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spataro armando c agfUn seminario per ricordare il magistrato scomparso 15 anni fa Quattrocchi: a rischio gli atti sulle stragi
di Franca Selvatici
"Mi accorsi che era un grande pubblico ministero vedendo come pescava: con pazienza, con intelligenza, muovendo l’amo in maniera accorta, individuando il bersaglio, rinunciando se il pesce, nonostante gli sforzi, non abboccava. E passando ad altro". Così ieri il procuratore di Torino Armando Spataro (in foto) ha ricordato il suo amico e collega Gabriele Chelazzi, il pm che indagò sul terrorismo e poi sulle stragi mafiose del 1993, incastrando i boss che avevano voluto l’attacco al cuore dello Stato e i loro sanguinari esecutori. Ieri l’enorme aula 32 del palazzo di giustizia era affollata come non mai per il seminario organizzato dalla Scuola superiore della magistratura, dalla Regione e da Palazzo Vecchio nel quindicesimo anniversario della morte di Gabriele Chelazzi, scomparso a soli 59 anni il 17 aprile 2003. Era presente la vedova, Caterina Romagnoli.
Tema del seminario: il metodo per indagare sul terrorismo e sulla criminalità organizzata. La presidente della corte d’appello Margherita Cassano, che per anni fu collega di Chelazzi in procura a Firenze, ha detto: "Gabriele ci ha indicato un metodo e ci ha lasciato una imperdibile lezione: la forza dello Stato di diritto anche di fronte ai crimini più efferati. E poi - ha concluso - non posso dimenticare la musica di Mozart che lo accompagnava nelle sue interminabili giornate di lavoro".
Nell’indagine sulle stragi, quando un pentito raccontò che al rientro da Firenze, dopo l’attentato di via dei Georgofili, un mafioso nascosto nel suo camion aveva voluto acquistare una radiolina in un autogrill, Chelazzi riuscì a trovare lo scontrino che documentava quell’acquisto. "Il suo metodo - ha ricordato il procuratore generale Marcello Viola - era fatto di concretezza, di piccoli passi, di indagini che nascono dal basso, di lavoro sugli indizi". "Per lui non esisteva l’approssimazione" , ha aggiunto l’ex procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi, che dopo la sua morte, con i colleghi Giuseppe Nicolosi e Alessandro Crini, ha raccolto le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza. Il suo cruccio è che il milione di carte dell’inchiesta sulle stragi, molte scritte con la Lettera 22, non sono state ancora digitalizzate e molte rischiano di scolorire e svanire per sempre, mentre sarebbe essenziale salvarle per "lasciare traccia di questo pezzo di storia umana e giudiziaria".
Chelazzi cominciò la sua carriera di magistrato alla procura di Milano, accanto ad Armando Spataro di cui era divenuto amico durante il tirocinio a Roma. Spataro ha ricordato ieri la costruzione di un metodo di indagine comune durante gli anni di piombo: lavoro di gruppo, rispetto dei diritti, scambio di informazioni. "Gabriele - ricorda - era uno di quei magistrati che sentono la necessità di capire, di sapere, ma prima di tutto di trovare elementi di responsabilità, senza rincorrere teoremi fasulli, senza atteggiarsi ad eroi unici difensori del bene mentre tutto attorno c’è il male".
“Quando perdiamo le speranze, la requisitoria di Gabriele Chelazzi al processo delle stragi ci dà coraggio”, ha detto la signora Giovanna Maggiani Chelli della associazione vittime di via dei Georgofili. L’avvocato Pier Matteo Lucibello, amico di Chelazzi e suo avversario, più volte, sul lavoro, lo ha ricordato così: “Io ho sempre avvertito nella sua azione il senso della giustizia. Tutti noi sapevamo che avrebbe studiato il processo nel modo più accurato e sempre in buona fede. E proprio per questo, se è vero che era il miglior difensore delle vittime, lo era anche degli indagati”.

La Repubblica edizione di Firenze

Foto © AGF

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