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La prima sezione penale della Suprema Corte ha confermato gli ergastoli inflitti in primo e secondo grado a Ignazio Fontana e Giuseppe Comparetto per l'omicidio e la distruzione del cadavere di Andrea Cottone, accusati da diversi pentiti di aver fatto sparire l'imprenditore il 13 novembre del 2002.
Andrea Cottone si era schierato contro il capo della cosca di Villabate dell'epoca, Nicola Mandalà, il quale chiese l'autorizzazione per l'omicidio direttamente a Bernardo Provenzano.
Secondo il racconto di alcuni collaboratori di giustizia, soprattutto Mario Cusimano e Stefano Lo Verso, la vittima venne attirata in una trappola, nello specifico in una pizzeria sul lungomare tra Ficarazzi ed Aspra, lì i killer prima lo interrogarono - sui suoi rapporti con il clan dei Montalto - poi lo strangolarono e alla fine lo trasportarono in un deposito di marmi a Bagheria e lo sciolsero nell'acido.
Lo Verso raccontò di aver effettivamente accompagnato Cottone a pranzo in una pizzeria, annessa ad un minigolf sul lungomare che collega Ficarazzi ad Aspra, gestita dal suocero di Comparetto. Riferì anche di aver poi sentito delle urla e di aver visto il corpo della vittima a terra dopo che essere stato aggredito.
Cusimano in particolare aveva detto ai magistrati che la decisione di uccidere Cottone era partita da Nicola Mandalà - figlio del mafioso Nino Mandalà capomandamento di Villabate - il quale si era rivolto direttamente a Ciccio Pastoia e Bernardo Provenzano.
Successivamente arrivarono le dichiarazioni anche di Sergio Rosario Flamia e di Vito Galatolo, i quali inserirono l'omicidio nell'ambito delle dinamiche interne alle famiglie mafiose del mandamento di Bagheria. Sono state proprio le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che le difese hanno cercato di smentire ma i giudici "ermellini" hanno rigettato i ricorsi.
L'imprenditore era già stato condannato per mafia e nel 1999, dopo aver riottenuto la libertà, cercò di consolidare il suo ruolo all'interno di Cosa nostra, alleandosi con la famiglia Montalto del clan di Villabate che al tempo era in guerra con quella di Nicola Mandalà, in quel momento a capo della cosca. Sarebbe stata questa la "motivazione" del suo assassinio.
Il figlio denunciò la scomparsa del padre nel pomeriggio del 13 novembre del 2002. Andò alla stazione dei carabinieri di Villabate, riferendo che non aveva più notizie del padre dalle 12.30 del giorno prima, cioè da quando il padre era andato al lavoro.
Gli investigatori esclusero subito la pista dell'allontanamento volontario e si orientarono verso l'ipotesi della 'lupara bianca'.
La macchina di Cottone venne trovata alcuni giorni dopo vicino ad una stazione di Termini Imerese. Secondo il pentito Lo Verso, fu lui, assieme a Comparetto, ad avercela portata.
Le dichiarazioni sono state successivamente confermate da Flamia e Galatolo, i quali furono determinanti per la conferma della condanna all'ergastolo in primo grado.

Fonte: palermotoday.it

Foto © Imagoeconomica

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