di Anna Petrozzi - 9 ottobre 2009
Un altro colpo di scena, un altro improvviso lampo di memoria getta un po’ di luce sul mistero delle stragi del ’92 e ’93.
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Ieri sera ad Anno Zero è stato addirittura Claudio Martelli, Ministro
di Grazia e Giustizia di quell’epoca, a fare la rivelazione delle
rivelazioni: Paolo Borsellino sapeva della “Trattativa”, dell’ormai
famoso dialogo tra Stato e Mafia avvenuto proprio a cavallo delle
stragi.
Secondo la testimonianza dell’ex ministro, andata in onda solo in forma
di intervista però, il capitano De Donno si era recato dall’allora
direttore degli affari penali, Liliana Ferraro, strettissima
collaboratrice di Falcone, per spiegarle che Vito Ciancimino sarebbe
stato disposto a passare dalla parte dello Stato a patto di avere
copertura politica. La Ferraro “molto opportunamente e senza nemmeno
bisogno che mi consultasse”, spiega Martelli, “gli disse di rivolgersi
prima di tutto al magistrato competente, cioè Paolo Borsellino.
Questo dialogo, spiega in collegamento da Palermo Sandro Ruotolo, in
questi giorni oggetto di minacce ritenute molto pericolose dalla Digos
che lo sta proteggendo, sarebbe avvenuto nel trigesimo della strage di
Capaci, in occasione della messa a suffragio, quindi il 23 giugno.
Dopodiché, ed è questa la vera novità, Liliana Ferraro ne avrebbe
parlato direttamente a Paolo Borsellino.
Tutta questa sequenza di eventi sarebbe stata confermata
dall’interessata a Martelli che se ne è fatto garante, telefonicamente,
presso Ruotolo.
Da qui sorgono spontanee almeno due domande: la prima, la più ovvia, è
perché due “amici” di Giovanni Falcone, come sono stati sempre
pubblicamente considerati, Liliana Ferraro e lo stesso Martelli
decidono di parlare solo ora.
La seconda è se De Donno, che incontra Borsellino con Mori due giorni
dopo la suddetta conversazione, il 25 giugno 1992, nella caserma Carini
di Palermo, ne abbia parlato con il giudice così come gli disse la
Ferraro.
Difficile se non impossibile pensare che Borsellino, se fosse già stato
informato dei dialoghi tra Ciancimino e De Donno non gliene avrebbe
chiesto conto immediatamente in quella riunione che a detta dell’allora
colonnello Mori sarebbe stata super riservata. Se così fosse Mori e De
Donno non solo non avrebbero mai riferito questa circostanza, ma
avrebbero mentito dicendo che in quell’occasione parlarono solo di
mafia e appalti.
Un elemento di indagine importantissimo quindi per i magistrati di
Palermo che proprio sulla trattativa stanno lavorando da tempo. Il
procuratore aggiunto Antonio Ingroia intanto ha convocato d’urgenza
Ruotolo per fare chiarezza e vorrà ovviamente sentire anche gli
interessati. Se la Ferraro e Martelli dovessero confermare a verbale si
potrebbe ampliare ulteriormente quello scenario già all’esame della
Corte presieduta da Mario Fontana che sta processando il generale Mori
e il colonnello Mauro Obinu per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.
Secondo l’accusa sarebbe esistito un patto tra Provenzano e alcuni
referenti politici per ristabilire l’eterno equilibrio tra Cosa Nostra
e Stato, interrotto definitivamente con le condanne all’ergastolo
sancite dal Maxi processo e dalla caduta rovinosa della Dc e del
vecchio sistema partitico con mani pulite. All’interno di questo
accordo ci sarebbe stata la consegna di Riina, la mancata e mai
sufficientemente spiegata perquisizione del suo covo, la mancata
cattura di Provenzano a Mezzojuso nel 95 e tutta una serie di eventi
che hanno ristabilito con gli anni la pax tra Stato e Mafia diventata
oggi la maggior “azienda” del Paese garantita e agevolata da leggi che
ne reprimono principalmente la sfera militare.
Per raggiungere questo obiettivo, aveva più volte detto Provenzano ai
suoi, c’era da pazientare una decina d’anni e soprattutto era stato
necessario eliminare alcuni ostacoli, tra cui Paolo Borsellino e creare
il necessario clima di instabilità politica e istituzionale, quindi
anche le stragi del ’93.
Certo, trovare preciso riscontro processuale a tutto questo diabolico
progetto è tutt’altro che semplice ed è diventato un carico enorme
sulle spalle di pochi magistrati e forze dell’ordine. Proprio tra ieri
e l’altro ieri si sono svolte due udienze del dibattimento in questione
in cui ha deposto il collaboratore di giustizia Antonino Giuffré,
l’ultimo dei pentiti ad avere avuto stretta relazione con Provenzano
dopo la cattura di Riina.
