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A San Paolo un incontro per la condivisione di aspetti nel contrasto al crimine organizzato e alle sue propaggini nel Mondo

Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, colletti bianchi, corruzione e lotta alle mafie. Di questo e tanto altro si è parlato ieri pomeriggio in un’interessantissima diretta web organizzata in Brasile dall’accademia di Giurisprudenza di San Paolo insieme alla Cattedra San Tiago Dantas e “POLIFONIA Revista Internacional da Academia Paulista di Direito”. Ospiti dell’appuntamento, pensato per la condivisione reciproca di esperienze sul campo di magistrati antimafia, sono stati l’ex magistrato ed ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, presente a San Paolo e il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, collegato da Roma, che ha risposto alle domande e alle curiosità degli altri relatori. Nello specifico il magistrato brasiliano Alfredo Attié, il Promotore del Pubblico Ministero di San Paolo Fauzi Choukr e la docente Alessia Magliacane. Ad aprire l’incontro è stato de Magistris il quale nel ringraziare gli organizzatori ha ricordato che in incontri come questo “grazie alla condivisione, anche oltre i confini, si sconfigge l’isolamento” di magistrati esposti e “ostacolati da chi dovrebbe stare dalla loro parte”. Quindi ha ceduto la parola al magistrato palermitano che ha fatto una disamina di Cosa Nostra, offrendo il suo punto di vista sulla mafia di cui si occupa da quando veste la toga.
Cosa Nostra è la mafia più raffinata nelle sue strategie complessive, è la più antica”, ha esordito. “E’ stata protagonista di una storia criminale che non ha pari in nessuna parte del continente europeo. Solo negli ultimi 40 anni sono stati uccisi in Sicilia, magistrati, ufficiali delle forze di polizia, esponenti politici di alto livello sia di governo che all’opposizione, imprenditori, giornalisti, sacerdoti”, ha ricordato Di Matteo. “Io mi sono occupato di molti di quei fatti di sangue e ho maturato una certezza nel tempo: se Cosa Nostra ha potuto fare tutto questo, se è ancora vitale dopo 160 anni c’è un motivo ed è che Cosa Nostra, più di ogni altra organizzazione criminale, ha nella sua essenza costituiva, nel suo Dna, la capacità di creare e mantenere nel tempo rapporti occulti col potere legale, istituzionale, politico, finanziario ed ecclesiastico”. Secondo Di Matteo “se il contrasto politico e giudiziario non mirerà a colpire questi rapporti esterni alla mafia non vinceremo mai questa guerra alla mafia”. “Guai a dire - ha aggiunto il procuratore - che i mafiosi sono semplici manovali del crimine, la storia ci dimostra il protagonismo essenziale per Cosa Nostra di medici, avvocati, funzionari di Stato e politici. Ci mostra quella borghesia mafiosa che costituisce la base su cui Cosa Nostra ha prosperato. E’ l’anello di congiunzione. Guai a far credere che la mafia sia solo questione Siciliana e del meridione. Non solo perché si è spostata nel ricco Nord Italia e in un’Europa non attrezzata e consapevole del pericolo che le organizzazioni mafiosi costituiscono, ma anche perché la mafia siciliana si è mossa a condizionare pesantemente la vita politica nazionale italiana”. Quindi Di Matteo ha parlato del rapporto tra Stato e mafia.
In questi rapporti tra Stato e mafia non ci sono solo storie di uomini corrotti o collusi con la mafia. In più fasi storiche istituzioni e Cosa Nostra sono state protagoniste di veri e propri accordi occulti, stipulanti vere trattative condotte sul filo di ricatti e promesse che hanno provocato un reciproco riconoscimento”. E rispetto alle strategie della mafia, il magistrato ha spiegato che “dopo il periodo stragista la mafia ha vissuto una fase di sommersione. Ha preferito abbandonare per il momento la strategia di attacco frontale allo Stato ma non sono convinto, perché la sua storia ci dovrebbe insegnare che è fatta di corsi e ricorsi, che la mafia abbia abbandonato per sempre la strategia delle stragi. Potrebbe in futuro, cambiando le situazioni di contesto, riprendere a fare quello che ha fatto nei primi anni ’90 e anche prima. Attaccare violentemente le istituzioni”. Sul punto, ha ricordato Di Matteo, “se è vero ciò che sanciscono anche alcuni provvedimenti giudiziari solo dieci anni fa Cosa Nostra aveva iniziato ad organizzare un attentato nei confronti di un pubblico ministero di Palermo, addirittura acquistando l’esplosivo per poter attuare quell’attentato. Per cui attenzione a dire che la mafia sia definitivamente cambiata”. La mafia, infatti, secondo Di Matteo non è affatto scomparsa. “Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’enorme inquinamento dell’attività economica e imprenditoriale italiana. Oggi, nel momento in cui la mafia non spara come prima, ha diffuso i suoi tentacoli nell’economia e nella ricchezza in Italia e fuori dall’Italia”.

