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a cura di Anna Petrozzi e Monica Centofante - 10 febbraio 2009
Dal Senato il via alla riapertura delle carceri di massima sicurezza per i boss. Ora la parola alla Camera. 



Per i vecchi irriducibili padrini la questione non è appartenere o meno ad un’organizzazione criminale. E’ un modo di essere, una scelta di vita. Cosa Nostra non è un’entità a loro esterna, è un sistema di disvalori radicato nella loro essenza che si tramanda di padre in figlio così come ha ampiamente dimostrato la recente intervista alla figlia di Totò Riina, Maria Concetta.
Fanno parte di un altro mondo, lo difendono e lo preservano ovunque siano, in qualunque situazione si trovino. Ne è prova il silenzio a cui si mantengono fedeli la maggior parte dei capi detenuti, quelli che le leggi rovesciate di Cosa nostra le hanno inventate e fatte rispettare a qualunque costo, e la naturalezza con cui quelli che hanno scontato financo vent’anni di carcere tornano esattamente al loro posto, riprendendo la loro carica con il prestigio aumentato a dismisura per la tenacia con cui hanno rispettato il loro  giuramento di sangue. Giovanni Falcone aveva compreso la profondità del sentirsi mafiosi di cui è costituita Cosa Nostra. Per questo il suo implacabile fiuto lo aveva portato ad intuire che solamente isolando in modo drastico questi soggetti lo Stato avrebbe potuto ottenere qualche significativo risultato. Aveva così pensato a quello che a noi oggi è noto come il carcere duro, stabilito dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario (?) approvato, come sempre le leggi antimafia in Italia, dopo che il tritolo aveva dilaniato lui, sua moglie, la sua scorta, il giudice Borsellino e la sua scorta.
Discutere sulla legittimità del 41bis significa ignorare la reale complessità del fenomeno mafioso, significa non rendersi conto nemmeno lontanamente del radicamento delle convinzioni di questi uomini, e oggi si può anche dire, di queste donne e della determinazione con cui non sono disposti a cedere nulla del proprio potere di ricatto e intimidazione.
La breve ricerca che pubblichiamo a seguire e l’articolo sulla potente famiglia mafiosa dei Madonia di Resuttana provano, al di là di ogni dubbio, come e quanto i boss siano riusciti ad aggirare il sistema di detenzione che avrebbe dovuto essere esemplare e recidere completamente, alla base, il loro legame con l’esterno. Non solo non lo ha minimamente scalfito, ma leggi, leggine, proroghe, disordini, disguidi o plateali favoreggiamenti hanno consentito a mafiosi di grande calibro di comandare, ordinare, gestire affari, questioni interne ai mandamenti e delitti di ogni ordine di gravità.
Il 4 febbraio scorso al Senato sono stati discussi e approvati emendamenti che dovrebbero ristabilire la rigorosità del 41bis. Pd e Pdl in un inedito spirito bi-partisan hanno introdotto un pacchetto di novità che se ben applicato dovrebbe far tornare a regime questo insostituibile strumento di lotta alle mafie.
La novità più importante riguarda il rovesciamento dell’onere della prova per cui i provvedimenti di restrizione al 41bis sono prorogabili fino a che “non risulti, da concreti elementi, che il detenuto abbia interrotto i rapporti con l’organizzazione o che la stessa abbia cessato di esistere senza confluenze in altre compagini criminali. Il decorso del tempo non può considerarsi elemento di cui desumere l’interruzione o la cessazione”.
Finalmente è il criminale a dover dimostrare di aver interrotto il suo legame con la famiglia di origine. Eventualità come abbiamo visto piuttosto rara giacché le ferree, quelle sì, regole di Cosa Nostra considerano avvenuta la scissione dall’organizzazione solo in due modi: o con il pentimento o con la morte.
Sono state poi introdotte altre misure restrittive sulle ore di socialità (solo due al giorno), sui colloqui telefonici ammessi solo per chi non ha avuto colloqui personali, quelli con i parenti saranno tutti sottoposti a viedeoregistrazione e quelli con gli avvocati ridotti ad un massimo di tre alla settimana. Il nostro codice garantista non consente la registrazione dei colloqui con gli avvocati, ed è anche corretto da un certo punto di vista, se non fosse che più e più volte è stato dimostrato che spesso sono proprio i difensori il veicolo per la diffusione di messaggi con l’esterno.
Si è cercato però di porre rimedio inserendo una fattispecie autonoma di reato che punisce con la reclusione da uno a quattro anni chiunque consenta ad un detenuto di comunicare con altri, con un'aggravante nel caso si tratti di un pubblico ufficiale, un incaricato di servizio pubblico o un legale.
Di fondamentale rilievo la decisione di far scontare il 41bis in appositi penitenziari, in particolar modo nelle isole; altro grimaldello con cui negli anni del dopo stragi si scardinò e si minò la sicurezza interiore di tanti boss che vedendo sgretolarsi, con le risoluzioni ferme dello Stato, la “sacra” impunità di Cosa Nostra cedettero alla collaborazione con la giustizia.
L’unica nota che permane dolente concerne, invece, la competenza per l’esame dei reclami. Fino a oggi infatti erano chiamati ad esprimersi sulle richieste di revoca del regime di carcere duro i Tribunali del riesame con risultati disastrosi: boss stragisti valutati come detenuti comuni senza nessuna contestualizzazione del reato o storia. Il Pd rappresentato dal senatore Beppe Lumia aveva proposto, in maniera logica e pertinente, che a valutare i ricorsi fossero i tribunali e le procure distrettuali del luogo di provenienza e quindi di azione criminale del detenuto prima dell’arresto, vale a dire far decidere a chi è specificamente competente in materia. La maggioranza ha invece scelto di spostare tutte le richieste sul tribunale di sorveglianza di Roma che, a nostro avviso, se non si avvarrà dell’indispensabile consulenza dei magistrati che si sono occupati del detenuto e della sua storia, rischia di vanificare la novità cruciale del rovesciamento dell’onere della prova.
Ora il pacchetto 41-bis deve passare al vaglio della Camera per la definitiva approvazione sperando che si tramuti nella reale, concreta e severa applicazione della norma e non siano le solite parole al vento con cui fino ad oggi destra e sinistra, volenti o nolenti, hanno soddisfatto le richieste di alleggerimento dei regimi carcerari che avevano contrattato Riina e Provenzano nella cosiddetta trattativa. Con loro in gabbia forse si è esaurito il patto così come le speranze di quelli che negli accordi erano solo merce di scambio. Lo si potrà vedere solo con il tempo e come sempre con i fatti.


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