di Roberto Scarpinato
L’Intervento del Procuratore Generale di Palermo alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2017
L'esiguità del tempo a disposizione non mi consente di svolgere in questa cerimonia un‘analisi organica dell'attività espletata nel decorso anno giudiziario dalla magistratura requirente, della complessa evoluzione in corso dei fenomeni criminali e delle principali criticità emerse. Tale analisi è stata quindi condensata in una relazione scritta di 408 pagine redatta con il contributo dei sette Procuratori della Repubblica del distretto, trasmessa al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e in corso di pubblicazione sul sito web della Procura Generale di Palermo. Ciò premesso. non indugerò oggi sui dati statistici attestanti l’operosità e la qualità del lavoro svolto dalla magistratura requirente, oltre che per le ragioni di sintesi accennate, anche perché un approccio alle problematiche dell'amministrazione della giustizia incentrato sulla produttività interna dei suoi apparati, rischia di esaurirsi in un discorso autoreferenziale e aziendalistico, quasi che il pareggio di bilancio annuo tra input ed output e la resa dei fattori produttivi possa di per se attestare il buono stato di salute della giustizia nel paese.
Che così non sia emerge non appena si volga lo sguardo dall’interno dei palazzi di giustizia all’esterno della società.
Arretra la cultura della legalità
Allargando l’orizzonte conoscitivo oltre le mura del palazzo, si registra infatti una sorta di disconnessione tra l’intenso lavoro giudiziario svolto ed i suoi risultati sociali. Un’analisi ragionata dell’andamento delle fenomenologie criminale gli spunti di riflessione offerti dai Procuratori della Repubblica nelle loro relazioni, fanno infatti emergere, al di là dei numeri, un panorama sociale di progressiva crescita dell’area dell’illegalità in tutto il vasto settore dei reati ordinari, e di arretramento complessivo della cultura della legalità.
Per quanto concerne poi nello specifico la criminalità mafiosa, l’incessante azione di contrasto posta in essere dalle Forze di Polizia e della Magistratura riesce a conseguire l’importante risultato di un contenimento del crimine mafioso che, tuttavia, se non avanza neppure arretra, mentre all’interno dell’organizzazione maturano pericolosi fermenti e sotterranee mutazioni che conquistano nuovi spazi, approfittando del crescere del degrado sociale ed economico circostante.Un degrado che emerge in modo particolare nell’area metropolitana palermitana dove si evidenzia una impennata statistica verso l’alto di quasi tutta l’ampia tipologia di reati.
Parlano i numeri
Dai dati forniti dalla Procura della Repubblica di Palermo risulta infatti una crescita del 77% dei furti in abitazione. del 44% delle rapine, del 72% dei reati in materia di stupefacenti, del 16% delle estorsioni, del 42% dei reati di usura, del 26% dei reati bancarotta fraudolenta e di falso in bilancio, del 7% dei reati contro l'ambiente, del 58% dei reati informatici.
Quanto ai reati contro la pubblica amministrazione si registra una crescita del 105% dei reati di malversazione, del 50% del reato di concussione tramite l‘induzione indebita a dare o promettere utilità previsto dall'art. 319 quater c.p., del 37% dei reati di corruzione.
Più in generale, quanto a tutti i reati contro la pubblica amministrazione, si evidenzia un trend triennale costante di crescita pari al 23%.
ll fatto che l’incremento statistico riguardi pressoché tutti i reati e non soltanto i reati tipici della delinquenza professionale e di soggetti appartenenti a fasce popolari economicamente disagiate, appare indicativo del carattere interclassista della crescita dell'area dell'illegalità.
Si aprono dunque spazi di riflessione che nel travalicare il ristretto ambito della cultura tecnico giuridica e delle problematiche organizzative, rimandano ad orizzonti conoscitivi di ben più ampio respiro nei quali i piani del diritto, della politica e dell'economia interagiscono in modo determinante.
L‘accennata crescita trasversale dell’area dell'illegalità sembra infatti essere l'effetto a valle di fenomeni di portata macro sociale a monte.
In primo luogo l‘aggravarsi progressivo della crisi economica. Secondo i dati Istat oggi la Sicilia è nello stesso tempo la regione più povera del paese e quella dove si registra il più alto tasso di disuguaglianza sociale a livello europeo.
La cultura della legalità perde progressivamente terreno anche perché è stata disattesa l’aspettativa, a lungo coltivata, che fosse finalmente possibile coniugare legalità e sviluppo a seguito del vigoroso innalzamento del livello della risposta statale al crimine mafioso dopo la stagione stragista del 1992-1992, e la conseguente fine di una lunga stagione di impunità durante la quale il sistema di potere mafioso aveva depredato le risorse collettive.