La ‘Ndrangheta, i “poteri occulti” e la vicenda de Magistris
Dopo Di Matteo ha ripreso parola Luigi de Magistris che ha iniziato il suo intervento parlando della sua esperienza alla procura di Catanzaro dove si occupò di inchieste delicatissime che riguardano ‘Ndrangheta, massoneria e mondo delle professioni per le quali venne ostacolato dai vertici della sua procura e dalle correnti della magistratura.
Io entro in magistratura nel 1993, quindi esattamente dopo le stragi e mi trovo a lavorare in Calabria dove opera la ‘Ndrangheta che in maniera lungimirante sul piano politico e con una strategia raffinatissima ha sempre utilizzato la tecnica della mimetizzazione nell’economia e nella finanza”, ha ricordato de Magistris. “Quindi mi sono trovato ad operare in quella fase in cui la ‘Ndrangheta ha ritenuto sul piano dell’efficacia del suo operato di non utilizzare più bombe e munizioni ma i proiettili istituzionali”. “Noi siamo riusciti a ricostruire come i colletti bianchi operano attraverso il denaro pubblico che serve a entrare in rapporti con lo Stato, con le regioni, con i comuni, con la magistratura e con gli organi di controllo. Si fa un errore strategico nel dire che ci siamo trovati davanti a mele marce, non lo sono, è un frutteto marcio. E quando qualcuno non ci sta, questo sistema reagisce con gli strumenti della legalità formale”. De Magistris, infatti, quando nel 2006 e 2007 lavorava ancora a Catanzaro si vede sottrarsi inchieste come l’inchiesta “Why Not” per via del contenuto del vaso di Pandora che stava scoperchiando. De Magistris è stato più volte delegittimato e ostacolato da chi in realtà, in magistratura, avrebbe dovuto credere in lui e garantire il suo lavoro in piena serenità. Un po’ quello che è accaduto a Di Matteo ed altri magistrati coraggiosi. Sul punto de Magistris ha voluto infatti aprire una parentesi ricordando la vicenda avvenuta a Palermo negli anni dell’inchiesta trattativa Stato-mafia, condotta da Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.
Noi dobbiamo dire con nettezza che negli stessi giorni in cui Di Matteo fu portato a conoscenza che Salvatore Riina aveva dato disposizioni di trovare il tritolo per farlo saltare in aria, l’allora capo dello Stato italiano chiedeva alla magistratura di avviare un provvedimento disciplinare nei confronti di Di Matteo”, ha rammentato. Tornando alla sua carriera di magistrato in Calabria, De Magistris ha spiegato agli ospiti dell’evento che “i problemi più grandi li abbiamo scoperti nei legami tra 'Ndrangheta, politica, destra neofascista, servizi segreti, magistrati corrotti con il collante delle massonerie deviate. E’ là che io sono saltato. E i principali ‘Giuda’ li ho avuti seduti accanto a me a cominciare dal mio capo in ufficio”, ha denunciato. “Questo per farvi capire che oggi anche per la ‘Ndrangheta siamo alla convivenza. Siamo alla convivenza con le mafie. Vuol dire che le persone non vedendo più stragi e omicidi - e anche perché non è più una priorità il contrasto alle mafie per i governi degli ultimi anni - sono convinte che le mafie non siano più un pericolo pubblico”, ha allertato l’ex pm.
E invece vi posso assicurare che questa penetrazione così profonda nel sistema economico, nel sistema delle libere professioni, dello Stato, degli apparati di controllo e degli enti locali, sta facendo diventare sempre più difficile distinguere la parte sana della mela da quella malata.
Noi di fronte a questo dobbiamo stare vicini a chi non si è fatto comprare e che con libertà, onestà e autonomia non tradisce il giuramento sulla costituzione Repubblicana e poi divulgare e suscitare una ribellione culturale delle coscienze contro il modello mafioso
”. Secondo de Magistris, “l’unica alternativa è la rivoluzione culturale. Io e Di Matteo ci siamo ritrovati perché abbiamo vissuto gli ostacoli da chi ci doveva sostenere e aiutare. Quando le mafie arrivano nel cuore dello Stato non hanno più necessità di sparare. Anche se potrebbero riprenderli a fare. Ma ora non è un obiettivo prioritario perché una bomba suscita indignazione se ne parla qua in Brasile, suscita fiaccolate, cortei, iniziative. E chi prova ad arrivare alla verità viene profondamente ostacolato da questo sistema dei poteri occulti”, ha concluso.

