell’impegno. Così il porto attuale, se esisterà, sarà il luogo di raccolta di molte navi che hanno percorso rotte diversissime. Navi diverse con piccoli equipaggi ciascuno reso diverso dalle proprie esperienze.

Partendo da queste constatazioni non è realistico pensare di diventare “uguali” nel breve periodo. Per produrre la profonda degenerazione intellettuale e morale dell’italia c’è voluta una generazione. Per fare l’inverso non sarà possibile immaginare un tempo minore.

Ma l’essere diversi può essere anche un vantaggio. Molto è stato prodotto di buono in queste “diversità”, idee ed esperienze, sebbene il loro difetto principale sia stato, ed è, quello di essere isolate tra di loro, spesso autosufficienti, autoreferenziali, incapaci di elaborare una politica della comunicazione al di fuori della datatissima “controinformazione”. Ma soprattutto incapaci di vedere l’insieme, la complessità. Quindi non in grado di elaborare una linea politica per la costruzione di alleanze sociali, di produrre egemonia sull’insieme della società.

Ma cosa significa in queste condizioni l’aggettivo “uniti”?

L’ipotesi della “rete” non è una risposta. Essa fornisce una conoscenza reciproca, ma non dà la risposta né al problema di costruire una piattaforma d’azione comune, né a quello di un’azione comune (salvo in rari e sporadici casi, che presto si spengono). Non dimentichiamo la sconfitta subita negli scorsi anni dal movimento pacifista, né il progressivo esaurirsi della spinta propulsiva del World Social Forum.

L’ipotesi della “rete” non scioglie il nodo dell’ingresso nella politica nazionale.

L’ipotesi della “rete” non scioglie nemmeno il nodo dell’ingresso nella politica ai livelli regionale, nazionale e sovranazionale, cioè superiori a quello locale-cittadino.

Ingresso sicuramente diverso da quello che porta dentro la casta, ma indispensabile comunque se si vuole costruire una nuova rappresentanza politica.

Dunque occorre costruire un “centro”. Lo si chiami come si vuole, ma ci vuole un luogo dove ci si confronta permanentemente; dove si prendono decisioni che tutte le componenti diverse accettano come “comuni” e lavorano per realizzarle. Un “centro” di questo genere diventa un moltiplicatore di forze, il luogo della creazione di una massa critica sufficiente.

Ovvio che dev’essere un centro democratico e innovatore, anche nei metodi della politica. E, del resto, un centro di diversi non può che essere rispettoso delle diversità e delle culture che lo compongono. Ma senza questo non si andrà da nessuna parte, o, per meglio dire, si andrà di sconfitta in sconfitta.

Come comporre questo “centro” è la prima decisione da prendere.

Chi non è interessato a questo problema resti fuori da questo processo. Non sarà da considerarsi un nemico, ma si condannerà all’ininfluenza. Ecco una prima, inevitabile scelta.

yin_yang_vwLa seconda è quella della creazione di “un nuovo soggetto politico”, unitario e composto di diversi. Questo è il passo successivo e inevitabile verso una rappresentanza politica nuova. Noi vogliamo che la Costituzione del nostro paese sia realizzata, che s’interrompa il processo degenerativo che sta spezzando, uno ad uno, tutti i legami con l’eredità lasciataci dai padri costituenti.

Di questo processo degenerativo la casta è interamente responsabile, nelle sue componenti di destra e di sinistra. Ma questo significa che, respingendo la casta, si debba respingere ogni idea di democrazia reale, di rappresentanza politica. La democrazia diretta, cioè la partecipazione popolare a tutte le decisioni, è parte integrante della democrazia rappresentativa, non è (o non dovrebbe) essere contrapposta ad essa. Se lo è diventata non è per un difetto delle istituzioni, ma dei partiti che le hanno occupate.

Non si può dichiarare di essere per la Costituzione e rifiutare l’idea della rappresentanza. Ecco un altro discrimine cruciale per proseguire il dibattito sulla costruzione di un nuovo soggetto politico.

Il terzo punto, decisivo, è quello del rapporto con la casta. Se l’analisi – qui sommariamente riproposta – è accettata, allora deve essere chiaro, fin da subito, che questo soggetto politico non può che essere rigorosamente distinto, indipendente, ostile alla casta politica nel suo complesso.

È, per altro, il principale modo per entrare in contatto con la metà dell’elettorato italiano, che non va più a votare proprio per la diffusa sfiducia nei confronti della classe politica. Questa sfiducia nei partiti si trasforma in sfiducia nella istituzioni, e questo vulnus è uno dei più gravi della democrazia, suscettibile di uno sbocco apertamente autoritario. Non si dimentichi che la casta dispone del sistema della comunicazione e non è inerte. Al suo interno operano forze apertamente reazionarie, che puntano a una liquidazione radicale delle istituzioni democratiche e, perfino, come sappiamo, alla frantumazione dell’unità nazionale.

