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dia bandiera nerodi Francesca Mondin
Una Cosa nostra “collegiale” che tende a forme più fluide e che si poggia sul “principio della così detta realtà reticolare” privilegiando “l’approccio corruttivo ed evitando, ove possibile, lo scontro fontale”. E’ questa la rinnovata strategia della mafia siciliana descritta dalla prima relazione semestrale della Dia del 2015 che conferma “il processo d’infiltrazione negli apparati dello Stato” e nel settore economico-finanziario. Fenomeno strettamente legato al forte potere corruttivo di Cosa nostra ed al fatto che oramai può attingere da “un proprio bacino di riferimento caratterizzato da nuove generazioni di qualificati professionisti”.

La mafia in evoluzione
Di fronte a cambiamenti epocali e all’evoluzione dei mercati Cosa nostra ha confermato di essere “in grado di rigenerarsi costantemente, adattandosi ai tempi e mantenendo inalterate le caratteristiche genetiche originarie”.  

La strategia d’azione punta sul “condizionare uniformemente diverse realtà territoriali con una ramificazione - a vasto raggio e vari livelli - dei rapporti economici politici e sociali”. Una tendenza verso forme “più fluide di organizzazione” scrive la Dia evidenziando come “Cosa nostra sembra propendere verso una gestione policentrica e collegiale della leadership” dettata anche dalla “difficoltà di ricostruire la cupola mafiosa con i poteri di un tempo”.

Altro fattore di cambiamento è la diversa connotazione del concetto di appartenenza “per le nuove leve di comando l’immedesimazione con l’associazione non viene più avvertita come totalitaria” a testimoniarlo secondo la Dia sono il crescente numero di collaborazioni.

Mentre sebbene resta principale il progetto di accumulazione e riciclo di capitale cambia “l’azione delle consorterie” che “sembra assumere sempre più una connotazione di breve periodo, in linea con le dinamiche e la volatilità dei mercati”. “Ne sono una chiara dimostrazione le relazioni intercorrenti tra articolazioni della medesima organizzazione mafiosa con quelle di altra matrice, anche straniere, finalizzate all’assunzione di accordi estemporanei per il conseguimento di obiettivi  innanzitutto economico-affaristici”.

Un organismo collegiale
In particolare la Dia fa riferimento al capoluogo siciliano dove “permangono forti segnali di mutamento dell’organizzazione e di regolazione interna delle consorterie”.

“Si avverte la possibilità che le famiglie più forti finiscano per imporre la propria egemonia su quelle più deboli, sottomettendole e includendole nella propria sfera d’influenza con una conseguente rimodulazione dei confini”. Ciononostante al momento Cosa nostra palermitana sembra legittimare “un organismo collegiale ‘provvisorio’, con funzioni di consultazione e raccordo strategico, costituito dai più  influenti capi mandamento della città delegati ad individuare una linea comune, pur nel rispetto dell’autonomia delle famiglie”.
Particolare riferimento viene fatto all’alleanza tra Cosa nostra palermitana e trapanese che “fonda le sue radici “ nel perseguimento di obiettivi comuni” ma anche “nei legami di amicizia personali” tra i vari capi.  Nella relazione della Dia viene evidenziato come la mafia trapanese si trova impegnata nell’attuare “strategie unitarie, comunque protese a coprire e sostenere la latitanza di Matteo Messina Denaro” il super latitante “ritenuto punto di riferimento del sistema criminale, non solo provinciale”.

Affari: appalti, droga e rifiuti
Prima fra tutte le condotte illecite è la “corruzione dei pubblici funzionari”  che si coniuga con il “ciclo economico criminale” della mafia. Come testimoniato dall’operazione Agorà Cosa nostra può “condizionare i gangli vitali delle Istituzioni”. Secondo la relazione Dia sebbene in Sicilia si registri una riduzione degli stanziamenti per la realizzazione degli appalti pubblici, questi “continuano a rappresentare uno dei principali settori d’interesse di Cosa nostra”. Che se da una parte consentono all’imprenditore formalmente estraneo “vantaggi non altrimenti conseguibili” alla mafia permettono “di infiltrarsi negli ambiti nevralgici dell’economia e della Pubblica Amministrazione.
Il traffico di stupefacenti e lo spaccio sono un altro affare fortemente redditizio e primario per l’economia di Cosa nostra che però vede “partecipi indistintamente tutte le espressioni criminali operanti in Sicilia”. Le dinamiche connesse al controllo dello spaccio “concorrono a ristabilire gerarchie e rapporti di forza a vari livelli”. Emblematica è la  provincia di Enna, “dove le consorterie locali subiscono costantemente l’influenza e la presenza di clan nisseni o catanesi (…) questi ultimi insinuandosi nei vuoti di potere ed assumendo il controllo, pressoché esclusivo, del traffico di droga”.  I clan catanesi hanno esteso il loro controllo nel settore della droga anche nel territorio di Scicli “dopo il forte depotenziamento del gruppo stiddario dei Ruggeri”. La Dia evidenzia come “il versante orientale dell’isola, con epicentro Catania, stia diventando il punto di smistamento della marijuana e dell’hashish il cui approvvigionamento avviene attraverso contatti diretti con i Paesi dell’Est, in particolare Albania”. Mentre per quanto riguarda la cocaina “risultano operativi i collegamenti con esponenti  delle famiglie ‘ndranghetistiche”.
Anche i rifiuti continuano ad essere interesse dell’organizzazione mafiosa. In particolare nella relazione della Dia si fa riferimento alla provincia di Agrigento che “risulta vulnerabile a causa di deficit gestionali ed infrastrutturali e di un cronico stato emergenziale che caratterizza tutto il sistema regionale”.

Il racket e l’usura, scrive ancora la Dia “continuano a rappresentare le modalità attraverso le quali le consorterie assicurano nell’immediato un tornaconto economico e l’asservimento delle vittime costrette ad accettare, non di rado a seguito di atti intimidatori forme di ‘protezione’ o di finanziamento”.
Fattore del tutto nuovo è l’interesse di Cosa nostra nissena, emerso dall’operazione “Kalyroon”, rivolto allo “sfruttamento diretto della prostituzione, anche minorile, settore normalmente ad appannaggio di gruppi di etnia straniera”.

Un’insidia crescente è inoltre rappresentata dalla “dematerializzazione e ‘delocalizzazione’ degli investimenti” scrive la Dia sottolineando l’importanza quindi di “incentivare, in primo luogo, l’azione investigativa preventiva attraverso un approccio multidisciplinare e l’adozione di procedure di trasparenza amministrativa nell’assegnazione dei finanziamenti e dei lavori pubblici.

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