di Giorgio Bongiovanni
Forza Italia è un partito che è stato fondato da un uomo della mafia. Lo abbiamo ricordato in un recente articolo. Non è un'opinione ma una considerazione basata su un fatto preciso in quanto tra i suoi fondatori vi è quel Marcello Dell'Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Una sentenza che spesso viene dimenticata, in particolare dagli stessi membri del partito.
Lo dimentica Mara Carfagna, vicepresidente della Camera, intervenuta nel dibattito che è scoppiato sul "caso Realiti", la trasmissione di Rai2 condotta da Enrico Lucci che lo scorso 5 giugno ha ospitato un cantante neo melodico, il 19enne Leonardo Zappalà, che ha espresso commenti ignobili su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ("Queste persone che hanno fatto queste scelte di vita sanno quali sono le conseguenze. Come piace il dolce, deve piacere anche l’amaro”).
"È sconcertante apprendere che sono andate in onda in prima serata su Rai2 delle interviste in cui un sedicente cantante ha irriso il sacrificio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, e poi un altro ha esaltato suo zio mafioso, detenuto al 41 bis. Non c'è giustificazione né basta un tardivo atto di riparazione - ha detto la Carfagna - Non è sufficiente spostare la trasmissione in seconda serata, o cancellarla da RaiPlay come è stato fatto. (...) È inaudito mischiare tragedia e farsa solo per fare audience. Non ha nulla a che fare con la libertà di espressione ed è, anzi, insopportabile per tutti gli italiani accostare l'immagine di due grandi eroi civili al volto di un provocatore".
Non discutiamo sul "caso Realiti". Su questo assurdo "incidente" televisivo (nella migliore delle ipotesi) condividiamo totalmente il pensiero di Salvatore Borsellino che ha definito lo stesso ragazzo come un "mentecatto". Fatti del genere non possono avvenire nella tv di Stato anche se va dato atto che lo stesso Enrico Lucci è intervenuto rimproverando e stoppando l'ospite. Cosa che, ancor più gravemente, non fece Bruno Vespa quando diede la parola al figlio di Totò Riina. Allora non vi furono repliche del conduttore allo sproloquio. E non ricordiamo allora, da parte della parlamentare, parole critiche nei confronti del programma. Questione di incoerenza, evidentemente. Perché il problema, come sempre, sono le domande scomode che non si rivolgono. E l'onorevole Carfagna dovrebbe rivolgerne diverse prima di poter parlare su temi importanti come la lotta alla mafia o la legalità, dovrebbe chiedere prima conto ai fondatori del suo stesso partito.
Forse non si conosce la storia?
Il 6 maggio 1999 l'ex Premier Silvio Berlusconi, tenendo sottobraccio Marcello Dell'Utri e presentandolo alla platea esultante del Consiglio nazionale di Forza Italia, diceva candidamente: "Questo signore è un grande colpevole, ha una grande colpa, una grande responsabilità: senza di lui Forza Italia non esisterebbe".


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Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi © Ansa


E con queste parole tutti i membri di Forza Italia devono fare i conti. Il perché lo abbiamo già ricordato: Marcello Dell'Utri, "padrino" co-fondatore del partito, è condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nelle motivazioni della sentenza è scritto che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore è stato il garante “decisivo” dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. Inoltre “la sistematicità nell'erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell'Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all'accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.
Un quadro che si aggrava se si leggono anche le conclusioni dei giudici al processo trattativa Stato-mafia (Presidente Alfredo Montalto e giudice a latere Stefania Brambille) per cui "vi è la prova che Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale nel quale incontrava Mangano per le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo”. “Ciò dimostra - si legge sempre nelle motivazioni della sentenza - che Dell’Utri informava Berlusconi dei suoi rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto, perché solo Berlusconi, da premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi interlocutori”.
Mara Carfagna dovrebbe leggere queste sentenze e pretendere una spiegazione da Berlusconi e Dell'Utri su quei dialoghi intercorsi prima e dopo le stragi di mafia.
Sempre i giudici della Corte d'Assise di Palermo che hanno condannato in primo grado l'ex senatore a dodici anni per "attentato a corpo politico dello Stato" scrivono che: "Se pure non vi è prova diretta dell’inoltro della minaccia mafiosa da Dell’Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano”.
Mara Carfagna potrebbe domandare all'ex Premier e all'ex senatore, oggi ai domiciliari, anche dell'inchiesta aperta a Firenze che li vede indagati con l’accusa di essere tra i possibili mandanti occulti delle stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano.
Se non si prendono le distanze da questi personaggi diventa assurda e priva di senso ogni considerazione che si può fare su un ragazzo "mentecatto" di 19 anni.
Prima di parlare di valori di legalità e difendere la memoria di Falcone e Borsellino avrebbe dovuto dimettersi da quel partito, riconoscere che lo stesso è stato fondato da un mafioso, dissociarsi, aderire al gruppo Misto ed eventualmente commentare le dichiarazioni del giovane ospite di "Realiti". Altrimenti è molto meglio il silenzio.

Foto © Imagoeconomica

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