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Il pm è intervenuto con Sorrentino e Lambertini al seminario organizzato dal Dipartimento di scienze umanistiche di Catania

Processi, inchieste, documenti, testimonianze. In questi trent'anni trascorsi dalle stragi che hanno sconquassato il Paese tra il 1992 ed il gennaio 1994 non sono poche le verità che sono state acquisite grazie all’impegno di abili ed indomiti magistrati ed investigatori. Tuttavia, ancora oggi, non mancano gli interrogativi e diversi elementi fanno emergere in maniera chiara ed evidente che vi furono concorrenti esterni dietro le stragi. Anche di questo si è parlato qualche giorno fa a Catania dove oltre duecento ragazzi, tra presenti e collegati via web, hanno partecipato al seminario “Mafie, neofascismo, apparati deviati dello Stato e stragismo”, organizzato dal Dipartimento di scienze umanistiche dell'Università di Catania e dall'associazione Memoria e Futuro.
Ospiti il magistrato Antonino Di Matteo, l'avvocato Armando Sorrentino, Paolo Lambertini (vice presidente associazione familiari vittime 2 agosto) che con i loro interventi hanno tracciato uno spaccato su quella “linea nera” che è presente in molti delitti e misteri d'Italia, da Portella della Ginestra fino alle stragi del '92-'93.
Un percorso non semplice, come sottolineato sin dall'inizio dell'incontro dalla professoressa Rossana Barcellona (responsabile di Ateneo per i seminari) e dal coordinatore dei seminari Antonio Fisichella.
Anche perché, come ha ricordato il magistrato Nino Di Matteo, nel nostro Paese oggi “manca capacità, o forse direi meglio la volontà, di analisi dei sistemi criminali complessi che hanno condizionato e continuano a condizionare ancora le nostre libertà, le regole e le garanzie costituzionali, e in ultimo la nostra democrazia, che rischia di essere formale ed apparente”.
Nel suo intervento il sostituto Procuratore nazionale antimafia ha ripreso il tema della “borghesia mafiosa” ricordando che nel Dna della mafia non c'è solo coppola e lupara ma anche “la ricerca del rapporto con il potere politico, istituzionale, economico, finanziario”. E proprio la borghesia mafiosa è stata “l’anello di collegamento tra l’ala militare e il potere”. Essa è rappresentata da “avvocati, medici, professionisti, imprenditori, grandi proprietari terrieri che, o fanno parte di Cosa nostra, magari come affiliati riservati. Oppure più spesso, pur non facendone formalmente parte si prestano ad agevolarne il perseguimento degli obiettivi”.


