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zucchetto-calogero-webdi Marco Cappella - 14 novembre 1982/2012
Palermo. La sera di domenica 14 novembre 1982, all'uscita dal bar "Collica" in via Notarbartolo, Calogero Zucchetto, brillante poliziotto ventisettenne, fu ucciso con cinque colpi di pistola alla testa sparati da due killer in sella ad una moto. Un omicidio sul quale una prima verità giudiziaria è arrivata solo nel 2001. Dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è emerso che nell’agguato parteciparono tre killer Giuseppe Lucchese, Mario Prestifilippo e Pino Greco "scarpuzzedda". Il delitto è stato inserito nel maxiprocesso “Tempesta” con circa 150 imputati in cui sono stati presi in esame una serie di omicidi commessi tra gli anni Settanta e Ottanta. Dalle indagini è emerso che Calogero Zucchetto e i suoi carnefici, si conoscevano perché cresciuti nello stesso quartiere di Ciaculli. Alcuni giorni prima del delitto l'agente si trovava in moto con il vice questore Ninnì Cassarà ed avrebbe incrociato per strada Lucchese, Greco e Prestifilippo. Secondo alcuni investigatori Calogero Zucchetto pagò con la vita per il ruolo avuto nella cattura del latitante Salvatore Montalto.


Mi hanno riconosciuto!
La vendetta mafiosa contro il giovane agente Calogero Zucchetto
di Luca Tescaroli

