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fava claudio c imagoeconomica 0di Giuseppe Pipitone
"Dopo l'arresto di Mussolini molti giornali che fino al giorno prima erano megafono del regime, vennero offerti a direttori che li trasformarono in quotidiani simbolo dell'antifascismo. Così può essere anche con il quotidiano catanese", dice il presidente della commissione Antimafia all'Assemblea regionale siciliana. Che dopo il maxi sequestro da 150 milioni di euro al signore dell'editoria del Sud Italia, ha avanzato una proposta: affidare la storica testata catanese ai cronisti siciliani

Claudio Fava lo immagina come un 25 luglio della lotta a Cosa nostra. “Dopo l’arresto di Mussolini molti giornali che fino al giorno prima erano megafono del regime, vennero offerti a direttori che li trasformarono in quotidiani simbolo dell’antifascismo. Così può essere anche con La Sicilia“, dice il presidente della commissione Antimafia all’Assemblea regionale siciliana. Che dopo il maxi sequestro da 150 milioni di euro a Mario Ciancio Sanfilippo, il signore dell’editoria del Sud Italia, ha avanzato una proposta: affidare la storica testata catanese ai giornalisti siciliani che in questi anni hanno raccontato collusioni e protezioni del potere mafioso. In pratica la linea editoriale opposta rispetto a quella che – secondo la procura – sarebbe stata impressa al quotidiano da Ciancio, imputato per concorso esterno a Cosa nostra.

“Il punto – dice Fava – non è togliere un giornale all’editore accusato di contiguità. Il punto è restituirlo a siciliani e catanesi. Restituire a La Sicilia a una funzione limpida e autonoma di libera informazione. Può essere l’occasione per ribaltare la storia opaca e consociativa di quel giornale e della sua direzione. Al centro di un patto d’impunità siglato dal settore imprenditoriale con la politica e la mafia. Quel patto si manifestava essenzialmente con la rimozione della realtà. D’altra parte oggi non ho sentito alcun politico di alcun colore commentare quello che è un caso inedito: il sequestro per motivi legati alla mafia di un impero editoriale”. Il figlio di Pippo Fava, il giornalista ucciso da Cosa nostra proprio a Catania nel 1984, snocciola precedenti e tratteggia quello che è stato un controllo capillare dell’informazione nella Sicilia orientale. “Affinchè non si scrivesse una parola fuori controllo a Catania non c’era corrispondente di un giornale nazionale che non fosse indicato dalla direzione de La Sicilia. Per capire chi fosse Ciancio basterebbe andare a rileggere la sua deposizione al processo Orsa maggiore negli anni ’80, quando disse in aula che prima del mandato di cattura arrivato da Palermo, a Catania nessuno sospettava neanche minimamente chi fosse Nitto Santapaola“.

Ma adesso che a Ciancio sono state sottratte le quote dei suoi quotidiani e delle sue tv, adesso che si è dimesso dalla direzione de La Sicilia, quale sarebbe la proposta di Fava? “Bandire un’assemblea pubblica aperta a tutti coloro che si sentono liberi di fare questo mestiere. Penso a molti giovani colleghi che negli anni hanno raccontato quello che sulle pagine de La Sicilia semplicemente non doveva trovare spazio. Cambiare di segno il destino del quotidiano“. In che modo? “Costituendo una cooperativa di giornalisti e chiedendo all’amministratore giudiziario l’utilizzo della testata”, dice Fava.

La cui proposta è condivisa dal direttore de ilfattoquotidiano.it, Peter Gomez. “Si potrebbe fare un bando pubblico per titoli per scegliere il nuovo direttore e poi affidare il giornale a una cooperativa di giornalisti. D’altra parte a La Sicilia lavorano molti bravi colleghi che, però, con Ciancio, o non hanno fatto carriera o sono stati spostati a occuparsi di altro”.  “La Sicilia è un patrimonio dei catanesi e dei siciliani. Va tutelata e vanno tutelati i posti di lavoro dei tanti colleghi che ci lavorano onestamente da anni. Va fatto passare il messaggio che anche con l’amministrazione giudiziaria si può fare un’ottima informazione. Anzi con la legalità si fa un’informazione migliore di come si possa fare quando la gestione è in mano a personaggi accusati di mafiosità”, dice Lirio Abbate, inviato dell’Espresso e per anni cronista dell’Ansa in Sicilia. “Un giornale non è una fabbrica di saponette. La linea editoriale non può farla un amministratore giudiziario. Così come un direttore non può essere nominato dal tribunale. La prima cosa da salvaguardare a La Sicilia sono i posti di lavoro dei colleghi”, riflette Attilio Bolzoni, firma di Repubblica. Che poi allarga il discorso: “Ho letto che sulla vicenda Ciancio è intervenuto anche il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho. Ha detto essenzialmente che non ricorda casi in cui gli editori hanno costituito oggetto specifico di indagini sulla mafia, ma a volte il silenzio dei giornalisti spinge ad interrogarsi. E allora perché nessuno parla più dei cronisti coinvolti nel caso di Antonello Montante, l’ex presidente di Confindustria Sicilia?”. “Ora sarà interessantissimo vedere come grandi giornali e tv daranno questa notizia ‘dal di dentro’, ma anche come si regoleranno le associazioni di categoria. Il conto è presto fatto: se non ne parleranno, vorrà dire che Cane non mangia Cane”, dice invece Saverio Lodato, storico inviato de L’Unità in Sicilia e ora collaboratore di Antimafia Duemila.

ilfattoquotidiano.it

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