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Gli esempi sul tavolo non sono pochi. “Un importante medico palermitano, Cinà, è stato condannato per aver veicolato nel periodo delle stragi allo Stato le richieste che Riina avanzava per far cessare le stragi. Le indagini che hanno portato alla condanna dell’ex onorevole Cuffaro sono partite dalle intercettazioni nei confronti di un altro esponente della borghesia palermitana, un primario dello stesso ospedale civico, Giuseppe Guttadauro affiliato a sua volta alla famiglia mafiosa di Brancaccio”. “Ancora, il patto tra l’allora imprenditore Silvio Berlusconi e Cosa nostra si perfezionò già nel 1974 e si alimentò nel tempo grazie all’intermediazione di Marcello Dell’Utri, che era esponente della borghesia palermitana. Infine, Michele Aiello, imprenditore operante nel campo della sanità, è stato condannato per 416 bis come portatore interessi economici di Bernardo Provenzano”. “Per questo oggi - ha aggiunto Di Matteo - non c’è da stupirsi se si scopre che anche la latitanza di Matteo Messina Denaro è stata favorita anche da esponenti della borghesia mafiosa. Anche se è necessario che le indagini diano nome e cognome a queste persone e che si sviluppino nella direzione delle coperture di tipo istituzionale”.
Ovviamente Di Matteo ha ricordato gli attentati politici, quelli delle stragi ed il contesto in cui esse maturarono, con un disegno preciso, così come disse Riina nelle famose riunioni di Enna del 1991 (“Dobbiamo scatenare la guerra per poi fare la pace”). Il magistrato ha dunque ricordato le conclusioni a cui è giunta la Corte d'assise d'appello di Palermo, per il processo sulla Trattativa Stato-mafia secondo cui “venne cercata e di fatto stimolata una ibrida alleanza con il nemico, con la parte moderata di Cosa nostra,  facente capo a Bernardo Provenzano e Santapaola, per contrastare un nemico ancora più pericoloso (di Totò Riina)”. “In un Paese normale - ha aggiunto Di Matteo - queste conclusioni che vi ho ricordato avrebbero dovuto scatenare un dibattito pubblico a tutti i livelli ed invece il silenzio. Troppo scomodo confrontarsi in questioni così delicate, meglio far credere che la trattativa Stato-mafia fosse una 'boiata pazzesca', frutto della fantasia complottista di pochi pm, che le sentenze dei giudici avessero smentito i fatti. Quei fatti restano lì, sono pesanti come le pietre e per questo nessuno si vuole confrontare con quei fatti”.
Quei fatti contribuiscono a delineare quel contesto nel quale maturarono le stragi del '92 e ancor più quelle del '93 e di questa stagione stragista.
Una lunga serie di fatti, di cui si è parlato in sentenze e processi, rende evidente come le stragi del 1992 non siano state solo una vendetta di Cosa nostra contro i giudici Falcone e Borsellino.
Ed è da questi elementi che hanno preso spunto le nuove iniziative investigative delle Procure di Caltanissetta, Palermo, Firenze, Reggio Calabria e Roma, con il coordinamento della Procura nazionale antimafia.
Nella ricerca della verità sulle stragi, secondo Di Matteo, si è "davanti ad un altro pezzo di strada in salita, ma da percorrere senza timore e senza valutazioni di opportunità politica. Dobbiamo partire da una serie di circostanze che indicano la compartecipazione di soggetti estranei a Cosa nostra".
L'elenco, ricordato dal pm della trattativa Stato-mafia, è lungo quanto inquietante:
"La presenza di Bellini, soggetto condannato in primo grado per sua partecipazione alla strage di Bologna, ad Enna nello stesso periodo in cui ad Enna la commissione regionale di Cosa nostra deliberava l’inizio della strategia stragista.
I contatti di Bellini con Antonino Gioè, uno degli stragisti, poi morto suicida. Il fatto che gli stessi carabinieri che avevano, tramite Ciancimino, iniziato quella trattativa con Riina, nello stesso momento continuavano dialogo a distanza tramite Bellini, che partiva dalla ricerca e recupero di alcune opere di arte di grande valore rubate in precedenza.





Da Capaci...
Ancora, l’eliminazione di Falcone, a seguito di un improvviso e inspiegabile cambio di programma".
Così come ricordato da Di Matteo "Falcone doveva essere ucciso a Roma, era già pronto un commando. A volte si muoveva anche da solo e senza scorta. C’erano Messina Denaro e Giuseppe Graviano pronti. Erano pronti ad ucciderlo. Furono improvvisamente richiamati a Palermo, perché quella operazione venne organizzata con modalità e operazione estremamente difficoltosa. È stato il primo e unico attentato in danno di un convoglio di auto in movimento in autostrada. Un'operazione, esecuzione che sembrerebbe richiedere competenze tecniche forse estranee a quelle degli uomini di Cosa nostra".
E poi ancora, la rivelazione di tracce di Dna femminile nei pressi del cratere di Capaci. La manomissione di alcuni file informatici di Falcone al ministero della giustizia. La sottovalutazione di dichiarazioni collaborante dell’epoca che indicava la presenza di Stefano Delle Chiaie a Capaci nei giorni e settimane precedenti l’attentato.

