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Alla fine dell'Ottocento, l'attuale area della Repubblica Democratica del Congo era il Congo Belga, riserva "personale" del Re Leopoldo II. Durante il suo regno, furono uccise più di 10 milioni di persone. Da allora, è una terra ferita, ancora sanguinante, dalle cui pieghe eserciti di schiavi estraggono il coltan: l'oro nero della tecnologia. Il coltan è in realtà un termine colloquiale usato in Africa per parlare di una miscela complessa di due minerali della classe degli ossidi: la columbite e la tantalite. Lo conoscono molto bene le grandi multinazionali high-tech, dato che è un componente fondamentale nella produzione di videocamere, telefoni smart e, soprattutto, serve a ottimizzare il consumo di energia nel chip di ultima generazione. Ma dietro a queste meraviglie dell'innovazione si cela un prezzo umano spaventoso. Ma non è di questo che il mondo civile vuole discutere.

Come riporta Massimo Sideri in un articolo pubblicato nel settimanale del Corriere della Sera "7", il Congo produce il 60 percento del minerale: la sua estrazione frutta 150 dollari al chilo, ma può arrivare anche a picchi di 600, mentre per chi scava rimangono le briciole e la prospettiva di morire in tempi rapidi data la tossicità del materiale. Ragazzini e bambini sono molto richiesti per questi lavori perché più agili, più piccoli ed elastici: si muovono meglio in spazi angusti. Molti di loro lavorano anche più di 14 ore al giorno.

Il coltan somiglia a scaglie di liquirizia e sta in cunicoli messi di rado in sicurezza. Gli uomini estraggono le pietre con le vanghe, le donne e i bambini le laveranno a mano nell’acqua e le trasporteranno al mediatore più vicino. A volte cammineranno anche due giorni nella foresta con trenta chili sulle spalle. I minerali verranno imbarcati per la Cina o la Malesia, dove i due metalli del coltan verranno separati per essere venduti all’industria high-tech.

Le miniere sono feudi provenienti dalla più cupa cronaca medioevale: controllate dai signori della guerra, che possono essere ribelli, colonnelli dell’esercito o poliziotti. Non è difficile per questi individui trovare la manodopera necessaria per i loro feudi: basta razziare nelle province vicine, uccidere, violentare (donne e minori). La gente scapperà e verrà a scavare, ma anche a morire; rapporti dell'ONU parlano di 11 milioni di morti legate al controllo di questo business.


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Il coltan utilizzato nei circuiti elettrici


Questi minatori guadagnano 3-4 dollari al giorno. Donne e trasportatori 2. I bambini anche meno o nulla. Il Signore della Guerra invece non spenderà un centesimo per allestire e amministrare la miniera, basteranno le milizie e la violenza gratuita contro donne e bambini. L'equazione è semplice, più ci sarà coltan e maggiori saranno le violenze: l'area con la concentrazione più alta di miniere è la provincia dell'ex Kivu Nord, a pochi chilometri dall'Uganda e a circa mille chilometri da Arusha, in Tanzania, il luogo da cui partono sia i safari per il Serengeti sia la scalata del Kilimanjaro. L'80% delle riserve si trova nella montagna del Masisi, rendendo Rubaya, una piccola città dallo stile Far-West, la capitale mondiale del coltan. In questo luogo lavorano 18.000 minatori e ogni giorno si estrae una tonnellata di coltan. La miniera è controllata da una miriade di milizie che ne garantiscono la sicurezza, come il gruppo ribelle “Movimento 23 marzo” (M23) che, secondo Amnesty International, è stato responsabile dell'assassinio di almeno una ventina di uomini e dello stupro di più di una sessantina di donne e ragazze tra il 21 e il 30 novembre 2022.

I crimini sono stati compiuti principalmente a Kishishe, una piccola città a 100 km a nord di Goma, capitale della provincia orientale del Nord-Kivu. Sorgono molti dubbi sullo spirito realmente "ribelle" del gruppo armato, che tanto impegna l'esercito regolare della Repubblica Congolese - guidata da Félix Antoine Tshilombo Tshisekedi. Da tempo ormai si è capito che le violenze di cui si rendono responsabili hanno a che fare con il tentativo (finora in gran parte riuscito) di controllare un'area del Paese ricchissima di risorse minerarie e di farlo per conto di forze straniere, il vicino Ruanda in primo luogo.

Il risultato è centinaia di morti e decine di migliaia di sfollati che si accalcano in campi improvvisati, dove il colera e la malnutrizione fanno strage. La situazione della sicurezza e le strutture sanitarie sono disastrose. Tutto questo per soddisfare l'enorme fame di alta tecnologia del mondo occidentale. Senza entrare in tecnicismi, il coltan migliora l'efficienza energetica della tecnologia, riduce la dispersione. E difatti molte piccole miniere sono state riaperte in seguito alla grande richiesta che ha coinciso con la diffusione delle reti 5G.

Il 5G è una tecnologia che permette di ridurre la latenza del messaggio a pochi millisecondi, un fatto chiave per le nuove scoperte in ambito tecnologico. Ad esempio, le automobili a guida autonoma e per le operazioni mediche a distanza. Ma il 5G richiede molte più antenne diffuse sul territorio. Ma anche in questo caso l'equazione è semplice: più c'è richiesta, e più altre persone dovranno scavare e morire. Ma non c'è nessun interesse a smantellare una rete proficua per tutti.

In Congo, le fazioni in guerra per il coltan sono finanziate da società di mezzo mondo: americane, russe, cinesi, francesi, belghe. È una guerra mondiale combattuta dalle etnie locali. Apple, Tesla e Intel sono i principali gruppi industriali globali accusati dall'ultimo rapporto di Global Witness di utilizzare per i propri prodotti minerali le terre rare provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo. Il rapporto, pubblicato ad aprile 2022, accusa questi gruppi industriali di adottare uno schema di certificazione accusato di aiutare a "riciclare" i metalli estratti in modo irresponsabile, spesso da manodopera minorile, a costi bassissimi e in condizioni rischiosissime. Ma di rado in Occidente queste situazioni trovano spazio e attenzione; anzi, il disinteresse è l'arma principale che rende interi Paesi terra di saccheggio.

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