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scarantino-vincPuntata integrale all'interno!
di Miriam Cuccu - 31 gennaio 2014

Dopo l’intervista esclusiva, Vincenzo Scarantino fa la sua comparsa negli studi televisivi di Servizio Pubblico. Coperto da una maschera, il falso pentito sulle cui dichiarazioni è stato costruito il colossale depistaggio sulla strage di via D’Amelio, denuncia ancora una volta magistrati e poliziotti che l’hanno costretto a dichiarare false verità sulla morte di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta. Facendo condannare all’ergastolo sette persone, poi risultate innocenti. Tutto questo perché, all’indomani della bomba che segue di soli 57 giorni la strage di Capaci, il gruppo investigativo diretto dal capo della mobile di Palermo Arnaldo La Barbera aveva bisogno di “un pupo”: qualcuno che, con inedite rivelazioni costruite ad arte, avrebbe portato a un risultato investigativo degno di nota in un momento contrassegnato invece dal caos.

Subito dopo l’arresto, spiega Scarantino “Mi portano a Pianosa – il carcere dell’Asinara in Sardegna - … cazzotti, calci…mi davano da mangiare la pasta con i vermi… la notte non mi facevano dormire, prendevano l’acqua e me la buttavano dentro…”, “a Pianosa mi stavano facendo morire!”. Per quale motivo? “Il dottor La Barbera aveva deciso che io dovevo diventare Buscetta” sostiene l’ex pentito di mafia. Questo nonostante i confronti con altri collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni entravano immancabilmente in conflitto con quelle del picciotto della Guadagna. Emblematico, su questo punto, il confronto con Salvatore Cancemi (primo pentito della “cupola” di Cosa nostra, deceduto nel 2011). Dopo aver ascoltato i fatti descritti da Scarantino, senza capo né coda, Cancemi intuisce che si tratta di un collaboratore “mandato”, e dice rivolgendosi ai magistrati: “Attenzione, state attenti è falso, non credete nemmeno a una virgola di quello che vi sta dicendo, perché non so chi è, non lo conosco, io sono convinto, io sono convintissimo... che a questo qua (Scarantino, ndr) queste parole gliele hanno messe in bocca, gli hanno fatto una lezione e ora la sta ripetendo”.
“Loro – prosegue Scarantino, parlando degli appartenenti al gruppo investigativo – lo sapevano dall’inizio che io ero innocente. Quando c’è stato l’ultimo interrogatorio con la dottoressa Ilda Boccassini, lei doveva andare via, è venuta da me, mi ha stretto la mano e ha detto: ‘Scarantino io vado via, ma si ricordi che non le credo’”, “ho detto ai magistrati ‘sentite, io ve l’ho detto che questi – gli altri collaboratori, ndr – mi smentiscono, e loro – Scarantino fa in particolare il nome della dottoressa Palma – rispondevano ‘no, stia tranquillo, lei rimane con le sue dichiarazioni, ognuno rimane con le sue’”. “Oggi dicono che Scarantino è un depistatore, ma Scarantino che motivo aveva di depistare? Scarantino è stato un povero disgraziato accusato perché gli serviva ‘il pupo’”.
Al termine della puntata l’ex collaboratore di giustizia è stato raggiunto da un’ordinanza firmata dal Gip di Torino. Fermato dagli uomini della squadra mobile, Scarantino sarebbe accusato di abuso sessuale ai danni di una ragazza con problemi. Secondo quanto hanno riportato dai giornalisti della redazione di Santoro, alcune volanti della polizia lo avrebbero preso in consegna, per poi perquisire l'auto che la redazione aveva noleggiato affinché l'ex collaboratore potesse raggiungere lo studio. “Gli uomini a bordo non si sono qualificati. Non sappiamo dire se avessero un mandato d'arresto. Sicuramente non ce l'hanno mostrato”, hanno detto i giornalisti. In seguito la polizia si è recata presso l’albergo dove Scarantino alloggiava per una perquisizione: “Abbiamo chiesto che alla perquisizione fosse presente il legale di Scarantino, ma i poliziotti sono saliti ugualmente in camera” hanno raccontato ancora i giornalisti, presenti sul posto. Una circostanza inquietante che dà adito a non pochi dubbi sulle ragioni di un arresto scattato proprio in concomitanza con la fine della puntata televisiva e con le dichiarazioni che incriminerebbero La Barbera, oggi scomparso ma il cui passato (contrassegnato anche dalla collaborazione con i servizi segreti con il nome in codice “Catullo”) risulta essere tutt’altro che limpido.

Le conversazioni tra Loris D’Ambrosio e Nicola Mancino
Trasmesse, sempre nella puntata di ieri, anche le intercettazioni dei dialoghi tra l’ex consigliere di Napolitano Loris D’Ambrosio (deceduto a luglio 2012) e Nicola Mancino, che nell’estate 1992 diventa ministro dell’interno. Mancino è accusato di falsa testimonianza al processo per la trattativa Stato-mafia. L’ex ministro, per “aggiustare” la sua posizione, due anni fa si rivolge al Capo dello Stato tramite D’Ambrosio, il quale dimostra una certa disponibilità ad interessarsi al suo caso. Alla richiesta di aiuto di Mancino – in riferimento al pericolo di un confronto con l’ex ministro della giustizia Martelli – l’ex consigliere risponde: “Come si fa ad intervenire? Qui è complicato. Per adesso io posso parlare con il Presidente, che aveva preso a cuore la questione”.
Così il segretario generale della Presidenza del Consiglio, Donato Marra invia una lettera a Grasso, allora procuratore nazionale antimafia, in merito ad una “percezione di gestioni non unitarie delle indagini collegate” sulla trattativa Stato-mafia. In sintesi, per chiedere il coordinamento tra procure gradito a Mancino. Ma Grasso, convocato in merito anche dal procuratore generale della Cassazione Gianfranco Ciani, risponde picche. I contatti tra Mancino e Napolitano (i dialoghi diretti, intercettati dalla procura di Palermo, sono stati distrutti per volere del Capo dello Stato) figurano al sesto punto del testo dell'impeachment presentato da M5s, secondo il quale “Il Presidente della Repubblica in carica non sta svolgendo il suo mandato, in armonia con i compiti e le funzioni assegnatigli dalla Costituzione e rinvenibili nei suoi supremi principi”. Con il conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano riguardante le conversazioni con Mancino si denuncia infatti “un grave atteggiamento intimidatorio nei confronti della magistratura, oltretutto nell'ambito di un delicatissimo procedimento penale concernente la presunta trattativa tra le istituzioni statali e la criminalità organizzata”.

In foto: Vincenzo Scarantino in uno scatto d'archivio

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