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simboli massoni tempiodi Salvo Palazzolo
Sei arresti a Catania, un “fratello” faceva da trait d’union fra la cosca di Aldo Ercolano e una Gran loggia Fallimenti controllati dal clan che intimidiva chi voleva partecipare alle vendite. Mani anche sugli appalti

I VERBALI

«Io sono stato a casa sua», si vantava il fratello della Gran Loggia massonica Federico II. A casa dei boss Ercolano. «Lo zio Iano prima di morire mi ha detto: mi raccomando a te, e me li ha raccomandati». Lo “zio Iano”, ovvero il boss Sebastiano Ercolano aveva raccomandato i suoi figli Aldo e Mario al massone Sebastiano Cavallaro. Figli boss pure loro. Cavallaro, “primo diacono” della “Gran loggia Federico II Ordine di stretta osservanza”, era l’ufficiale di collegamento fra Cosa nostra e ambienti della massoneria. Questo narra l’ultima indagine del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Catania, che ha portato in carcere Aldo Ercolano, il suo fidato Giuseppe Finocchiaro e Cavallaro; il boss e il massone sono accusati entrambi di associazione mafiosa. «La loggia ed esponenti di rilievo del clan Eracolano erano pericolosamente intrecciati in un censurabile do ut des », scrive il gip Santino Mirabella. I massoni chiedevano e i mafiosi eseguivano.

L’ASTA FALLIMENTARE
Per le faccende più delicate, era direttamente Cavallaro a intervenire. Così accadde quando ci fu la necessità di pilotare un’asta fallimentare che stava particolarmente a cuore al “Sovrano” della Gran loggia di Cavallaro, l’imprenditore Francesco Rapisarda. In quell’asta dovevano essere venduti i beni della “Mediterranea Costruzioni Metalmeccaniche” appartenuta proprio a Rapisarda. Cavallaro si diede un gran da fare per avvicinare tutti gli interessati, invitandoli a desistere. Bastò spendere il nome di Aldo Eracolano, così dice l’inchiesta coordinata dal sostituto Rocco Liguori e dal procuratore aggiunto Carmelo Zuccaro. La seconda fase non presentò ostacoli: dopo alcune aste andate deserte, un capannone che vale un milione fu venduto per 270 mila euro a un procuratore speciale di “Unicredit Leasing spa”, che poi girò subito l’immobile a una società amministrata dalla moglie del “Sovrano”. Adesso, il procuratore e un avvocato sono indagati. I fratelli Francesco e Carmelo Rapisarda sono invece finiti ai domiciliari assieme a un loro collaboratore, Adamo Tiezzi. I pm chiedevano una misura cautelare anche per l’avvocato Antonino Drago, che si sarebbe rivolto ai boss per il recupero di un affitto di mille euro, ma il gip non ha ritenuto gli indizi sufficienti per l’accusa di estorsione.

L’APPALTO
L’indagine coordinata dal colonnello Alberto Nastasia, il comandante del nucleo di polizia tributaria, dice che a Cavallaro si rivolsero anche gli imprenditori che volevano aggiudicarsi l’appalto per la riqualificazione dell’ex mattatoio di Santa Maria di Licodia. Pure loro sollecitavano un intervento del massone su Ercolano. Ma, questa volta, non funzionò. Cavallaro era furioso: «Dice una cosa e poi ne fa un’altra», si lamentava. «Noi eravamo sicuri al cento per cento che questi si ritiravano, io mi sentivo i soldi nella sacchetta ». Fu quella volta che Cavallaro raccontò di quando il padre padrino gli aveva affidato i figli diventati mafiosi. «Mi ha detto, ti raccomando a te - diceva stizzito - a me me li ha raccomandati... ma che spacchio mi ha raccomandato che sono due teste sceme?». Insomma, a detta del massone, non ci sono più i mafiosi di un tempo.

L’OBBEDIENZA
Però, Cavallaro continuava a cercare Aldo Ercolano. E, intanto, era uno dei più assidui componenti della “Kairos”, una delle quattro logge della Federico II. Il tempio massonico era inizialmente in via Etnea 690, a Catania, poi fu trasferito a San Giovanni La Punta, quindi a Pedara. Nonostante le quattro logge avessero un “Gran maestro”, era il “Sovrano” Rapisarda l’uomo forte dell’Obbedienza. Scrive il gip: «Il potere rivestito dal “Sovrano” consentiva anche di destituire i “fratelli” dai propri incarichi, come avvenne per il suo luogotenente».
I pentiti «I vertici di Cosa nostra sono inseriti nelle logge segrete della massoneria», ha raccontato già nel 1994 il pentito Maurizio Avola. I pm lo ricordano. Prosegue Avola: «Secondo quanto mi disse Marcello D’Agata, Nitto Santapaola, il più importante capomafia catanese, era massone. Attraverso tale inserimento nelle logge era stato presentato ai personaggi più autorevoli del mondo accademico e delle istituzioni di Catania». I rapporti fra mafia e massoneria non si sono mai interrotti.

Tratto da: La Repubblica-Palermo

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