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grassi-libero WEB0XXII anniversario dell’uccisione di Libero Grassi, imprenditore tessile che si ribellò al pizzo
di Miriam Cuccu - 29 agosto 2013
La storia di alcuni uomini è già scritta nel loro nome. È il caso di Libero Grassi, nato in una famiglia siciliana di convinti antifascisti, in un Paese che iniziava appena a vivere sotto l’ombra mussoliniana. Ma non è bastata una dittatura lunga vent’anni per scardinare quegli ideali di democrazia e, appunto, libertà, che Libero apprende in casa Grassi. Dopo essersi trasferito da Catania a Palermo e in seguito a Roma, Libero torna nel capoluogo siciliano da imprenditore.

La sua azienda di biancheria, a seguito di un periodo di difficoltà economiche, è la terza leader nel settore della pigiameria con un fatturato annuo di sette miliardi di lire. Una fonte di guadagno che, negli anni ’80, inizia ad attirare l’attenzione di Cosa nostra. In una Palermo dove la mafia regna ancora incontrastata, dove gli imprenditori chinano la testa sotto la protezione imposta loro dai clan, il rifiuto di Libero Grassi di pagare il pizzo giunge come un fulmine a ciel sereno. Nonostante le ripetute minacce perpetrate dal ‘geometra Anzalone’ (si trattava dei gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, in seguito arrestati insieme a un complice) Libero continua a restare tale, di nome e di fatto.
Il 10 gennaio 1991 scrive una lettera al Giornale di Sicilia, rompendo quel muro di omertà dietro al quale si nascondeva la quasi totalità degli imprenditori locali. La missiva era indirizzata al suo estortore, che invitava a “risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia”, “Se paghiamo i 50 milioni – conclude – torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al ‘Geometra Anzalone’ e diremo no a tutti quelli come lui".
Nonostante la sua protesta contro uno storico sistema di silenzio e connivenza, la solidarietà che riceve questo coraggioso imprenditore è ben poca: “Il presidente provinciale dell'Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso. Una "tamurriata" come si dice qui. E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito” si legge in una lettera pubblicata dal Corriere della Sera.
Anche la giustizia si dimostra ostile di fronte al vaso di Pandora scoperchiato da Libero: “La decisione scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo (del 4 aprile 1991) – prosegue la lettera – che ha stabilito con una sentenza che non è reato pagare la ‘protezione’ ai boss mafiosi, è sconvolgente. In questo modo infatti è stato legittimato con il verdetto dello Stato il pagamento delle tangenti. Così come la resa delle istituzioni e le collusioni. Proprio ora che qualcosa si stava muovendo per il verso giusto. Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la mafia è ancora più scandaloso delle scarcerazioni dei boss. Ormai nessuno è più colpevole di niente. Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento; e cioè, pagate i mafiosi. E quelli che come me hanno invece cercato di ribellarsi?”. Avrebbero combattuto una battaglia solitaria contro un potere legittimato dalle stesse istituzioni chiamate a contrastarlo.
Il grido di libertà dell’imprenditore tessile viene spento la mattina del 29 agosto 1991 da Salvatore Madonia, figlio del capomafia del quartiere di San Lorenzo, che lo attende sotto casa, in via Alfieri, sparandogli alle spalle. Per questo verrà condannato all’ergastolo insieme a boss come Totò Riina e Bernardo Provenzano, responsabili di molti altri omicidi, ai quali verranno confermate le condanne nell'ultimo procedimento scaturito proprio dal maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone.
La stampa locale e nazionale fece di Libero Grassi un “martire” di mafia. In realtà chi tacitamente autorizzò la sua uccisione fu una Palermo  che fece in modo che l’esempio di ribellione di Libero rimanesse isolato. Di conseguenza, un bersaglio facile da abbattere. Ma i suoi ideali non sono stati uccisi con lui: a distanza di anni si sono formati comitati come ‘AddioPizzo’ e ‘Libero Futuro’, movimenti di rivoluzione culturale contro le mafie a sostegno degli imprenditori sempre più numerosi che si rifiutano di pagare il pizzo. Un seme di speranza che, se curato a dovere, può dare vita a una società civile finalmente libera dall’oppressione mafiosa.

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