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Dall’inchiesta della Dda di Bologna emerge una fitta rete di narcotraffico tra America Latina, Italia e Nord Europa

Calabria ed Emilia-Romagna nel triennio 2019-2021 oltre ad essere collegate grazie al gruppo Autostrade per l’Italia, erano collegate anche da una seconda rete autostradale adibita al trasporto di ingenti quantitativi di droga dal valore inestimabile. Il dato sta emergendo dalla recente inchiesta della Dda di Bologna chiamata “Aspromonte emiliano” in cui viene contestata a 37 dei 45 indagati l’associazione criminale finalizzata al narcotraffico. Un’organizzazione molto articolata composta da molti soggetti calabresi (non tutti) che risiedevano in Emilia-Romagna. Una fitta rete in grado di trafficare, in meno di due anni più di quattro quintali di hashish, un quintale di marijuana e, soprattutto, oltre una tonnellata di cocaina per un valore commerciale di oltre cento milioni di euro.
A capo dell’organizzazione c’era Giuseppe Romeo (in foto), alias “Maluferru”. Un figlio d’arte essendo nipote di Sebastiano Romeo, capo storico della ‘ndrina di San Luca. la droga veniva acquistata da alti esponenti della criminalità colombiana, brasiliana, boliviana ed ecuadoregna. Quanto alla distribuzione, invece, Romeo la concordava con le cosche calabresi, con i Catatonica della Capitale, con la mafia albanese e le ‘ndrine lombarde. Giuseppe Romeo era un leader in questo commercio. Muoveva container carichi di droga che faceva arrivare a Gioia Tauro o al porto di Rotterdam, in Olanda. I suo “compari” lo aiutavano nel trasporto della merce tra la Calabria e l’Emilia-Romagna, in cui potevano contare di vari depositi, per poi spostarsi al Nord pronta per essere consumata.

Punto di snodo del grande commercio è la città di Reggio Emilia. infatti, 125 capi d’imputazione su 190 fanno riferimento a reati connessi a Reggio e molti quasi metà dei soggetti accusati di far parte dell’associazione criminale risiedono proprio lì.
Stando all’ordinanza, inoltre, i rapporti tra Giuseppe Romeo e i suoi sodali emiliani - Pietro Costanzo di Quattro Castella, Giuseppe Cistaro di Sant’Ilario e Francesco Silipo di Gualtieri - sono storici e ben consolidati. Particolare attenzione, però, meritano le tecniche e i metodi utilizzati a garanzia del commercio criminale.


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A guidare l’organizzazione vi erano professionisti del settore in grado di dialogare attraverso chat crittografate grazie al software canadese Sky Ecc, che li ha fatti lavorare tranquilli fino a quando l’Europol è riuscita a scardinare il sistema nell’ennesima tappa della guerra tecnologica tra crimine e anticrimine. Inoltre, era un cartello che se necessario ricorda anche l’uso della violenza per difendere i propri interessi nel territorio. Un gruppo capace e disposto anche ad ammazzare e sequestrare persone per i soldi, disponendo anche di un discreto arsenale di armi che emerge dai relativi capi di imputazione. Come sottolinea Paolo Bonacini sul Fatto “nell’agosto 2020 Giuseppe Giorgi, un altro indagato, manda a suo zio Fortunato, responsabile della distribuzione di droga nel Lazio, l’immagine di una ‘apparecchiata’ sul tavolo della cucina. La Guardia di Finanza ha identificato sette mitragliatori AK-47 e due Imi Uzi capaci di sparare seicento colpi al minuto, una pistola, due silenziatori, serbatoi e munizioni”.

Stando alle intercettazioni nel 2020 l’organizzazione rischiò di aprire una vera e propria guerra tra clan. A fine gennaio Giuseppe Romeo trattò l’acquisto di tre quintali di cocaina per conto di un gruppo criminale albanese operante in Belgio al quale, come garanzia dell’affare, affidò un proprio cugino fino al buon esito della consegna. La droga proveniva d’un cartello brasiliano che disponeva di doganieri e operatori portuali a libro paga, e doveva partire dal porto peruviano di Callao. Romeo anticipò 450mila euro, gli addetti alla spedizione assicurano il buon esito dell’imbarco, ma ad un certo punto i container vengono sequestrati dalle autorità sudamericane prima che la nave molli gli ormeggi. Le varie organizzazioni si infuriano tra di loro e per quattro mesi minacciano di farsi guerra. Nel frattempo il cugino di Romeo resta in ostaggio in Belgio; gli italiani tengono a loro volta in ostaggio l’uomo di fiducia del venditore, alias “Super“. “Super! Restituisci i soldi sennò già sai cosa succederà, ci ammazzeremo tutti - intimavano i produttori brasiliani della cocaina - perché tu hai confermato che il carico stava sopra la barca, figlio di puttana! Sei stato tu che hai preteso i soldi, il compito di fare uscire la droga era tuo e quindi già lo sai… o pagate, o pagate!”.

A testimonianza della ferocia del gruppo criminale operante in Emilia-Romagna, gli inquirenti evidenziano il contenuto di alcuni messaggi inviati da Giuseppe Romeo a “Super” in cui in spagnolo, dopo avergli ricordato che il cugino era ostaggio dei serbi in Belgio, lo ha anche minacciato dicendo: “Te la sei andata a cercare! Ti è piaciuto prendere i soldi da me ma credi che non pagherò 100mila euro per ucciderti?.. Figlio di puttana, ti faccio vedere io se fai le vacanze con i miei soldi, fottendomi. Uomo di merda e senza onore, domani ti fotto io la vita!.. Prendi i soldi ora e portali ai miei uomini. Non un minuto in più, Super, perché io prima cavo gli occhi ai tuoi ragazzi e poi passo a te.”
La faida si conclude dopo quattro mesi con il pagamento - a Romeo - di quasi mezzo milione di dollari e il rilascio dell’uomo che lui teneva in ostaggio. Periodo durante il quale, dicono gli inquirenti, Romeo ha inviato alcune foto oltreoceano in cui veniva raffigurata - dicono gli atti - una testa decapitata con la sigla “GT” stampata in fronte e due mani mozzate. Molto probabilmente indicando le iniziali di uno dei fornitori di droga.

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