Il Presidente della Repubblica è intervenuto al 36° Congresso dell'associazione dei magistrati che lanciano l'allarme sui cambiamenti già annunciati nel mondo della giustizia
Ieri una vera standing ovation ha accolto Sergio Mattarella al 36esimo congresso dell'Anm. E l'omaggio fragoroso riservato dai magistrati (e non solo) stipati in platea e nei palchi del Teatro Massimo di Palermo - tutti in piedi ad applaudirlo per lunghi minuti - è già un messaggio preciso lanciato dall'associazione dei magistrati. Innanzitutto, il riconoscimento al presidente della Repubblica del ruolo di garante, fondamentale in una fase complicatissima e di annunciati cambiamenti che - viene sottolineato - a partire dalla separazione delle carriere, rischiano di stravolgere i rapporti tra i poteri, con un "indebolimento del giudiziario". Per questo i magistrati continueranno a dire la loro e non si faranno "espellere" dalla sfera pubblica. È un fatto per il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, che vi sia, spiega nel suo intervento, "una spinta alla ridefinizione in senso restrittivo dei confini entro cui la giurisdizione può esprimersi e può far uso degli strumenti propri del suo agire".
Il congresso è stato preceduto da due assemblee straordinarie, convocate lo scorso anno a distanza di qualche mese sull'onda della "diffusa preoccupazione insinuatasi tra i magistrati" per effetto prima, di una iniziativa disciplinare del ministro della Giustizia nei confronti di un collegio di una Corte di appello "a cui si rimproverava proprio l'interpretazione dei fatti e delle norme e quindi l'attività intellettuale che per legge non può essere sindacata in sede disciplinare, nell'ambito di un provvedimento cautelare di sostituzione della custodia carceraria con gli arresti domiciliari assunto in una procedura di estradizione passiva"; poi, di dichiarazioni di esponenti della maggioranza di governo nei confronti di una magistrata del Tribunale di Catania che, nel non convalidare i provvedimenti di trattenimento di alcuni migranti, ha ritenuto le disposizioni del decreto Cutro non conformi al diritto dell'Unione europea. Una polemica nei confronti della magistrata accusata di non essere imparziale in ragione della partecipazione, svariati anni prima, a una manifestazione di protesta contro decisioni del governo, "espressione di altre maggioranze politiche, che avevano impedito alla nave (con a bordo molti migranti tratti in salvo in mare) di approdare nel porto catanese".
Casi, per Santalucia, che hanno alimentato timore di un "progressivo indebolimento dei presidi culturali che dovrebbero inibire la pretesa delle maggioranze di governo che decisioni di tribunali e corti non contrastino o addirittura si adeguino ai loro programmi e fini". Si perseguirebbe, dunque, il disegno di un "indebolimento del giudiziario" che "troverà compimento una volta che il pubblico ministero, separato dalla giurisdizione e collocato in un ideale ma a oggi sconosciuto spazio di autonomia e di contestuale estraneità all'area dei tradizionali poteri dello Stato, sarà in breve attratto nel raggio di influenza del potere esecutivo, che mal tollera di non poter includere l'azione penale nei programmi di governo". Si "mette mano", insomma, alla Costituzione "mostrando di non aver compreso il senso di massima garanzia per i diritti dei cittadini dell'attuale impianto, di un pubblico ministero appartenente al medesimo ordine del giudice e accomunato al giudice per formazione e per cultura della funzione".
Allora la posta in palio è grossa, per questo i magistrati, avverte Santalucia, non rinunceranno a dire la loro, nonostante le critiche: "Non appena l'orizzonte si amplia, nel tentativo di prendere parola su temi che interessano il mondo della giustizia anche più di qualche aspetto della carriera intesa in senso burocratico, viene revocata in dubbio la legittimazione a intervenire, gettando l'ombra pesante della faziosità. Va sgombrato il campo da questa ipoteca, liberandoci dal sospetto, maliziosamente coltivato, che i magistrati che intervengono nel pubblico dibattito su temi che ineriscono alla giustizia siano politicizzati e quindi inaffidabili". Il termine "politica, con i suoi derivati", non può dunque divenire, ragiona il presidente dell'Anm, "un dispositivo di espulsione dalla sfera pubblica, perché una democrazia partecipativa non può che arricchirsi del contributo di una categoria che di giustizia e di giurisdizione può dire a ragion veduta". Il vice ministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto prova a rassicurare: "Per collocare interesse generale al di sopra di quelli particolari, vi è una sola è unica via: il dialogo. La giustizia non deve essere terreno di scontro ma di contraddittorio tendente alla conciliazione. Il processo riformatore in corso si colloca esattamente nel solco di quanto indicato nella nostra Carta". Ma i magistrati non si fidano.
Fonte: AGI
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