Soppesando ogni singola parola l’ex capo mandamento di Caccamo ha
spiegato che la priorità per Provenzano era quella di trovare la
soluzione ai loro problemi più gravi, accentuatisi con la politica
irruenta e di attacco allo Stato voluta da Riina e dalla quale il
Provenzano aveva cominciato a dubitare, fin dalla decisione di votare
il Psi, proprio di Martelli, al posto della Dc nel ‘87.
I problemi sono quelli ormai noti dell’ergastolo e quindi della
possibile revisione dei processi, i benefici carcerari anche per i
mafiosi, il sequestro dei beni, la neutralizzazione dei collaboratori
di giustizia contenuti anche nel famoso “papello” consegnato da Riina a
interlocutori politici per il tramite di Vito Ciancimino.
Giuffré, senza una parola di troppo, riferisce semplicemente che mentre
la fazione di Bagarella e Brusca continuava a mettere a ferro e fuoco
il Paese con le “bombe del continente” (Firenze, Milano e Roma)
Provenzano lavorava alla “sommersione”, cioè a non fare eccessivo
rumore per poter ritornare ai vecchi tempi della coabitazione con lo
Stato e del grande business.
Ad un certo punto tra il ‘93 e il ‘94 aveva rassicurato i suoi più
intimi di avere le garanzie necessarie e che occorreva prodigarsi per
sostenere la nuova forza politica: Forza Italia.
A fare da tramite per questo rinnovato accordo: Marcello Dell’Utri.
La stessa ricostruzione l’ha fornita ieri sera Massimo Ciancimino ad Anno zero ribadendo quanto già riferito ai magistrati.
Ad un certo punto – ha raccontato - suo padre, don Vito, si era
sentito scavalcato. Aveva capito di essere stato utile alla cattura di
Riina e quindi alla causa della nuova trattativa che avrebbe riportato
la pace tra stato e mafia, ma che ormai la sua funzione era finita.
Un po’ dispiaciuto aveva però finito con condividere la scelta di
Provenzano di proseguire nei suoi negoziati con un uomo nuovo in grado
di fargli da agente presso la nuova politica: Marcello Dell’Utri.
Anche le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sono all’attento vaglio
degli inquirenti che lo sentiranno presto a processo, nel frattempo
però a deporre il prossimo 20 ottobre sarà invece suo fratello.
Giovanni Ciancimino, avvocato, era rimasto finora al di fuori da tutte
le delicate faccende relative al padre. Tuttavia, chiamato dai
magistrati, ha confermato di essere a conoscenza della trattativa e del
ruolo svolto in questo passaggio dal genitore.
Assieme a lui è stato convocato anche l’onorevole Violante che, pure
lui con il lieve ritardo di 17 anni, ha rammentato di essere venuto a
conoscenza di questo dialogo tra il Ros e Ciancimino. Le sue
dichiarazioni tardive sembrerebbero essere su alcuni punti discordanti,
sarà compito delle parti a processo tentare di rimettere in ordine
questo intricato periodo storico che ha segnato indelebilmente, piaccia
o meno, la storia del nostro Paese.
E’ evidente che siamo in un momento politico assai delicato in cui
sembra stiano per emergere pezzi di verità sempre più inquietanti che
stanno facendo sperare gli italiani onesti e i tanti famigliari delle
vittime. Ieri sera la trasmissione di Santoro si è aperta con una
richiesta, sempre aristocratica e composta, di Agnese Borsellino, in
cui la moglie del giudice chiede a chiunque sia informato di quei fatti
di dire la verità perché ormai i tempi sono maturi. Poiché solo la
verità potrebbe restituire dignità al nostro Paese.
Questo compito però, ed è bene che ce lo ricordiamo tutti, non può
essere delegato alla sola magistratura, un’altra volta, ma deve essere
condiviso. La società civile deve essere attenta, è vero, ma ora si
dovrebbero sentire anche la voce degli intellettuali, degli storici,
dei grandi giornalisti. Che non si nascondessero dietro le verità
processuali, ce n’è abbastanza per analizzare questa fantasmagorica
omertà di stato che solo oggi sembra lievemente infrangersi. E poi
teoricamente ci sarebbe la politica; se ci fosse una classe dirigente
onesta e coraggiosa sarebbe arrivato il momento anche per loro di una
bella autocritica. E magari di una bella pulizia.
DOSSIER TRATTATIVA REALIZZATO DA ANTIMAFIADuemila: La Trattativa
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