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gli ultimi giorni paolo borsellino 610di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo
Un lungo viaggio negli ultimi 57 giorni di vita di Paolo Borsellino. La sua corsa contro il tempo per individuare gli assassini di Giovanni Falcone. La consapevolezza del giudice della “trattativa” in corso tra mafia e Stato e la sua lotta incondizionata per opporvisi.
Il dolore e la solitudine di un uomo fino all'estremo sacrificio. Dietro di lui l'accelerazione della strage di via D'Amelio per eliminare “l'ostacolo” a quel patto scellerato. Le terribili responsabilità di una parte dello Stato colluso con Cosa Nostra nelle stragi del '92 e del '93. Un'agghiacciante verità che lentamente, ma inesorabilmente, sta emergendo a distanza di tanti anni e che potrebbe riscrivere la storia del nostro Paese.
Nel testo viene riportata l'anticipazione del documento multimediale contenuto nel fascicolo delle nuove indagini sulle stragi del '92 che la procura di Caltanissetta si appresta a depositare: la ricostruzione in 3D della strage di via D'Amelio. Attraverso questa moderna tecnica gli investigatori intendono rappresentare in ogni dettaglio la scena dello scoppio dell'autobomba, anche per mostrare la precisa traiettoria tracciata dal blocco motore della 126 imbottita di tritolo: dal punto dell'esplosione, fino al luogo esatto in cui è stato rinvenuto.
Il racconto ripercorre con dovizia di particolari momenti importanti della vita di Paolo Borsellino, per poi approdare al mistero della scomparsa dell'agenda rossa del giudice e alle ultime indagini sulle stragi e sulla “trattativa”. Dalla segnalazione dell'esistenza della fotografia del carabiniere con in mano la valigetta del magistrato assassinato che ha portato ad una frenetica attività investigativa mirata a scoprire chi avesse rubato quell'agenda, fino alla pietra tombale posta dalla Cassazione su questo “buco nero” nella nostra fragile democrazia.
La “trattativa” intanto è diventato un vero e proprio “accordo” tra due poteri. L'ombra di un depistaggio istituzionale dietro la strage di via D'Amelio prende forma sempre di più attraverso il lavoro degli investigatori. Ma la forza dell'integrità morale del giudice Borsellino torna a rivivere nell'impegno di chi pretende la verità su quelle stragi di Stato. Le testimonianze di alcuni protagonisti di quei giorni restituiscono ora e sempre l'immortalità di Paolo Borsellino.
Con un'intervista esclusiva a Manfredi Borsellino.