Problema sociale ed economico
Non solo non vi è stato alcun miglioramento, ma anzi si registra un regresso rispetto al passato sia sotto il profilo economico, sia sotto quello dell’uguaglianza, e della possibilità di elevare la propria condizione sociale grazie al lavoro ed al merito.
Le famiglie a rischio di povertà in Sicilia sono il 55.4 per cento, in crescita rispetto all'anno precedente di oltre un punto percentuale e a fronte di una media nazionale del paese del 28%.
La disoccupazione giovanile nell'isola sfiora il 60% e buona pane dei giovani occupati sono costretti ad accettare retribuzioni ai limiti della sopravvivenza e a sottostare a condizioni di sfruttamento, perché ormai privi di tutela a seguito delle intervenute riforme sulla legislazione del lavoro che hanno eliminato la possibilità di reintegro nei casi di licenziamenti illegittimi e hanno generalizzato la diffusione di forme contrattuali, quali i c.d. voucher, che non prevedono indennità per ferie, malattie, permessi ed aprono ampie maglie alla diffusione di forme di sfruttamento.
Dinanzi a tutto ciò non vi è dunque da meravigliarsi se, nonostante l'ottimo lavoro giudiziario svolto, attestato dalle statistiche, tanti perdano fiducia in istituzioni e in una legalità che non appaiono in grado di assicurare giustizia sociale e condizioni minime di sopravvivenza.
Nella XIX° edizione dell’osservatorio su "Gli italiani e lo Stato" recentemente pubblicata, è emerso che lo Stato ha perso in media 10 punti percentuali di fiducia.
Mancanza di fiducia
L'indice di fiducia globale nelle istituzioni politiche che nel 2005 si attestava al 41% è sceso linearmente fino al 2014 dimezzandosi al 21%.
Dalle relazioni dei Procuratori del Distretto si evincono vari indici significativi di questo sotterraneo arretramento della fiducia nelle istituzioni.
Il Procuratore di Palermo ha per esempio evidenziato che quanto alle rapine - 1137 in un anno equivalenti a tre al giorno - è “ridotto e non rassicurante” il contributo delle vittime e dei testimoni oculari nella successiva fase dibattimentale, sicché, in assenza di tali fonti di prova, alle condanne si può pervenire solo quando siano state acquisite sufficienti prove alternative, grazie alla celere acquisizione di tabulati telefonici ed all’attivazione di intercettazioni telefoniche ed ambientali. Quanto alle estorsioni ascrivibili all'organizzazione mafiosa, le denunce e le collaborazioni spontanee da parte degli estorti continuano ad essere rare, e comunque in numero assolutamente inadeguato rispetto allo straordinario impegno profuso dalla Magistratura e della Forze di Polizia nel contrasto alla criminalità mafiosa. Ma a parte ciò, induce a riflessione che non si registri alcuna collaborazione neppure per le estorsioni poste in essere da criminali comuni.
Il Procuratore di Trapani al riguardo ha rilevato come le parti offese vittime di danneggiamenti e incendi finalizzati a coartare la loro volontà, non solo non collaborino con l'autorità giudiziaria ma anzi cerchino "di minimizzare i fatti, snaturandone il movente e privilegiando spesso, anche contro l’evidenza, inconsistenti ipotesi di mera accidentalità”. Ciò determina - prosegue il procuratore - l'archiviazione della maggior parte dei procedimenti rimasti a carico di ignoti.
Scarsa o nulla è poi in tutto il territorio del distretto la propensione alla denuncia per il reato di usura. Le vittime non denunciano gli usurai perché temono di perdere l'unico sostegno economico che, seppure pagato a carissimo prezzo, consente loro di sopravvivere o di protrarre la loro attività economica, tenuto conto dell'impossibilità di accedere al credito bancario.
Nulle sono in tutto il territorio le denunce di lavoratori vittime di forme di sfruttamento. di omesso versamento di contributi. di infortuni sul lavoro determinati dalla mancanza di misure di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Le vittime di abusi si vedono costrette a tacere e non collaborano con l‘autorità giudiziaria. Non solo perché l’alternativa è la disoccupazione a causa del successivo licenziamento da parte dei datori di lavoro, ma ancor più perché chi denuncia il proprio datore di lavoro, acquisisce rapidamente la reputazione di essere elemento inaffidabile e viene quindi ostracizzato da tutti gli altri.
