di Piero Innocenti - 21 febbraio 2013
Di questi tempi, in Messico, è sempre più frequente trovare, lungo le strade, cadaveri di uomini e donne decapitati, squartati e lasciati in sacchi di plastica nera, di quelli della spazzatura per intenderci. Uno degli ultimi rinvenimenti risale al 24 gennaio . con i pezzi di sei corpi di uomini, senza testa, ritrovati alla periferia di Toluca. Uno spettacolo terrificante, messo in scena dai narcos, in questo caso dalla Familia Michoacana, come ammonimento per chi li contrasta. La crudeltà e la bestialità delle stragi che alcuni gruppi di narcotrafficanti messicani hanno compiuto negli ultimi anni lasciano sgomenti. Non ci sono termini di paragone nel panorama mondiale della criminalità (a parte i Talebani che praticano la decapitazione sia dei soldati catturati che di quegli afghani che, ascoltando musica, vanno contro le tradizioni!).
Dall’episodio, nel settembre 2006, ancora vivo nella memoria di molti abitanti di Uruapan, di cinque teste fatte rotolare su una pista da ballo in una discoteca, alle decine di corpi mutilati e appesi ai ponti pedonali di alcune città, ai quarantanove tronconi umani trovati senza testa, braccia e gambe, lungo la strada di Cadereyta nel maggio c.a., le stragi si sono succedute a ritmi incalzanti. Dopo alcuni episodi di autobomba fatte esplodere innanzi a caserme o a sedi di giornali, sono iniziati veri e propri massacri nella lotta tra cartelli e bande di narcos che si contendono pezzi di territorio per il traffico di droghe e il controllo degli itinerari di esportazione. Le teste mozzate (e gli squartamenti dei cadaveri) si stanno ripetendo a ritmi impressionanti. Dalle 32 teste mozzate nel 2007, si è passati alle 493 nel 2011. E alla fine del 2012, secondo fonti ufficiose, il numero è stato ancora superiore. Si potrebbe pensare che si tratta di delinquenti con gravi problemi di alterazioni psichiche e la vicenda di uno di questi, conosciuto come “El Pozolero” che guadagnava seicento dollari per ogni cadavere sciolto nell’acido (operazione compiuta per circa trecento persone), in qualche modo sembrerebbe la conferma di criminali psicopatici predisposti geneticamente alla violenza. Una scia di sangue inarrestabile. Mentre si scrivono queste note si susseguono le notizie di altri cadaveri mutilati, decapitati e con segni di torture subite, rinvenuti a Tamaulipas, nel municipio del Fuerte (Sinaloa), a Venustiano Carranza (Michoacan), a Coyacan, a Monterrey. La cattura, il 6 gennaio c.a. di El Cholo, al quale si attribuiscono almeno una decina di squartamenti e tagli di teste di persone eseguiti a Tepic nell’estate del 2011, è un piccolo successo della polizia di Nayarit.
In Italia, poco più di sei mesi fa – il 20 agosto – il ritrovamento, ad Afragola, a bordo di un’auto, del cadavere di un pregiudicato della camorra, decapitato ( fatto insolito) e bruciato, ha suscitato qualche perplessità negli investigatori. Nel nostro paese, soltanto ai tempi delle dominazioni spagnola e francese e della lotta contro gli “insorti”, gli episodi selvaggi e di primitività erano particolarmente ricorrenti come ci ricorda Ciconte nel suo pregevole libro “Briganti e banditi” (Rubbettino,2012): “..tagliano la testa agli insorti e la sostituiscono con quella dei maiali appena mangiati dell’esercito”. Oppure sui giacobini “..uccisi in vari modi e decapitati..le teste infilate nelle pertiche ed esposte nella piazza mentre la gente balla allegramente nello spiazzo imbrattato di sangue”. Lo squartamento, poi, era usanza antica e abituale che veniva praticata in tutto lo Stato pontificio. Ai tempi di SistoV, il Pontefice che volle affrontare i banditi con grande determinazione, “..c’erano più teste tagliate a Castel S. Angelo che cocomeri al mercato”. Il taglio della testa fu una pratica costante dal Seicento all’Ottocento.
In Messico, per i mafiosi, rappresenta un (macabro) rituale simbolico. Si uccide per terrorizzare. L’esposizione di cadaveri con le teste recise ( pare che siano stati assoldati per queste operazioni anche macellai e chirurghi), contenute, talvolta, in borse termiche, con gli occhi bendati, incancreniscono l’odio e alimentano il rancore degli avversari in una spirale di violenza e di vendetta che sembrano inarrestabili. Le atrocità di questo genere sono andate crescendo nel 2012 mentre il Messico si preparava alle elezioni presidenziali del primo luglio (vinte da Enrique Pena Nieto, del PRI, che ha assunto le funzioni di presidente il primo dicembre 2012). Un paese, per altri versi splendido, in cui, tuttavia, quasi il 70% dei 2431 municipi è sostanzialmente sotto il controllo delle mafie, con più di sessantacinquemila omicidi collegati alla c.o. ( cui si aggiungono diverse migliaia di persone scomparse senza lasciare traccia) nei sei anni di presidenza Calderon, con un’impunità del 99% dei delitti. Un paese così non può essere un paese libero.
I cartelli messicani, intanto, hanno aperto vere e proprie “agenzie” di rappresentanza in Australia (accordandosi con la ‘ndrangheta), Guatemala, Honduras, Costarica, Nicaragua, San Salvador, Perù Argentina, Colombia, Belgio, Olanda, Spagna, Usa, Italia, Hong Kong, Cina , Malesia. Rapporti particolarmente stretti hanno instaurato con la ‘ndrangheta. Le operazioni internazionali di polizia (Solare, Crimine, Crimine2 e Crimine3), svolte negli ultimi quattro anni e coordinate dalla DDA di Reggio Calabria, hanno ben evidenziato i rapporti di “affari” tra la mafia calabrese e i temibili Los Zetas. Il cartello di Sinaloa guidato da El Chapo avrebbe avviato “affari” anche con Cosa Nostra. Nel marzo 2012 il sequestro nel porto di Gioia Tauro (controllato dalla ‘ndrangheta), di 260 kg di cocaina in due container su due navi,una delle quali salpata dal porto messicano di Mazatlan e l’operazione “Monterrey” (DDA di Palermo e Polizia di Stato),due mesi dopo, iniziata sin dal 2006 con il sequestro di oltre 400 kg di cocaina spedita in Italia da un italiano residente in Messico, hanno confermato le “saldature operative” tra le due mafie. E non è finita! Nel 2012, gli arresti di una ventina di“narcorrieri” messicani negli aeroporti italiani, con il sequestro di oltre cinquanta chilogrammi di droghe, lasciano intendere che gli affari proseguono a gonfie vele. E sul punto non c’erano dubbi!
Tratto da: liberainformazione.org