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18 marzo 2012
Napoli. Un apripista e un modello. Don Peppe Diana è questo, per i preti che vivono nei territori ancora sotto il ricatto delle mafie. Diciotto anni fa, il 19 marzo 1994, Giuseppe Diana veniva ucciso da due killer mentre si preparava per celebrare la messa all'interno della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, in provincia di Caserta. Un episodio che fece tanto scalpore da venire citato dal papa Giovanni Paolo II, durante l'Angelus. La sua morte fu voluta dal clan dei Casalesi, in quegli anni dominato da Francesco Schiavone detto Sandokan; e molto aveva fatto don Peppe Diana per inimicarselo, in particolare lo scritto 'Per amore del mio popolo non tacero« diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese della zona. Un vero e proprio 'manifestò per i preti 'anticamorrà. »Don Peppe Diana, nel campo della chiesa, in qualche modo è stato un apripista in Campania«, dichiara all'ADNKRONOS don Aniello Manganiello, sedici anni trascorsi da parroco della chiesa di Santa Maria della Provvidenza a Scampia, quartiere della periferia nord di Napoli, e attualmente in giro per l'Italia per promuovere il suo libro 'Gesù è più forte della camorrà attraverso incontri con ragazzi e associazioni.

«Con lui - spiega don Aniello - è stata aperta una strada, un nuovo modo di vivere il Vangelo nei territori sotto il ricatto della camorra e della mafia. Quanto è contenuto in 'Per amore del mio popolo non tacero» non si limita alle funzioni particolari di un prete, che sono quelle di celebrare, santificare, annunciare, ma si allarga al combattere e al lottare, perchè quella fame di giustizia del nostro popolo campano possa essere saziata«. »È stato un grande sacerdote - prosegue - che ha incarnato appieno lo spirito del Vangelo, ed è un esempio per me e per tutti quelli che per strada non hanno paura di denunciare il male che c'è nelle nostre contrade, che si chiama camorra«. Due giorni dopo l'anniversario della morte di don Peppe Diana, in tutta Italia si celebrerà la Giornata della legalità e contro le mafie. Don Aniello sarà a Trecate, a un'iniziativa promossa da un'associazione di giovani. Sarà l'occasione, spiega, »per ricordare in particolar modo Giuseppe Diana«. Parlando anche del suo libro al quale, racconta, »volevo dare come titolo proprio il versetto di Isaia che don Giuseppe Diana aveva utilizzato per intitolare il suo documento: 'Per amore del mio popolo non tacero«. Perchè sono parole tratte dalla Bibbia, e perchè volevo renderlo una specie di continuazione della sua opera. Ma la Rizzoli - spiega - aveva già deciso». Poco male, perchè il titolo incarna «la certezza che fonda la nostra speranza, e cioè che la camorra possa essere distrutta».
Una speranza che secondo don Aniello Manganiello non c'è nell'opera che più di tutte, negli ultimi anni, ha raccontato le terre di don Peppe Diana: Gomorra, di Roberto Saviano. «Non sono contro Saviano - sottolinea - ma contro il nome che ha dato al libro. Gomorra è una città senza speranza, che fu distrutta perchè non c'era nessuno che facesse la volontà di Dio. E non penso che in Campania non ci siano cinque, dieci, venti persone che ogni giorno soffrono e combattono per partorire un mondo più giusto». «Essere definiti come Gomorra, e questo vale anche per Scampia e non solo per il Casertano - sottolinea - è stata una grave mancanza di speranza e di convinzione che questa regione possa liberarsi da questo male». E per comunicare la speranza, secondo don Aniello, «non abbiamo bisogno di eroi. La società che ha bisogno di eroi, anzi, è una società arrivata alla frutta». Anche per questo non è entusiasta delle definizioni 'prete anticamorrà e 'prete di frontierà, o 'di stradà. «Noi abbiamo solo bisogno di uomini e donne che facciano il loro dovere nella normalità e che si impegnino ogni giorno per il mondo», dice. Ma tra queste, ammette, prete 'anticamorrà è quella che calza di più: «È un dato di fatto. Quando ero a Scampia ho cercato di seguire due frasi, oltre a quelle di Isaia. Erano entrambe di Paolo Borsellino: 'Chi ha paura muore tutti i giorni, chi non ha paura muore una volta solà e 'Con la mafia o ti ci metti d'accordo o ci fai la guerrà, e per amore del mio popolo ho deciso di non girarmi mai dall'altra parte e di combattere».
«A Scampia, quando arrivai, vidi gente impaurita, violentata da un assordante silenzio, angheriata sotto il ricatto della camorra - prosegue don Aniello - E non me la sono sentita, come parroco, di girarmi dall'altra parte». Il suo impegno a Scampia non è finito con i sedici anni trascorsi da parroco della parrocchia Santa Maria della Provvidenza: «Continuo ad andarci, per seguire le attività dell'oratorio Don Guanella dove decine di educatori e animatori portano avanti l'associazione anche senza di me. Continuano a farlo cercando di istruire i ragazzi nel rispetto delle regole e della legalità, per dare un calcio a tutto quello che può violentare e schiavizzare nella vita». Come l'oratorio Don Guanella, sono tanti i punti di incontro e le associazioni attive nel territorio di Scampia, come l'associazione Mammuth: «Tutte realtà cresciute in questi anni, ed è un grande segno di speranza. E a Scampia ci sono i motivi per avere speranza: tra gli abitanti della municipalità - aggiunge don Aniello Manganiello - solo il 15% ha avuto a che fare con la giustizia». «Vogliamo condannare tutti gli altri a essere considerati malavitosi solo per il fatto di vivere in un territorio come Scampia? In Parlamento il 15% dei parlamentari ha avuto problemi con la giustizia, e sono un numero molto minore rispetto agli abitanti della municipalità di Scampia - conclude - Mi sembra una grave ingiustizia».

Adnkronos

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