A fronte della crisi economica e sociale sin qui accennata, tanti, preso atto della mancanza di prospettive future, sconfinano di giorno in giorno dalla legalità nell'illegalità nelle più svariate forme.
Illegalità come economia di sopravvivenza
Per molti l'illegalità diventa una economia della sopravvivenza, per altri un modo per abbattere i costi di produzione e restare così in un mercato che espelle senza pietà chi non regge la competizione, per altri ancora un modo per salire i gradini della piramide sociale, migliorando la propria situazione economica tenuto conto che la legalità sembra non offrire più ascensori sociali che consentano di emanciparsi da una vita senza prospettive. Al riguardo e a proposito dell‘elevatissimo numero di furti su utenze domestiche, ovvero furti di energia elettrica, gas, acqua, il Procuratore di Palermo ha osservato che la “vastità del fenomeno è ricollegabile a condizioni di disagio economico o di vera e propria indigenza di larghi strati della popolazione, ma non solo, posto che in molti casi il furto viene commesso da titolari di esercizi commerciali…”.
A proposito di titolari di esercizi commerciali e di imprese che utilizzano l’illegalità per abbattere i costi di produzione, va osservato che una delle remore da parte di molti a denunciare le estorsioni mafiose, deriva dalla consapevolezza di essere a propria volta implicati in prima persona in tali e tante attività illecite - dal furto di energia. all‘evasione fiscale, allo sfruttamento dei dipendenti, alla violazione delle nonne sul commercio e sull’agibilità dei locali, allo smaltimento illegale dei rifiuti - da sconsigliare di attirare l‘attenzione delle Forze dell‘ordine sulla propria attività, ritenendo preferibile pagare il costo dell’estorsione, che poi viene ammortizzato incrementando ulteriormente la propria attività illegale.
Per questi e altri motivi esiste per una vasta tipologia di reati, una amplissima area sommersa che sfugge al rilevamento delle Forze di polizia e della magistratura.
I procuratori di Agrigento, Trapani, Marsala nel commentare gli indici statistici in regresso delle iscrizioni di talune tipologie di reati, hanno tenuto a sottolineare che, purtroppo, contrariamente alle apparenze, tale regresso non attesta una diminuzione dei fenomeni criminali nei loro territori, ma, al contrario, un deficit di emersione dell’illegalità imputabile in buona misura ai fattori ai quali si è sin qui accennato.
Se le considerazioni sin qui svolte appaiono almeno in parte condivisibili, ci si rende conto come il confronto tra le statistiche in pareggio del lavoro giudiziario e gli indici statistici in crescita dell'illegalità emersa e di quella sommersa, aprano seri interrogativi sulla capacità e sulla possibilità stessa degli apparati giudiziari di contribuire ad una crescita della legalità nella società civile.
Non solo efficenza ma anche giustizia
La distonia tra il lavoro giudiziario svolto ed i risultati sociali conseguiti, coinvolge responsabilità e richiede interventi che travalicano i compiti e le risorse della giurisdizione, chiamando in causa le responsabilità della politica e dimostrando l'inadeguatezza di una via di uscita che, esaurendosi all’interno di un orizzonte culturale di tipo aziendalistico, punti esclusivamente ad una razionalizzazione efficientistica delle risorse dell’amministrazione della giustizia.
L’efficenza organizzativa è senza dubbio un obiettivo essenziale ma bisogna evitare di confondere il mezzo - l’efficenza - con il fine, cioè la giustizia.
L’organizzazione, in altri termini, non è un fattore tecnico neutro, è sempre funzionale al raggiungimento di un risultato. Quale è il risultato che si intende conseguire?
Solo il pareggio di bilancio tra processi sopravvenuti e quelli definiti, oppure anche e soprattutto la giustizia che non è riducibile all’algida aritmetica delle statistiche, ma di sostanza di leggi e di apparati istituzionali che garantiscono uguaglianza, effettività dei diritti, dignità sociale e tutto quanto è necessario a riempire di contenuti uno statuto della cittadinanza conforme al principi della Costituzione?
Nel corso di una intervista concessa al quotidiano La Repubblica il 31 dicembre 2016 il Ministro della Giustizia ha significativamente riconosciuto che sullo scenario della giustizia, in passato occupato dallo scontro tra politica e giustizia, “ha fatto irruzione un conflitto ben più grave, quello delle disuguaglianze che ha rubato la scena al primo”. Ma la crescita delle disuguaglianze che disarticola i vincoli di solidarietà sociale, che mina la fiducia nelle istituzioni ed incentiva la crescita dell'illegalità, non è imputabile esclusivamente ad eventi macro economici sovranazionali.