Prefazione di Antonio Ingroia

Non è il primo libro dedicato a Paolo Borsellino e non sarà l’ultimo. Almeno lo spero. Perché la copiosa letteratura che si è formata spontaneamente intorno alla sua vicenda umana e professionale testimonia il crescere di interesse per la figura di questo eroe moderno della nostra democrazia. Un vero modello di vita da proporre ai nostri giovani, davvero alternativo rispetto ai modelli devianti spesso imposti dall’imperante semplicismo mediatico, tutti imperniati sulla furbizia, la prevaricazione, l’indifferentismo etico e l’egoismo morale. E non solo. Perché l’abbondanza della letteratura sulla morte di Paolo Borsellino attesta anche quanto sia urgente l’aspettativa di verità, inappagata la sete di giustizia, diffusa l’esigenza di chiarezza su una vicenda ancora troppo oscura, gravida di ombre, schiacciata dai buchi neri dei silenzi e dei depistaggi istituzionali.
Il principale merito di questo bel libro di due giornalisti franchi e coraggiosi come Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo è quello di essere riuscito a essere diverso dagli altri, dai tanti libri – anche pregevoli – dedicati al tema. Perché non è un libro come gli altri. In primo luogo, perché non sposa tesi precostituite o ipotesi più o meno congetturali. Certo, non è del tutto imparziale. Perché è un libro partigiano, nel senso che fa le sue scelte di campo. Ma sono scelte di campo chiare, le stesse di Paolo Borsellino. Sta dalla parte della Verità e della Giustizia. A qualsiasi costo. In secondo luogo, perché lo fa con uno stile originale e complesso. Perché usa lo stile narrativo, ma non è solo il racconto drammatico degli ultimi giorni di vita di Borsellino. Usa lo stile del reportage giornalistico, ma non è soltanto un’inchiesta giornalistica. È l’uno e l’altro. È la cronaca appassionata degli ultimi giorni di Borsellino. Giorni drammatici, dalla strage di Capaci, dove Borsellino perdeva, nello stesso momento, l’amico più grande e il collega più prezioso, fino a via D’Amelio, suo tragico epilogo, attraverso un itinerario irto di ostacoli, sempre più in salita. Una specie di calvario di iniziazione, alla fine del quale Borsellino forse trova la verità della strage di Capaci o ci arriva così vicino da rimanere vittima di quella stessa scoperta. Ma il libro è anche una preziosa e aggiornata guida per il lettore fra le più importanti informazioni e acquisizioni sulla verità di quella stagione stragista.
È per questo motivo, per questa struttura, che nella prima parte del libro funziona bene il racconto in forma narrativa, che riproduce molto efficacemente l’atmosfera da tragedia greca di quella vicenda umana, con quel senso immanente di morte che trasuda dalle pagine, attorno a temi eterni come il sacrificio, il martirio, la verità, l’altruismo etico.
E quando la storia sembra finire, con la tragica morte di Borsellino, ecco che ricomincia, riprende il
suo cammino sulle gambe di altri uomini. Perché è questa la novità del libro. Prima il racconto di quei giorni, che non è quasi mai narrazione individuale, in soggettiva, ma è storia corale, attraverso i testimoni, i familiari, gli amici, i colleghi più cari di Borsellino che raccontano i momenti più intensi di quelle giornate di passione, e che da testimoni e da cittadini si propongono come prosecutori dell’opera dei caduti di cui hanno raccolto il testimone. Ed esaurito il racconto, inizia la vera propria inchiesta giornalistica, che ha il merito di essere l’ultimo e il più aggiornato quadro dello stato delle indagini su quella strage, terribile e ancora oggi oscura. Con i suoi depistaggi, deviazioni dalla verità, dubbi, ombre e buchi neri. Tutte vicende non ancora concluse, alcune delle quali mi vedono protagonista, o testimone dei fatti accaduti nel 1992, accanto a Paolo Borsellino – il mio maestro, il magistrato col quale ho iniziato la mia carriera di pubblico ministero antimafia – o come investigatore che oggi si trova a indagare su vicende collaterali, ma verosimilmente collegate alla strage. Per esempio la cosiddetta trattativa che si sarebbe sviluppata fra Stato e mafia proprio a cavallo delle due stragi palermitane. Senza poter entrare, per ovvie ragioni di riserbo investigativo, nel merito delle vicende narrate nel libro, non posso non rilevare quanto minuziosa, precisa, distaccata e obiettiva sia la ricostruzione dei fatti e delle inchieste ancora aperte che qui viene fatta, parlando di tutti i misteri: dalla trattativa, alla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino, ai dubbi sul luogo dal quale venne premuto il telecomando dell’autobomba, ai retroscena della falsa collaborazione di Vincenzo Scarantino, fino ai tanti sospetti sui depistaggi istituzionali su cui sta indagando l’autorità giudiziaria di Caltanissetta.
Insomma, una storia aperta che non ha, non può ancora avere una sua conclusione fin quando non verrà scoperta tutta la verità su una delle stragi di mafia più anomale della storia della nostra Repubblica, e che perciò trova la spiegazione più plausibile della sua anomalia nella sua matrice verosimilmente non solo mafiosa, come sospettammo tutti fin dalla stessa sera della strage. Un’intima consapevolezza di tanti che ora sembra diventare concretezza investigativa, e forse si appresta a trasformarsi in certezza probatoria.
Un importante contributo alla chiarezza in un momento di grande confusione nel nostro Paese, all’emergere della verità in una fase molto delicata della storia d’Italia. Con l’augurio che coloro che quella Verità la vogliono fortemente riescano a prevalere sui Nemici della Verità e della Giustizia.

