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La seconda sezione della Cassazione ha annullato con rinvio il decreto di confisca nei confronti dell'imprenditore del settore dei detersivi Giuseppe Sammaritano, 68 anni, di Palermo, ritenuto appartenente all'associazione mafiosa. Il provvedimento, che riguardava beni per un valore approssimativo di 210 milioni di euro, era stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale nel 2016 ed era stato poi confermato dalla Corte d'Appello del capoluogo siciliano quattro anni più tardi. Riferimenti al noto imprenditore commerciale erano inseriti in alcuni pizzini trovati nel covo di Bernardo Provenzano, a Montagna dei Cavalli di Corleone (Palermo) l'11 aprile 2006. Tra i beni confiscati le società Sicilprodet, Fratelli Sammaritano e Max Gros, aziende agricole e vari fabbricati, affidati all'amministrazione giudiziaria. La Cassazione, accogliendo i ricorsi degli avvocati Pier Paolo Dell'AnnoBaldassare Lauria e Salvatore Taverna, ha ordinato un nuovo processo di appello. Secondo i difensori, il decreto della Corte di Appello di Palermo "è stato emesso in violazione di legge in ordine ai presupposti legali della confisca di prevenzione". "Giuseppe Sammaritano - prosegue la nota dei legali - non è mai stato un imprenditore mafioso, al contrario è stato vittima della Mafia. I giudici avevano ritenuto che fosse contiguo ad alcuni esponenti mafiosi nella metà degli anni '90, a nostro avviso immotivatamente, senza specificare quali fossero realmente le attività illecite svolte dal Sammaritano stesso, nei confronti del quale l'unica indagine per associazione mafiosa è stata archiviata per mancanza del benché minimo elemento indiziario. Quella confisca era una sorta di espropriazione generale senza alcuna base legale, ci aspettiamo adesso un processo più equo".

Foto © Imagoeconomica

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