E' imputabile anche a politiche economiche e legislative nazionali che, di anno in anno, hanno contribuito ad allargare la forbice della disuguaglianza ed hanno espunto dall‘agenda politica la questione meridionale, alimentando una sorta di silenziosa secessione economica delle regioni più povere del Sud dal resto del paese.
Non è certamente questa la sede per entrare nel merito delle politiche economiche e di quelle del lavoro, ma vari indici, ad alcuni dei quali tra poco accennerò, inducono a ritenere che un effetto non marginale per la crescita delle disuguaglianze sia stato determinato anche da scelte di politica
criminale che, alla luce dei risultati, si sono rivelate improvvide e che, dunque, richiederebbero una rimeditazione.
A questo riguardo mi limito solo a due esempi.
In tutto il distretto si registra un crollo statistico delle iscrizioni dei reati tributari. Nel circondario di Termini lmerese si rileva un decremento del 63.46%, a Trapani un decremento del 62.24%, a Palermo una diminuzione del 33% rispetto all'anno precedente e del 50% nel triennio, a Marsala un decremento del 20%.
Tali elevate percentuali di decremento non sono purtroppo imputabili ad una crescita del tasso di moralità fiscale dei contribuenti, ma - secondo la concordi diagnosi dei Procuratori di Palermo e di Trapani - a scelte di politica legislativa che hanno determinato il disarmo unilaterale dello Stato
nella repressione penale di una vasta area dell'evasione fiscale.
Danni legislativi
Per ragioni di sintesi mi limito a ricordare che a seguito del D.Lgs. n. 158 del 2015, alcune delle più ricorrenti evasioni fiscali sono divenute penalmente irrilevanti perché è stata alzata in modo consistente la soglia economica di evasione necessaria per l'integrazione del reato e che, inoltre, sono state depenalizzate condotte volte ad alterare la corretta classificazione delle poste di bilancio, conseguendo per tal via il risultato di evadere le imposte dovute.
La depenalizzazione dei reati tributari ha determinato come immediata conseguenza il crollo statistico dell’applicazione dell'istituto processuale del sequestro per equivalente che consentiva il recupero di ingenti somme sottratte al fisco.
Basti considerare che per quanto riguarda in particolare il circondario di Palermo, nell‘anno in esame sono stati eseguiti sequestri per equivalente in materia tributaria per un importo complessivo di euro 7.633.292,00, mentre nell'anno giudiziario 2015 tale importo complessivo era stato di euro
28.147.887,00.
La scelta della depenalizzazione in tale settore si è rivelata perdente non solo perché deprimendo il rischio penale si è incentivato ulteriormente il fenomeno già abnorme dell'evasione fiscale in un paese che si trova ai vertici della classifica mondiale quanto a percentuale di evasione, ma anche
perché ha rivelato l’illusorietà di una strategia che affidava il recupero delle imposte evase solo ai controlli e alle sanzioni amministrative.
Secondo la Corte dei Conti: “il sistema sanzionatorio amministrativo, unito alle ridotte probabilità di un controllo, appare oggi tale da non favorire l’adempimento spontaneo, essendo manifesta la convenienza ad ottenere l’azione di controllo fiscale piuttosto che versare autonomamente l’imposta al momento in cui matura l’obbligo fiscale”.
Ancora la Corte dei Conti nella relazione sul rendiconto generale dello Stato ha rilevato che l'attività di controllo e di accertamento sostanziale ha comportato entrate per complessivi 7.753 miliardi di euro con una performance inferiore del 3.9 per cento rispetto a quella dell'anno precedente.
il tema delle politiche legislative in tema di reati fiscali interseca pienamente quello della crescita delle disuguaglianze. esattamente individuato dal Ministro della Giustizia come divenuto centrale nello scenario della giustizia. Ed infatti alla base della disuguaglianza vi è una non equanime distribuzione del reddito tra le fasce sociali.
Cresce l’evasione fiscale
Il conflitto democratico è oggi riducibile a conflitto distributivo. La tassazione progressiva e la leva fiscale sono gli strumenti principali per la redistribuzione del reddito e per sostenere i costi dello Stato sociale, offrendo ai cittadini meno abbienti il c.d. salario indiretto che consiste nella prestazione gratuita, o a prezzo politico, di servizi e prestazioni pubbliche: dalla sanità, alla scuola, ai trasporti.
La crescita dell‘evasione fiscale stimata in una cifra di circa 120 miliardi di euro, di cui una larga quota riguarda evasori ad alto reddito, nell’irnpedire la redistribuzione del reddito e nel sottrarre indispensabili risorse per i servizi sociali, contribuisce dunque ad alimentare l'ingiustizia sociale.
