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Un colpo basso quello inflitto dalla mafia che opera in zone di interesse finanziario-criminale della madre terra sudamericana, che non sono poche, quando ha assassinato l'attivista e sindacalista ambientale Chico Mendes in Brasile, 34 anni fa, il 22 dicembre 1988. Un colpo che ha scosso e commosso il mondo, ma nell'interno più profondo della criminalità imprenditoriale di quei tempi, neanche per un momento si è sospettato che l'avere falciato quella vita si sarebbe trasformato in un vero e proprio boomerang contro la stessa criminalità. Infatti l’attenzione del mondo intero si è focalizzata sugli autori materiali, ma soprattutto sul movente del mortale attacco. Ideologia criminale che non si è limitata all’attentato di quei giorni ma si è addirittura rafforzata, lasciando una sconvolgente scia di vittime in America Latina: tante le vite spezzate negli anni a seguire.  

Vite di contadini, di membri di popoli originari e di attivisti ambientali che lottano senza sosta per difendere terre, fauna autoctona e diritti in luoghi del pianeta che per gli sbirri del capitalismo predatore non sono altro che scenari propizi per l'elaborazione di progetti imprenditoriali, per accumulare fortune senza tenere conto dei diritti sulle terre, della sovranità, sottomettendo ogni cosa ad ogni loro passo, con l’unico interesse dei ricavi monetari. Così semplice. Così immorale. Così criminale. Ricordando oggi Chico Mendes non possiamo non ricordare, per esempio, anche Berta Cáceres. Entrambe vittime mediatiche che hanno offerto la propria vita in regioni distanti tra loro ma unite da un nemico comune, drammatico e agghiacciante: il potere. 

Si chiamava Francisco Alvez Mendes Filho ed era conosciuto per la sua intensa attività di sindacalista e di attivista a favore dell’ecosistema come Chico Mendes, ed era nato nella località di Xapurí, in Brasile, il 15 dicembre 1944. Era, inoltre, un raccoglitore di caucciù, come suo padre. Un combattente pacifico nonostante avesse abbastanza motivi per adottare la violenza come metodologia di lotta, avendo visto, sin dall'infanzia, gli oltraggi dei potenti del suo tempo, specialmente contro i lavoratori dell'Amazzonia nei terreni dove si raccoglieva il caucciù. È proprio in questo contesto, di violenza sociale contro i diseredati ed i lavoratori – sfruttati nel lavoro - che Chico si è formato nella lotta sindacale e, quasi simultaneamente, nella lotta a favore dell'ecosistema. 

Con il passare degli anni la sua popolarità cresceva sempre di più, non solo nella regione ma anche all'estero. Premiato con il Global 500 dell'ONU in Inghilterra e con la Medaglia del Medio Ambiente della Better World Society negli Stati Uniti. Circostanze che, ironicamente, gli diedero visibilità come elemento pericoloso per il potere. Quel potere rappresentato da capisquadra violenti e lavoratori affamati di guadagni che capirono che quell'uomo - difensore dell'Amazzonia - era senza alcun dubbio un ostacolo da eliminare, a qualunque prezzo. Come sarebbe accaduto, diversi anni dopo, all’indigena lenca Bertha Cáceres, in Honduras.    

Chico Mendes fu assassinato all'età di 44 anni. I suoi sicari furono Darly Alvez Dà Silva ed uno dei suoi figli, Darly Alvez Pereira, che, come rilevato a quel tempo, erano in realtà latifondisti integranti dell'Unione Democratica Ruralista il cui principale interesse era favorire – con ogni mezzo - lo sfruttamento privato della terra. Il dato più sinistro riguardo questa organizzazione, in apparenza funzionale a progetti di sviluppo rurale nell'Amazzonia, è che disponeva gli omicidi di coloro che lottavano contro i loro interessi, contro le loro tasche, che dicevano no all'industrializzazione di un territorio ricco di risorse naturali, fino ai nostri giorni. 

Lo stesso Chico Mendes, in diverse occasioni, ha descritto la situazione di tutti coloro che osavano denunciare, contrastare o affrontare il regime terroristico imposto dai latifondisti e proprietari terrieri di quelle terre in quegli anni, abbracciati al potere economico mentre elaboravano progetti. 