Mafia e mondo digitale, un nuovo fronte di guerra
I relatori brasiliani hanno poi fatto i loro interventi. Il magistrato e giurista Attié ha parlato della sua esperienza e della necessità di riprendere un regime costituzionale come processo culturale, basato sull'analisi delle relazioni sociali e politiche come processo culturale, finalizzato al miglioramento democratico della società. Ha criticato l'esperienza anticrimine brasiliana, che ha finito per essere corrotta dall'attaccamento a interessi politici ed economici minori, nella cosiddetta operazione"lava-jato"o, che ha indicato un attivismo anti-giuridico e ha finito per portare a quattro anni di regime anticostituzionale in Brasile. Mentre il Promotore del Pubblico Ministero di San Paolo Choukr, ha fatto una domanda a Di Matteo sul processo di modernizzazione interno alle mafie che stanno utilizzando sempre di più i sistemi informatici, i meta-data per i loro affari. “Nel passaggio da un mondo analogico a un mondo digitale penso sia diventato tutto più difficile. Nelle mafie hanno iniziato a far parte soggetti in grado di movimentare denaro”, ha affermato Di Matteo. “Noi in Italia abbiamo un meccanismo che sulla carta potrebbe aiutarci molto da questo punto di vista ma che ancora nella pratica non ha portato a molti risultati e consiste nell’obbligo, non solo per le banche ma per tutti gli intermediari di società di azioni di natura privata, di segnalare le cosiddette operazioni sospette, le movimentazioni di denaro che per qualche motivo possano apparire ingiustificate. La nostra legislazione prevede che queste operazioni vengano segnalate alla procura Nazionale antimafia della quale faccio parte”, ha spiegato. “Le segnalazioni sono veramente molte e spesso mi sorprendo perché alcune volte sono segnalate movimentazioni di denaro molto consistenti e altre invece ne vengono trascurate”. Quindi da questo punto di vista, ha riassunto il magistrato, “è chiaro che per contrastare il fenomeno del consolidamento delle organizzazioni mafiose dal punto di vista finanziario attraverso la digitalizzazione di tutti i sistemi abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, della banca centrale, della banca europea, della banca d’Italia, devono cambiare anche le professionalità purtroppo sia nella magistratura che soprattutto nelle forze di Polizia. Noi pubblici ministeri italiani siamo cresciuti, nei processi, attraverso due mezzi di prova importanti: le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e i risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali”, ha affermato il procuratore. “Oggi è sempre più difficile ricostruire determinati affari mafiosi se non si hanno delle competenze importanti da un punto di vista tecnologico. Da questo punto di vista in Italia si sta professionalizzando molto l’attività e la professionalità della Polizia Postale e delle telecomunicazioni ma io credo che purtroppo le mafie sono sempre avanti a noi, non hanno la pesantezza della burocrazia o del dover predisporre normative adeguate. E noi siamo sempre all’inseguimento delle mafie. Da questo punto di vista in questo momento io credo che siamo tutti in difficoltà e siamo tutti alla ricerca di nuovi mezzi investigativi che possano farci arginare il fenomeno. E’ chiaro che nel mondo globalizzato che con un semplice click sulla tastiera del computer si possono spostare centinaia di milioni di euro, è molto più difficile l’accertamento di questi reati, soprattutto se legati al grande riciclaggio. La globalizzazione  dell’evoluzione tecnologica rendono difficile il nostro lavoro. Dobbiamo trovare la capacità, la forza e la volontà di saper organizzare adeguati mezzi di risposta e di contrasto a questo fenomeno”, ha concluso Di Matteo sul tema.

Mafia e corruzione, due facce della stessa medaglia
Quindi, sempre rispondendo alle osservazioni dei relatori a San Paolo, nello specifico rispondendo alle domande della docente italiana Magliacane, Di Matteo ha parlato di mafia e corruzione.
