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dia bn c dlvdi Emiliano Federico Caruso - Camorra
Nel corso della notte, in seguito a un’ordinanza di custodia cautelare del Gip Francesca Ferri, la Direzione Investigativa Antimafia di Napoli ha arrestato il quarantenne Luigi “Gigino élite” Scognamiglio, facoltoso gioielliere titolare della catena di orologi “Calabritto 28”, con l’accusa di favoreggiamento personale aggravato.

L’accusa è di aver favorito in vari modi la latitanza di Antonio Lo Russo, boss indiscusso dell’omonimo clan e rimasto latitante per quattro anni dal 2010 al 2014. Una storia, quella dei Lo Russo, iniziata negli anni ’70.

Siamo a Napoli, verso la fine degli storici Anni di piombo. Un decennio difficile anche per il capoluogo campano: dai violenti scontri del 21 febbraio 1973, dove morì lo studente Vincenzo Caporale in seguito all’esplosione di un candelotto, fino al rapimento di Guido De Martino quattro anni dopo, passando per la morte di Iolanda Palladino, uccisa dallo scoppio di una molotov scagliata da tre neofascisti ed entrata attraverso il tettuccio della sua Fiat 500 durante un corteo seguito alla vittoria del PCI alle amministrative di Napoli. E altre bombe, morti e attentati, sono gli Anni di piombo, come dicevamo, e l’atmosfera di disordine e incertezza si avverte anche nel sottosuolo della criminalità organizzata di Napoli.

A cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80 i fratelli Giuseppe, Salvatore e Vincenzo fondano un clan che porta il loro cognome, Lo Russo, dedicandosi da subito con successo alle estorsioni e al traffico di droga. Pochi anni dopo si schierano con il clan della Nuova Famiglia, un sottogruppo dei Sacco-Bocchetti, insieme ai Moccia della bassa Liburia e ai Mallardo di Giugliano, contro la Nuova camorra organizzata di Raffaele “o’ professore” Cutolo.
Passano ancora pochi anni e il clan Lo Russo, quei “Capitoni” nel frattempo diventati tra i più potenti di Napoli, entra nell’alleanza di Secondigliano, una sorta di fratellanza tra clan fondata da Francesco “Ciccio ‘e calantonio” Mallardo, Edoardo “‘o romano” Contini e Gennaro “a’ scign” Licciardi, che negli anni successivi avrebbero preso il monopolio di quasi tutti i traffici illegali della città, tra appalti truccati, droga, estorsioni e contrabbando.
I tre fratelli riescono a guidare il clan con mano ferma, accrescendone sempre di più il potere criminale ed economico fino al 2007, quando viene arrestato Salvatore Lo Russo, nel frattempo diventato uno dei più potenti boss del contrabbando di sigarette e in rapporti stretti nientemeno che con l’allora ministro degli esteri albanese.
Quasi subito Salvatore inizia a collaborare, a fare nomi e cognomi svelando molti retroscena del sottosuolo della camorra campana. Con il suo arresto e il suo pentimento, il potere del clan passa al figlio Antonio Lo Russo, un ragazzo sveglio e intraprendente, che in poco tempo investe il denaro ricavato dalle attività illegali in gioiellerie, imprese e centri scommesse, diventando un abile riciclatore e uno dei più ricchi del clan: “È talmente ricco che non sa dove murare i suoi soldi” dirà di lui Biagio Esposito, ex killer al soldo del clan Amato-Pagano (sodali anche del clan Lo Russo: oltre a gestire insieme gli affari di droga, Cesare Pagano fu compare di nozze di Antonio), entrato poi anche lui nel grande calderone dei pentiti di camorra.

Non si fa mancare nulla, Antonio Lo Russo, ma ormai all’apice del potere viene raggiunto a maggio del 2010 da un’ordinanza di custodia cautelare e reagisce nell’unico modo che conosce: fuggendo, diventando uno dei molti latitanti della storia della Camorra.
Ora bisogna per prima cosa trovare un luogo sicuro dove nascondersi e un amico di cui fidarsi, possibilmente uno incensurato, pulito, che non attiri le attenzioni della DIA di Napoli. E Antonio lo trova proprio in Luigi Scognamiglio, quel “Gigino élite” facoltoso gioielliere titolare di una nota catena di orologi e di alcune gioiellerie di Napoli, che subito mette a disposizione del boss il suo appartamento nel quartiere di Chiaia.
Nel frattempo, Antonio si ricorda di aver lasciato al suo amico Ezequiel Lavezzi, attaccante argentino ex del Napoli (non indagato per questa storia, ma per una ricettazione di opere d’arte a luglio del 2013) un cellulare intestato a terzi, per poter comunicare senza rischi. Eliminato il rischio di mettere nei guai il suo amico calciatore, Antonio affronta i primi tempi della latitanza aiutato dal gioielliere, che si preoccupa di fornirgli tutto il supporto logistico necessario, organizzando nel suo appartamento anche gli incontri del boss con i suoi affiliati e soprattutto con la moglie Anna Gargano, poi finita ai domiciliari nell’estate dello scorso anno, quando vennero arrestati altri 23 affiliati al clan, per una storia di traffico di droga, detenzione illegale di armi, tentato omicidio e, già che c’erano, estorsione in seguito a un aumento di 20 centesimi al kg sulla vendita del pane, imposto a vari esercizi commerciali di Napoli.

Ma torniamo ad Antonio. La latitanza nell’appartamento dell’amico gioielliere non è abbastanza sicura per lui, si trova proprio al centro di Napoli e prima o poi potrebbe scattare un controllo, una perquisizione. Decide quindi, nel pieno dell’estate del 2010, di spostarsi in un luogo più sicuro, magari in un altro paese. Sceglie la Francia, a Nizza, e proprio sulla Costa azzurra passa un periodo di relativa tranquillità, di latitanza dorata lontano da indagini e controlli ma, sembra, non dai suoi traffici.
Quattro anni dopo, nell’aprile del 2014, Antonio torna in macchina da un bar della Costa Azzurra insieme al cugino Carlo “Lellè” Lo Russo, quando entrambi vengono arrestati dai Carabinieri di Napoli e della National Gendarmerie francese. Finisce così la latitanza del boss di Secondigliano, che una volta estradato in Italia decide anche lui di iniziare a collaborare a novembre dello scorso anno e, tra le altre cose, spiega agli investigatori quella “zona di buio” che risale ai primi mesi della sua latitanza.
E tra i nomi tirati fuori dall’ex boss c’è anche quello di Luigi Scognamiglio, il gioiellerie del Vomero e di Chiaia. Racconta tutto, Antonio, dai rapporti con Scognamiglio fino alle visite dei sodali e dei parenti, mettendo in moto quelle indagini che, dopo gli opportuni riscontri, hanno portato la DIA di Napoli, guidata dal capocentro Giuseppe Linares, ad arrestare il facoltoso gioielliere, che ora dovrà rispondere delle accuse di favoreggiamento aggravato.
Forse, in futuro, l’ex boss spiegherà meglio anche un altro episodio rimasto irrisolto: pochi mesi prima della sua latitanza, ad aprile 2010, era stato fotografato a bordo campo dello stadio San Paolo di Napoli, durante una partita Napoli-Parma, in un’area in teoria riservata e con addosso una pettorina della manutenzione. Una storia che allora portò all’ipotesi, poi archiviata, di pressioni da parte della Camorra per pilotare i risultati della partita.

Foto © DLV

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