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L'11 dicembre 2018 il terrorista Chérif Chekatt, si introdusse nella zona dei mercatini di Strasburgo armato di coltello e revolver St. Etienne 1892. Fece fuoco contro molte persone, alcune delle quali vennero anche accoltellate.

Tra le vittime ci fu anche il giovane giornalista italiano Antonio Megalizzi. Ferito dai militari dell'opération Sentinelle Chérif Chekatt fuggì prendendo in ostaggio un tassista: dopo essersi fatto accompagnare a Neudorf, si diede alla fuga. Subito dopo fu isolata l'intera area che comprende la sede del Parlamento europeo.

Chekatt, ventinovenne francese di origini algerine, aveva numerosi precedenti con polizie di vari paesi: Francia, Germania e Svizzera. Nel 2017 era stato espulso in Francia dalla Germania. Qualche ora prima dell'attentato un tentativo di arresto nei suoi confronti era fallito. Chekatt fu individuato due giorni dopo vicino alla sua abitazione, tra Neudorf e lo stadio della Meinau; ne seguì uno scontro a fuoco e il terrorista rimase ucciso.

In base a quanto riportato da 'ilGiornale.it' in un articolo a firma di Manuele Avilloni e Gianluca Zanella, una donna molto vicina alla Cia in quei giorni doveva recarsi a Strasburgo ma alcuni suoi amici le avrebbero suggerito di annullare il viaggio.

Il quotidiano afferma che tale donna è un generale dell'esercito statunitense e che sia la stessa fonte che avrebbe confidato al criminologo Federico Carbone alcuni elementi inquietanti riguardo alla Strage di Capaci e all'omicidio del parà della folgore Marco Mandolini, avvenuto il 13 giugno 1995.

Secondo le informazioni raccolte il generale americano di stanza a Camp Darby aveva rivelato al consulente della famiglia Mandolini che i servizi di intelligence U.S.A sapevano dell'omicidio del militare già il giorno prima del decesso, cioè il 12 giugno 1995.

Alla luce di questa 'coincidenza' è possibile ipotizzare che la Cia sapeva anche dell'attentato a Strasburgo? E se si, perché non avvisò le autorità al fine di scongiurare il massacro?
Da quasi 30 anni la famiglia del militare ucciso cerca giustizia, affrontando silenzi e depistaggi.
Fu proprio Carbone a condurre il caso: il criminologo, in sostanza, scoprì che il delitto Mandolini era maturato all’interno del contesto eversivo di Gladio, nello specifico nella sua formazione semi-clandestina: la Falange Armata. Carbone individuò una pista che tocca altri due casi irrisolti: il caso dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (avvenuto il 20 marzo 1994) e quello di Vincenzo Li Causi, novembre 1993, amico di Mandolini. Sulle tre vicende ci sono delle convergenze non da poco. La prima: Mandolini conosceva ed era amico sia dell’inviata Rai Ilaria Alpi che del maresciallo Li Causi (anch’egli agente segreto italiano del Sismi come Mandolini). La seconda: sia Ilaria Alpi che Li Causi lavoravano in Somalia, dove vennero uccisi nel pieno della guerra civile.

Falange Armata e i segreti italiani sono sempre andati a braccetto nel corso della storia.
Nella rilettura di determinati delitti è altresì necessario indagare su quello che riguarda le strutture operative clandestine della VII Divisione del Sismi.

Per il criminologo Carbone e per il procuratore di Lagonegro Gianfranco Donadio, che ha indagato a lungo sulla stagione stragista si tratta di cellule esistenti e operanti ancora oggi. Soldati e agenti che eseguono operazioni sporche e, sembrerebbe, legati da una strategia unica.

Fonte: ilgiornale.it

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