Rispetto al passato in cui si potevano considerare il fenomeno mafioso e il fenomeno correttivo due fenomeni criminali diversi, sempre più spesso negli ultimi anni io dico che mafia e corruzione sono diventate due facce della stessa medaglia”, ha esordito Di Matteo. “Sempre più spesso, anche per l’enorme disponibilità di denaro, le mafie per ottenere i loro scopi nel condizionare le amministrazioni pubbliche e gli enti pubblici invece di ricorrere al vecchio metodo violento dell’intimidazione ritengono sia più conveniente, più facile e meno rischioso ricorrere al metodo corruttivo”. “Pochi anni fa mi capitò di realizzare la statistica relativa al numero di detenuti presenti nelle carceri italiane e soprattutto al numero di detenuti condannati definitivamente su un numero di oltre 50mila detenuti, quelli detenuti per condanne di corruzione, concussione o per altri reati tipici dei pubblici ufficiali e dei colletti bianchi erano poche unità. Forse meno di dieci. E allora o in Italia i comportamenti dei pubblici ufficiali sono talmente virtuosi che i corrotti sono pochi, oppure le regole sostanziali e processuali per reprimere il fenomeno sono assolutamente inadeguate”, ha osservato l’ex consigliere del Csm. “E da questo punto di vista noi rischiamo, indebolendo la lotta alla corruzione, di favorire l’attività mafiosa e di penetrazione delle mafie a livello locale in un momento nel quale l’Italia si appresta a gestire l’enorme quantità di denaro proveniente dal PNRR”. “Purtroppo credo che si vada anche in questi giorni in una direzione sbagliata”. Quindi Di Matteo ha commentato le mosse del governo rispetto ai reati della pubblica amministrazione. “Oggi (ieri, ndr) è stato disvelato il contenuto di una riforma che dovrebbe essere discussa in Consiglio dei Ministri in questi giorni che prevede l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. Le indagini sul reato di abuso d’ufficio spesso sono state l’occasione per coprire vere e proprie corruzioni”, ha spiegato il magistrato. “Per scoprire veri e propri legami tra la pubblica amministrazione e la mafia. Ancora oggi il sistema penale italiano va verso una sottovalutazione, non so quanto voluta, della gravità dei fenomeni corruttivi e della connessione con il fenomeno mafioso. Per combattere la mafia non abbiamo bisogno soltanto di pene severe per killer, estorsori e trafficanti. Noi abbiamo soprattutto bisogno di colpire la mafia anche nel momento in cui, come accade sempre più spesso, utilizza il metodo corruttivo. Ma se non adeguiamo la normativa alla gravità del fenomeno io temo sempre che quella statistica dei pochi incarcerati per corruzione continuerà ad essere in quel senso”. Concludendo sull’argomento Di Matteo ha detto: “Mi preoccupa la corsa verso una sostanziale impunità dei fenomeni correttivi, mi preoccupa come magistrato che si occupa di mafia perché mafia e corruzione, ribadisco, sono due facce della stessa medaglia”.

Le parole di Falcone nell’auspicio di Di Matteo
Di Matteo, nel suo iniziale intervento, ha terminato con un ultimo auspicio. “Ricordo la frase di Giovanni Falcone. Qualcuno gli chiese se la mafia avrà mai un termine e Falcone rispose che la mafia è un fenomeno umano e che come tutti i fenomeni umani ha avuto un inizio e prima o poi avrà una fine. Ancora questa fine non è alle porte ma per sperare che l’auspicio di Falcone si realizzi dobbiamo far si che si realizzino tre condizioni”, ha affermato il sostituto procuratore della Dna. “La prima: il mantenimento di alcuni strumenti legislativi introdotti negli ultimi 30 anni, dalla legge sulle confische dei beni dei mafiosi, una disciplina più rigorosa ed efficace sulle intercettazioni, la legge sui pentiti e un regime detentivo speciali per i capi della mafia detenuti. Molti altri stati vogliono copiare dall’Italia questi strumenti ma paradossalmente in Italia, in questo momento e da alcuni anni, c’è una forte spinta politica nell’abrogare o attenuare questi strumenti. La seconda condizione è la consapevolezza della politica e dei governi che si succedono alla guida del paese che il contrasto al sistema mafioso è una lotta per la libertà e per la democrazia e quindi deve essere ciò che non è mai stato: un obiettivo primario per ogni governo. La politica deve individuare e sanzionare profili di responsabilità politica di certe condotte anche quando queste condotte non integrano responsabilità penali”. La terza condizione “è quella della necessità di una vera e propria rivoluzione culturale che deve partire dal popolo e dai più giovani in particoale, perché il sistema mafioso trova terreno fertile in una mentalità molto diffusa che solo un lento ma inesorabile cambiamento potrà spazzare via. La mentalità del favore, della racocmandazione, della sfrenata corsa al successo e al potere, la mentalità della scorciatoia per ottenere cariche. La mentalità del dover appartenere a un gruppo, una loggia massonica o a una cordata di poter eocculta come strumento privilegiato per conseguire e conservare il governo. Solo i giovani potranno nel tempo spazzare via questa mentalità diffusa in Italia, e non solo”, ha detto Di Matteo. Una mentalità “che costituisce l’humus in cui il sistema delle mafie prospera. Forse la profezia di Falcone si avvererà ma costerà un percorso difficile che costerà sangue e sudore e potrà percorrersi solo - ha concluso il magistrato antimafia - con il contributo di ognuno di noi”.

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