A via D'Amelio...
Di Matteo ha ricordato l’improvvisa accelerazione dell’intento di uccidere Borsellino, con l'attentato che fu eseguito appena 57 giorni dopo la morte di Falcone.
"Erano altri, secondo il programma di Riina, gli obiettivi da eliminare prima - ha spiegato ai presenti - Improvvisamente altri obiettivi vengono accantonati e viene fissato subito l’obiettivo di uccidere Borsellino. Riina si assume la responsabilità davanti agli altri capi mandamento e ribadisce di aver parlato con persone importanti ed estranee alla organizzazione. La presenza in via d’Amelio nell’immediatezza della strage di soggetti che proprio i poliziotti indicano come appartenenti ai servizi. La sottrazione della Agenda rossa. Sembra di rivivere un copione. Come nel caso della vicenda della sottrazione documenti dalla cassaforte della villa del generale Dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982. Non possiamo pensare che in questi casi si attivino gli stessi uomini mafiosi che hanno agito per eliminare il bersaglio. Ancora, le clamorose contraddizioni proprio relative a quel momento, che ha indicato la presenza del dottore Contrada, poi dimostrata una bufala, al momento dello scoppio della bomba in via d’Amelio, tra appartenenti di alto livello, stimati. Le circostanze che portarono prima all’arresto e poi al depistaggio di Scarantino. Quest’ultimo, lo dice la sentenza, era stato ben indottrinato da altri, tanto che nel suo dichiarato ha mischiato falsità e circostanze poi rivelatesi vere".


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Obiettivo 1993
Ancora un approfondimento dovrebbe essere fatto, e su questo si concentrano le indagini della Procura di Firenze, "l’esportazione in Continente della stragista stagista con l’individuazione per la prima volta di beni artistici e monumentali da colpire. Quindi la mafia non agisce più come aveva sempre fatto, ma con finalità di tipo terroristico, gettare panico nel Paese. Da questo punto di vista come non ricordare il panico che personalmente ricordo di aver colto anche assumendo informazioni dall’allora Presidente della Repubblica Ciampi, che nella notte tra il 27 e 28 luglio, ci ha detto che si era convinto che fosse in corso un 'colpo di Stato'''.

1994 fine stragi e quel mistero sulla Falange Armata
Secondo Di Matteo, infine, andrebbero chiarite alcune coincidenze particolari temporali rispetto a quanto avvenne con il fallito attentato all'Olimpico di Roma.
"Dopo tanto tempo siamo riusciti a datare questo episodio - ha detto il magistrato - Il 23 gennaio del 94 in occasione partita a Roma era già pronto tritolo da l’esplosione. Per mancato funzionamento del radiocomando, per fortuna, quel attentato fallì, ma nessuno in quel frangente sapeva che un attentato era stato organizzato. Quindi poteva benissimo ripetersi in una domenica successiva e gli uomini erano lì e aspettavamo di poter ripetere l’attentato. Il 27 gennaio vengono arrestati a Milano Giuseppe e Filippo Graviano, subito dopo viene svolta politica importante, che segnerà la discesa in campo di Berlusconi e la formazione di nuovo governo: il cosiddetto passaggio dalla prima alla seconda Repubblica". Se, come è scritto in varie sentenze, si è capito il perché è stata messa in atto la strategia stragista, oggi “bisognerebbe capire perché, proprio con questa concomitanza temporale e politica, proprio quella strategia venne meno".
Altra anomalia evidenziata è quella delle "parallele rivendicazioni della Falange armata, che non sono solo rivendicazioni, ma spesso sono previsioni di attentati che poi si realizzeranno". "L’approfondimento di questi fatti - ha concluso Di Matteo - è un dovere di un Paese che preferisce non correre il pericolo di confrontarsi con una verità scomoda, idonea a mettere in discussione una storia più convenzionale più rassicurante per il popolo".





Gli impistaggi
Certo, col passare del tempo non è facile arrivare ad una verità. Ancor di più se si pensa che, come ha raccontato Paolo Lambertini, “lungo il percorso faticoso della polizia e della magistratura, per arrivare a qualche elemento di verità, vengono fatti depistaggi. Così l'iter giudiziario diventa ancora più difficile”. Oggi, oltre quarant'anni dopo la strage del 2 agosto, si stanno ancora celebrando tre processi che si aggiungono a quelli già avvenuti. “Il primo depistaggio sulla strage di Bologna - ha ricordato Lambertini - è avvenuto subito dopo e voleva portare le indagini su una pista straniera. Il cosiddetto depistaggio del 'terrore sui treni'. Per questo depistaggio furono condannati uomini dello Stato come il colonnello dei carabinieri ed ufficiale del SISMI Giuseppe Belmonte, Pietro Musumeci, altro agente segreto; un faccendiere come Francesco Pazienza e ancora il Maestro Venerabile della P2 Licio Gelli. Pensare che chi avrebbe dovuto proteggere il Paese è stato invece autore del depistaggio deve far riflettere. Nel corso della storia sono stati creati 'impistaggi', cioè depistaggi orditi per portati completamente fuori strada, con tante briciole di pollicino. Di queste cose che sono accadute, oggi c'è chi vorrebbe cancellare la memoria. Ma anche quando certe cose si sanno, non ci indigniamo e facciamo finta di non conoscere. E questo è il sistema che deve cambiare”. E poi ha concluso: per fortuna le stragi sono imprescrittibili. Soltanto 10 anni fa sono venute fuori circostanze importanti che hanno fatto poi pronunciare la Corte di assise di Brescia sulla colpevolezza di alcuni degli stragisti di Piazza della Loggia. Certe verità possono venire fuori anche a distanza di 30 o 40 anni. L’importante è che lo Stato continui a credere nella ricerca della verità e dia dimostrazione all’esterno di crederci davvero.


