di Giulietto Chiesa
Hillary Clinton vincerà le elezioni americane. Se arrivano fino a conclusione. Su questo non c'è dubbio. Deve vincerle. Non è possibile alcuna alternativa.
Lo ha deciso, in modo bipartisan, l'elite degli Stati Uniti. I vertici del Partito Democratico e di quello Repubblicano, all'unisono. È la nuova versione del "consenso washingtoniano". Tutti i più importanti centri di ricerca della capitale americana sono, da mesi, impegnati a distillare le formule e l'inquadramento del personale che dovrà eseguire la nuova fase di dura confrontazione con Mosca e con il resto del mondo.
Atlantic Council, Brooking's Institution, l'American Enterprise Institute, etc, non hanno perso tempo. Il tempo è poco e non c'è da perderne altro. Ma l'élite è un conto, e gli elettori sono un altro conto. La gestione della candidatura di Hillary ha richiesto enormi sforzi in tutti questi mesi.
Ma, nonostante tutte le precauzioni, a dispetto del pilotaggio dei sondaggi, contro il flusso di informazioni positive per lei, disastrose per lui, sebbene tutti i più importanti centri di influenza e manipolazione dell'elettorato abbiano agito di comune accordo contro Trump, la distanza tra ì due è rimasta quasi impercettibile, comunque contrastata. Brutto segno.
Donald Trump ha già dimostrato di essere sufficientemente coriaceo da sconfiggere addirittura l'apparato del suo stesso partito (che non lo voleva candidato e ha fatto di tutto per impedirgli di diventarlo, inclusi i colpi bassi). E ha potuto raggiungere il suo risultato perché ha trascinato al voto centinaia di migliaia di sostenitori tradizionalmente assenteisti. Il pericolo di Trump, per l'establishment, è che egli sta interpretando - e mobilita - la profonda ripulsa di una grande parte dell'elettorato, che aborre la classe politica, la sua corruzione, la sua inamovibilità.
Come scrisse sarcasticamente Gore Vidal, "la democrazia americana è un'acquila che ha due ali: entrambe destre". L'esperienza americana dice che si può volare anche in queste condizioni, ma solo se l'economia tira. Adesso non tira e non pare che possa tornare a tirare.
Dunque c'è un margine di rischio: che vadano a votare troppi di quell'America profonda che non ha mai votato prima. Quella che i sondaggi, anche quelli che non sono pilotati dalla "casta", non riescono a sondare.
Può l'élite bipartisan accettare l'eventualità di un colpo di coda? Non pare. Più probabile è che stia preparando una soluzione di riserva. Lo ha fatto pensare la strana "uscita" del vice-presidente Joe Biden, che è andato in tv a rivelare al pubblico che la Russia può "modificare in modo sostanziale" il risultato elettorale degli Stati Uniti. Forse l'Amministrazione, con i potenti strumenti di interpretazione dei "metadati" che le sono forniti dai social networks, ha brutte notizie che non può rendere note.
Così, le cose andassero non per il verso giusto, si potrà sempre dire che "è colpa di Putin". O che Trump altro non è che un burattino nelle mani della Russia. Certo, suonerebbe un tantino comica l'idea che la massima superpotenza, la nazione "designata", non è in grado di gestire la propria successione al potere.
Ma, diciamocelo francamente, può l'America avere un presidente deciso da Mosca? Certo che no! Per carità! Meglio non avere nessun presidente. Per cui il suggerimento è: non dare nulla per scontato fino alla fine.
Tratto da: it.sputniknews.com
Foto © AP Photo/ Steve Polczwartek