Antonio Ingroia



Di strage in mistero


Un carabiniere avanza spedito nell'arena insanguinata di via D'Amelio. Il capitano Giovanni Arcangioli regge in mano la borsa in cuoio di Borsellino. Scavalca brandelli di carne e pozzanghere rosse. Scansa i mattoni caduti a terra come coriandoli. Lo sguardo è distaccato. E' concentrato su quello che deve fare. Un fotografo riesce a immortalare quell'immagine. Anche le telecamera di due Telegiornali nazionali riprendono la scena. Ma in pochi istanti Arcangioli si allontana da via D'Amelio. Scompare dalla visuale di qualsiasi apparecchiatura fotografica e di video riprese. Inizia così il mistero della sparizione dell'agenda rossa del magistrato appena assassinato. Quell'agenda che Paolo Borsellino portava sempre con sé all'interno della valigetta tenuta in mano da Arcangioli. Poco dopo lo scoppio dell'autobomba il primo ad arrivare sul posto è Giuseppe Ayala che abita a 200 metri di distanza. Si avvicina al punto dell'esplosione di via D'Amelio, riconosce per terra Paolo Borsellino. Dopo lo choc iniziale si guarda intorno. Con lui ci sono solo gli uomini della sua scorta. Subito dopo arriva la prima pattuglia di polizia e i vigili del fuoco. In mezzo a quel delirio Ayala si accosta alla macchina del giudice, al suo interno vede la sua borsa. Un agente della sua scorta, l'appuntato dei carabinieri Rosario Farinella, si fa aiutare da un vigile del fuoco per aprire la portiera posteriore sinistra della Croma del giudice. L'esplosione ha incastrato le lamiere, ma dopo un paio di tentativi si riesce finalmente ad aprire. L'appuntato Farinella prende la valigia di Borsellino e la porge all'ex Pm. «Io personalmente ho prelevato la borsa dall'auto – dichiara Farinella agli investigatori – e avevo voluto consegnarla al dr. Ayala. Questi però mi disse che non poteva prendere la borsa in quanto non più magistrato, per cui io gli chiesi che cosa dovevo farne. Lui mi rispose di tenerla qualche attimo in modo da individuare qualcuno delle Forze dell'Ordine a cui affidarla. Unitamente a lui ed al mio collega ci siamo allontanati dall'auto dirigendoci verso il cratere provocato dall'esplosione, mentre io reggevo sempre la borsa». «Dopo pochissimi minuti – ricorda l'appuntato dei carabinieri – non più di 5-7, lo stesso Ayala chiamò un uomo in abiti civili che si trovava poco distante e che mi indicò come ufficiale o funzionario di polizia, dicendomi di consegnargli la borsa. Allo stesso, il dr. Ayala spiegava che si trattava della borsa del dr. Borsellino e che l'avevamo prelevata dalla sua macchina […]; l'uomo che ha preso la borsa non l'ha aperta, almeno in nostra presenza; ricordo che appena prese la borsa, lo stesso si è allontanato dirigendosi verso l'uscita di Via D'Amelio, ma non ho visto dove è andato a metterla». Quello che avviene subito dopo in quella via è un buco nero degno della Spectre di Bondiana memoria. Arcangioli si allontana dal cratere di via D'Amelio con la valigetta in mano. E' questione di minuti e la borsa ricompare di nuovo nel sedile posteriore della Croma di Borsellino. In via D'Amelio sono sopraggiunti nel frattempo il commissario Paolo Fassari (I Dirigente della Polizia di Stato, Funzionario reperibile per la Squadra Mobile di Palermo in assenza del dirigente Arnaldo La Barbera) e l'assistente capo di Polizia, Francesco Paolo Maggi. Dopo aver espletato alcune attività investigative Francesco Maggi si avvicina alla Croma di Borsellino. La portiera posteriore sinistra è aperta. Sul sedile posteriore è appoggiata la valigetta di Borsellino. Lo stesso Maggi racconterà di averla prelevata dall'auto, di averla portata in questura e su indicazione di Fassari. Verso le ore 18,30 la borsa è nell'ufficio del dirigente della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Ma nella valigetta non verrà ritrovata l'agenda rossa. Si ripetono così i lugubri «canoni» della maggior parte degli «omicidi eccellenti». Alle personalità uccise viene trafugato un oggetto personale ritenuto compromettente per i mandanti di quell'omicidio. Non ha importanza che si tratti di un diario, di un'agenda o di un  video. Non deve rimanere alcuna traccia del lavoro della vittima. Non deve rimanere memoria delle sue analisi, dei suoi riscontri o delle sue deduzioni. L'oggetto trafugato deve finire nelle mani di chi potrà eventualmente usarlo come arma di ricatto verso terzi. Una metodologia palesemente al di fuori dalle mere logiche di vendetta di Cosa Nostra nei confronti dei propri nemici. Il mistero che ruota attorno alla scomparsa dell'agenda rossa di  Borsellino si impregna così di quei «sistemi criminali» che sono alla base dello stragismo nel nostro Paese. Le «menti raffinatissime» che ordinano di fare sparire l'agenda del magistrato temono che tra quelle pagine vi sia la prova delle sue conoscenze di quel «gioco grande» che aveva individuato. La forza dirompente dell'integrità morale di Paolo Borsellino, unita alla sua straordinaria professionalità sono in assoluto i fattori destabilizzanti per quelle entità esterne a Cosa Nostra. Una serie di convergenze di interessi tra Cosa Nostra e centri para-istituzionali si intersecano indissolubilmente quel 19 luglio 1992. E la storia è tutta da riscrivere.

Aliberti editore www.alibertieditore.it  pp. 363 € 16,50

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