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L'avvocato Armando Sorrentino


Guardare al passato per capire il presente
Dello stesso avviso anche Armando Sorrentino, legale di parte civile in diversi processi come quello sulla morte di Pio La Torre o nei processi per la Strage di Capaci e nel “Borsellino ter”. “Io credo che ci sia un filo rosso, che amo definire filo nero, che parte dal 1 maggio del 1947 dove noi perdiamo quell'indipendenza che abbiamo appena conquistato. E' in quel momento che si instaurano depistaggi, imbrogli e si realizzano convergenze di interessi di vari apparati, anche politici” ha detto intervenendo via web. “Portella è il banco di prova, la cartina di tornasole di quello che accadrà negli anni a venire con prospettive mutanti - ha aggiunto - Quello che è accaduto in Italia non è accaduto in nessuna parte del mondo. Non abbiamo il 'vizio' della memoria che invece dovremmo avere. Abbiamo delegato alla magistratura un compito mentre la politica ha abbandonato la ricerca doverosa della verità storica che, dobbiamo dirlo, spesso è divergente da quella processuale. Per questo non ci possiamo attendere dalle sentenze la verità storica. Noi possiamo avere una verità sostanziale solo se ne abbiamo la volontà”. Ovviamente è stata ricordata la storia del bandito Giuliano, il tentativo del golpe Borghese negli anni Settanta, i Moti di Reggio, l'Italicus, e così via fino ad arrivare agli anni Ottanta. Una serie di stragi e delitti realizzati sempre con l'intento di evitare che il Partito comunista salisse al potere. Ed è anche in questi discorsi che si realizzano una serie di delitti politici che hanno visto anche la convergenza d'interessi con Cosa nostra, da parte di certi ambienti.
E così è stato ricordato il delitto di Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana ucciso a Palermo il 6 gennaio del 1980, di cui ancora oggi non si conosce l'identità del killer. Ma anche quelli che furono i convincimenti di Giovanni Falcone.
Proprio Di Matteo ha ricordato come oggi, per criticare i magistrati che non demordono nella ricerca della verità su certi fatti, venga spesso usato il cliché del “Falcone non avrebbe fatto questo”.
“Forse - ha ribadito il sostituto procuratore nazionale antimafia - ogni tanto dovremmo trovare il coraggio e la forza di leggere gli atti parlamentari e leggere per esempio quello che disse Falcone alla commissione parlamentare antimafia nel 1990, soltanto recentemente desecretata, rispetto al delitto Mattarella”. In quel contesto il giudice affermava: “Nel corso di faticosa istruttoria abbiamo trovato riscontri che ci hanno portato a valutare le risultanze probatorie come compatibili con una matrice e mandanti all'interno della mafia oltre che ad altri mandanti esterni. Sotto il profilo delle risultanze emergenti dalle indagini sul terrorismo nero, le modalità dell’omicidio Mattarella sono sicuramente compatibili. La compatibilità tra omicidio mafioso e suo affidamento a personaggi che non avrebbero dovuto avere collegamenti con la mafia, fa emergere una realtà interessante”.
Parole importanti, che non possono essere dimenticate. Altrimenti, come ha concluso Di Matteo, si perderebbe la memoria e così saremmo “destinati a non capire bene il presente e a non saper progettare qualsiasi ipotesi di futuro”.
(Prima pubblicazione: 22 Febbraio 2023)


Foto © ACFB

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