Settantadue giorni dopo l´eliminazione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie e dell´agente di scorta, alle 21,25 del 14 novembre 1982 venne assassinato, dinanzi al bar Collica di via Notarbartolo, Calogero Zucchetto, brillante poliziotto ventisettenne, nato a Sutera e appartenente alla sezione investigativa della squadra mobile.
 Cinque colpi di calibro 38 furono sparati dalla squadra della morte costituita da tre «uomini d´onore» della borgata di Ciaculli, che con l´agente si erano incontrati pochi giorni prima del delitto. Zucchetto era in Vespa con Ninni Cassarà, il capo della Mobile che sarà ucciso tre anni dopo. Un incontro che aveva molto preoccupato quel servitore dello Stato. «Mi hanno riconosciuto», aveva detto ai colleghi. Pagò con la vita il ruolo avuto nella cattura del latitante Salvatore Montalto, capo mandamento di Villabate, che aveva individuato nel territorio dei Greco e dei loro alleati Prestifilippo.
Zucchetto aveva saputo stabilire rapporti confidenziali con gestori di locali pubblici, proprietari di negozi e con gli stessi pregiudicati, e ciò si era rivelato di grande aiuto in varie indagini. Aveva contribuito con Giuseppe Montana e Ninni Cassarà alla redazione del famoso «rapporto dei 162» che rappresentò il primo serio tentativo di costruire una mappa aggiornata dell´organigramma degli aggregati mafiosi e dei nuovi equilibri che andavano maturando dopo l´inizio dell´ultima guerra di mafia.
Sono trascorsi 21 anni dal suo assassinio dimenticato e a quel poliziotto è necessario rendere omaggio. Tutti devono essergli grati per ciò che ha fatto e per il coraggio dimostrato. Il suo fu uno straordinario contributo e un esempio di abnegazione profuso prima dell´avvento dei collaboratori di giustizia, quando le indagini erano affidate all´intuito e alla capacità di uomini che, come Zucchetto, avevano saputo gestire le proprie fonti informative, anche inserite in circuiti criminali, senza accettare compromessi o piegarsi a concedere indebiti favori in cambio delle notizie.
Calogero Zucchetto rappresenta quelle forze dell´ordine che lavorano sul territorio, senza pigrizia, paura e complicità, per raccogliere e sfruttare input investigativi al fine di individuare i responsabili dei delitti e catturare latitanti; che presentano rapporti e informative, senza i quali il lavoro del magistrato non può svilupparsi. Prima di lui erano caduti valenti operatori sul campo come il colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo (il 20 agosto 1977), il vice questore aggiunto Boris Giuliano (il 21 luglio 1979), il capitano dei carabinieri Emanuele Basile (il 3 maggio 1980), il maresciallo Guido Jevolella (il 10 ottobre 1981) e il carabiniere Nicolò Piombino (il 26 gennaio 1982).
Dopo l´assassinio del giovane agente, una lunga serie di funzionari di polizia e ufficiali dei carabinieri vennero ammazzati. La mafia non gradisce rappresentanti delle istituzioni troppo zelanti come Zucchetto. Li ha sempre uccisi e, a tempo debito, continuerà a eliminare quelli che danno fastidio. A tutti costoro bisogna essere profondamente grati.
La ricorrenza della sua morte rappresenta un´occasione importante per non cancellare il ricordo del suo sacrificio, soprattutto in questo periodo in cui Cosa nostra si ripropone come mafia mediatrice, utilizza l´omicidio in modo selettivo e crescente, pone mente ad attentati eclatanti per conservare, potenziare ed eliminare ostacoli al proprio dominio sul territorio e sulle attività economiche. Intanto il Paese appare distratto da altre emergenze, infatuato dalle letture minimaliste che crescono attorno alla pericolosità del fenomeno mafioso e continua a non attribuire il peso dovuto agli assassini di mafia, che sembrano scivolare sulla coscienza collettiva quando vengono perpetrati in Sicilia o in altre regioni del Sud ad alta densità criminale (ne costituisce un esempio emblematico l´omicidio del bracciante agricolo Giuseppe Bruno, ammazzato con quattro colpi di pistola, di cui uno al volto, il 9 ottobre scorso a Sant´Angelo Muxaro, nell´Agrigentino). Rimane indifferente dinanzi al ritorno a Palermo di boss di rango come Gaetano Fidanzati e Leonardo Greco (che hanno segnato la storia della mafia), risulta incapace di stimolare nuove e significative collaborazioni idonee ad aprire la saracinesca sui rapporti tra Cosa nostra, politica e imprenditoria, disponibile a considerare chiusa la partita con la disfatta dell´area militare dell´organizzazione, fatica a compattarsi sugli strumenti legislativi per introdurre e rendere operativo nel nostro sistema un importante istituto di contrasto della moderna criminalità organizzata: il mandato di arresto europeo che, consentendo la soppressione del meccanismo dell´estradizione e la creazione di un meccanismo più snello capace di mettere direttamente in contatto i sistemi giudiziari dei Paesi interessati, offre all´apparato repressivo uno strumento idoneo a incidere sulla dimensione transnazionale (che Cosa nostra assume sempre più) e a rendere più agevole perseguire i delitti commessi da individui che poi si trovano fuori dal territorio nazionale.
All´interno delle istituzioni divampano conflittualità, proprio nel settore antimafia, costruito faticosamente sui cadaveri di coloro che nell´ultimo ventennio hanno promosso e attuato concretamente l´azione di contrasto all´universo mafioso. È necessario imparare a rimanere continuamente legati al proprio passato, per quanto lontano. Se davvero così si riuscisse a fare, l´entrata in vigore - il 1? gennaio 2004 - del nuovo testo unico in materia di protezione dei dati personali dovrebbe ingenerare molte riflessioni. La nuova normativa riduce i tempi di conservazione dei dati del traffico telefonico (sei mesi che, in caso di investigazioni, possono essere aumentati a trenta) prima di essere distrutti. Ci si dimentica che gli accertamenti di questo tipo richiedono, di norma, molto tempo e di quanto siano stati importanti i risultati dello sviluppo dei traffici telefonici cellulari nell´individuazione dei responsabili delle stragi di mafia.
La memoria deve essere costruita anche con il culto dei caduti e indurre a far comprendere ai cittadini come non possa esistere un contrasto serio al crimine organizzato con giudici non indipendenti o intimiditi. La stessa memoria deve essere presente nel conflitto fra il potere di Cosa nostra e i poteri dello Stato e ravvivare la tensione che si è sopita in questi anni.
Per gentile concessione dell’autore.

ANTIMAFIADuemila N°36

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