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Questo è il quadro. Come si collochino, in questo quadro, le diverse componenti della “diversità”, è ancora da vedere.

Beppe Grillo, per esempio, ha già dichiarato le sue intenzioni. Procederà da solo, per sua scelta. Non è interessato a una convergenza con chicchessia. Può farlo perchè è forte a sufficienza per portare in parlamento un gruppo di deputati. Ma questo esito corrisponderà alla formazione di un nuovo partito-persona. Non credo che sia quello di cui ha bisogno la “voragine” in cui ci troviamo. Certo non a rappresentare la complessità dei problemi reali.

Grillo è stato invitato all’incontro di Torino e ha comunicato di non essere disposto a fare un percorso comune. Nessuno ha inteso escluderlo e credo che sarebbe un errore grave farlo anche in prospettiva. Il discorso deve restare aperto in tutte le fasi. Ma per abbracciarsi bisogna essere in due. Del resto la base di consenso su cui Grillo opera, come potenza mediatico-comunicativa, è la stessa su cui noi stessi intendiamo agire e su cui appoggiarci.

Le piattaforme rivendicative, le proposte di alternativa, anch’esse, sono per molti aspetti (di gran lunga non per tutti gli aspetti) simili. Dunque non è possibile, e sarebbe dannosa, una contrapposizione. Ma senza nutrire illusioni su un percorso condiviso.

Non c’è nella volontà di Beppe Grillo, probabilmente c’è, invece, nelle menti di molti dei suoi sinceri sostenitori, con i quali si dovrà continuare a cercare ogni forma di alleanza e collaborazione possibile. Lo stesso deve valere con chi manifesta una sincera disponibilità al dialogo in base alle premesse qui delineate.

Mantenere aperta la strada del dialogo non significa rinunciare al diritto di critica. Non esistono persone e organizzazioni che possono pretendere di sottarvisi. Né vacche sacre che possano pascolare indisturbate in mezzo alla strada.

Il confronto dev’essere leale e aperto. Anche fra le attuali forze politiche c’è chi si dice promotore dell’alternativa. Anch’esso deve essere esposto all’indagine critica. Il che vale per tutti, in tutte le fasi successive di questo importante confronto.

Chi, per esempio, lavora, più o meno consapevolmente, per ricucire l’abisso che ci divide dalla casta, nuoce a questo processo di costruzione di un nuovo soggetto politico. Non perchè nella casta non vi sono interlocutori possibili. Ma perchè essa è il risultato di processi oggettivi che sono tutti, senza eccezione, contro il progetto di una nuova, democratica, convivenza civile, della nostra stessa sopravvivenza umana.

Tutti coloro che propagandano la crescita, come è stata e com’è ancora, sono nemici da combattere. La splendida immagine dell’enorme corteo della FIOM che attraversa Roma è offuscata dall’ovazione che ha accolto uno dei rappresentanti della casta, il più attraente al momento, Nichi Vendola. Che parla di partecipazione democratica, mentre infila il nome del capo nel simbolo elettorale, infrangendo l'ultimo misero baluardo che la sinistra poneva contro la personalizzazione della politica, utile solo a chi sta sul ponte di comando. E che parla anche lui di crescita, come tutti gli altri.

Andare all’intesa con gli agenti del disastro – basti pensare a tutti coloro che hanno votato per la nostra partecipazione alle guerre - significa diventare corresponsabili del disastro. Partire su queste premesse equivale a non partire affatto.

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ASSEMBLEA NAZIONALE DI ALTERNATIVA

La seconda assemblea nazionale di Alternativa si terrà nei giorni 30 e 31 ottobre a Genova presso il Circolo Autorità Portuale e Società del Porto di Genova (qui tutte le info: http://www.cralporto.it/).

Orario dei lavori:
Inizio ore 10 di sabato 30 ottobre.
Fine lavori entro ora di pranzo di domenica 31 ottobre.

Consigliabile, per chi è più lontano arrivare la sera prima, venerdì 29 e pernottare a Genova. E' possibile che alcune discussioni tematiche (a seconda del numero dei partecipanti), si tengano già nella serata del 29.

Vi chiederemo un contributo 20 euro, comprensivi del pranzo del sabato, per coprire piccole spese organizzative.

Importante, per chi non l’avesse già fatto, dare comunicazione della propria partecipazione scrivendo un'e-mail a: segreteria at giuliettochiesa punto it.

ANTIMAFIADuemila
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