Un regime di terrore da lui denunciato senza mezzi termini in uno dei suoi interventi e che in un certo senso potrebbe sembrare una premonizione: “Non voglio fiori sulla mia tomba perché so che andrebbero a strapparli alla foresta. Voglio solo che la mia morte serva a mettere fine all’impunità dei ‘jagunços’ che possono contare sulla protezione della polizia federale e che hanno già ammazzato più di cinquanta persone come me, leader seringueiros impegnati a salvare la foresta amazzonica e a dimostrare che il progresso senza distruzione è possibile”.

Parole drammatiche quelle di Mendes alle quali se ne aggiunsero altre pochi giorni prima di venire ucciso sulla porta di casa sua. Parole cariche di un valore indescrivibile ma anche di tragedia, per niente distanti dalla sua realtà.

“Se scendesse un inviato dai cieli e questo mi garantisse che la mia morte rafforzerebbe la nostra lotta, ne varrebbe la pena. Ma l'esperienza ci insegna il contrario. Allora io voglio vivere. Cerimonie pubbliche e funerali con molta gente non salveranno I'Amazzonia. Voglio vivere!”.

Interi popoli dell'America latina rimasero scossi dalla notizia dell'attentato contro Chico Mendes. Interi popoli si sono indignati. Lo hanno pianto. Lo hanno valorizzato, riscattato dalle infamie e dalle indifferenze di chi non ammetteva - impunemente – che era stato ucciso un uomo perbene, amante della vita, della terra e della libertà. E l’attentato che gli strappò la vita dimostrava pienamente che le sue parole non erano errate; non erano equivoche.  

Gli atti di intimidazione, di fustigazione, di assassinio degli attivisti ambientalisti e di chi, dal mondo del giornalismo, ha osato denunciare abusi nei territori brasiliani, sono ancora oggi la normalità. Uno di questi, in tempi più recenti, ha mostrato la crudeltà criminale in tutta la sua portata, ed è stata la morte - a giugno di questo anno in Amazzonia - del giornalista britannico Dom Phillips, di 57 anni, e dell'indigeno brasiliano Bruno Pereira, di 41 anni. Questo ultimo è stato colpito a morte con tre colpi alla schiena, ed il suo amico e collega di lavoro Phillips è stato ugualmente colpito dagli spari per il solo fatto di accompagnarlo, come hanno confermato le autorità all’opinione pubblica al momento della cattura dei responsabili.

Un fatto commesso in una zona remota ed isolata dell'Amazzonia, considerata pericolosa per la presenza operativa di narcotrafficanti, di altri gruppi criminali e cacciatori furtivi  e si presume che il duplice attentato sia maturato proprio tra loro  dato che le sue denunce avrebbero pregiudicato i loro affari illegali, in una terra che, invece di amarla e proteggerla, non facevano altro che distruggerla ed inquinarla con operazioni servili al potere imprenditoriale.  

Per esempio, secondo la polizia, Pereira sarebbe stato ucciso proprio per aver denunciato, in non poche occasioni, la pesca illegale in zone protette e perché stava anche portando avanti un progetto per fornire assistenza agli indigeni locali, per denunciare le invasioni delle loro terre, pur avendo ricevuto anche in precedenza minacce di morte. 

In un tale contesto di sistematica torbidezza criminale uomini come loro, in questo tempo, e come Chico Mendes, 34 anni fa, cercavano di portare avanti progetti legittimi di preservazione della terra, dell'ecosistema, della fauna, in chiara e ferma opposizione ai progetti predatori dei capitalisti, protetti da sicari e da elementi della criminalità da sempre.  

Ricordare Chico Mendes non è sufficiente. Rendergli omaggio nell'agenda delle ricorrenze non è sufficiente. Non basta una vita per segnalare, con dito accusatore, tanta sfrenata infamia  in Amazzonia ed altrove, sorvolando sulle teste di persone che abbracciano cause giuste e lotte sociali, con un attivismo fatto di impegno e tristemente consapevole delle sue conseguenze. 

Non bastano vite, sforzi e sacrifici come giornalisti orientati nella stessa direzione per la tenace difesa della vita e la denuncia delle violenze che vengono operate dai seggi del potere economico dei nostri giorni. 

Chico Mendes, cercheremo di convincerci, giorno dopo giorno, che il tuo martirio non è stato vano e non lo sarà mai.  

È il minimo che possiamo fare.

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