Gravi ricadute sul terreno della crescita delle disuguaglianze e della perdita della fiducia nelle istituzioni continuano ad avere le politiche e le inerzie legislative in tema di contrasto alla corruzione che, non a caso, si rivela in continua crescita e che, analogamente all‘evasione fiscale, sottrae ingentissime risorse che, invece di essere destinate alla redistribuzione del reddito, alla creazione di posti di lavoro, all‘erogazione di servizi dello Stato sociale, diventano oggetto di una predazione sistematica che, ancora una volta, concentra la ricchezza verso i piani alti della piramide sociale.
Anche in tale settore strategico continua a perpetuami una politica criminale che - per motivi ampiamente noti e ai quali dunque non si accenna - ha segnato una arretramento dell'effettività della giustizia penale e, dunque, della sua efficacia deterrente.
Difficoltà d’indagine
Una ampia gamma di reati strumentali alla corruzione ed all'abuso del potere pubblico per finalità illecite di varia natura, essendo sanzionati con pene sino ad un massimo di cinque anni, sono destinati a restare un vasto iceberg sommerso per l’impossibilità di utilizzare strumenti di indagine quali le intercettazioni, indispensabili per penetrare la coltre di omertà che copre tali illeciti e per smascherare le raffinate tecniche di dissimulazione poste in essere dai loro autori, veri e propri specialisti delle carte a posto.
Si considerino i reati di cui agli artt. 353 e 353 bis c.p. di turbata libertà degli incanti finalizzati a manipolare le gare di appalto, il reato di frode nelle pubbliche forniture di cui all'art. 36l c.p. finalizzato a realizzare opere pubbliche - quali autostrade, porti, scuole - con materiali scadenti con conseguenti crolli o avarie delle strutture, i reati di traffico di influenze illecito, di abuso di ufficio, di omissione di atti di ufficio, una vera e propria cassetta degli attrezzi per piegare il potere pubblico a finalità di arricchimento privato o per illeciti favoritismi.
Impunità
Quanto poi ai reati contro la pubblica amministrazione sanzionati con pene superiori, l’attuale regime della prescrizione, unico nel panorama europeo ed individuato dalla Unione Europea come una delle cause principali dell’inefficacia della risposta repressiva, continua a falcidiare la gran parte dei processi.
Una recente studio basato sull'analisi della banca dati delle sentenze della Corte di Cassazione e dei casi considerati nelle Autorizzazioni a procedere del Parlamento, ha appurato che, a causa di tali fattori, in dieci anni dal 2005 al 2015 si è pervenuti solo ad un totale di 518 sentenze di condanne definitivo in tutto il paese per reati legati alla corruzione che coinvolge direttamente detentori di cariche poIitico-amministrative a livello locale, regionale e nazionale. Circa 50 sentenze l'anno in un paese con un tasso di corruzione tra i più alti alti in Europa.
L‘esito di tale ricerca va completato con l'analisi statistica della composizione della popolazione carceraria effettuata dal DAP dalla quale risulta che il numero dei condannati definitivi per reati di corruzione in espiazione detentiva in carcere e talmente irrilevante da non essere statisticamente
quotato. l colletti bianchi nei pochi casi nei quali si riesce a pervenire alla condanna prima che i reati siano prescritti, usufruiscono tutti delle misure alternative alla pena. Misure che dovrebbero rieducare alla legalità soggetti altamente scolarizzati appartenenti ai piani alti della piramide sociale.
A seguito di tali ed altre scelte di politica legislativa, la risposta giudiziaria nei confronti della criminalità dei colletti bianchi, foriera di gravi ricadute economiche negative generali, continua a essere nella sostanza priva di ogni reale efficacia dissuasiva, mentre le Procure della Repubblica - come attestano le statistiche - sono costrette a disperdere risorse ed energie preziose per gestire la trattazione di migliaia di reati che appaiono in larga misura manifestazioni di criminalità da strada, di devianza marginale, di disagio sociale che, per i motivi accennati, crescono sempre più nonostante l'intenso lavoro giudiziario svolto. Se si vuole evitare il rischio di cadere nel paradosso di una produttività giudiziaria improduttiva, di una laboriosità in larga misura sterile di risultati sociali, è tempo dunque - come ha del resto colto lo stesso Ministro della Giustizia - di riportare al centro della questione giustizia e della politica criminale il tema ormai ineludibile della disuguaglianza e, quindi, della giustizia sociale.
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