di Francesco Trotta - 23 luglio 2014
Le stragi di Capaci e di Via d’Amelio furono lo spartiacque della recente storia d’Italia. Lo furono sicuramente per una parte della Sicilia, segnando l’inizio di una nuova presa di coscienza della lotta contro la mafia. Ventidue anni fa dopo gli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, qualcosa cambia. A Palermo, “Le donne del digiuno” invadono e occupano piazza Castelnuovo, attuando a turno tre giorni di sciopero della fame. Ci racconta quest’esperienza il fotografo Francesco Francaviglia (in foto).
Francesco, chi sono queste donne del digiuno, protagoniste della tua mostra?
Le donne del digiuno sono una pagina importantissima della risposta, da parte della società civile palermitana, al disegno stragista della mafia. Sono le donne che quel terribile giorno dei funerali degli agenti della scorta di Borsellino, mentre una folla immensa imprecava contro i politici, decisero di proclamare un digiuno nella piazza principale di Palermo.
Si sono esposte senza timidezza, con autorevolezza, al di là delle appartenenze ad associazioni o partiti, denunciando ad alta voce e a viso scoperto, invocando le dimissioni del prefetto, del capo della polizia, del procuratore, dell’alto commissario, del ministro degli interni. Sono donne che, allora come oggi, chiedevano verità e giustizia. Denunciavano, con richieste che allora apparivano azzardate, i silenzi e le complicità di chi, all’interno delle istituzioni, avrebbe dovuto impedire le stragi. Sono donne che di fronte al sangue dell’estate del ’92 decisero di mettere in gioco, con un’azione collettiva, non solo la loro quotidianità, ma anche la loro fisicità.
Nei miei ritratti le donne del digiuno si presentano con un’inquadratura stretta, ancora una volta senza timidezza, con i loro volti fieri e bellissimi, con i segni del tempo che testimoniano una lunga storia di impegno civile, con delle forti sfocature che rendono protagonista assoluto il loro sguardo, testimone di un dolore ancora vivo.
Come mai questa esperienza “rivoluzionaria” è stata spesso sottaciuta?
Forse è più facile ricordare ciò che si imprime nella memoria con le immagini. In quei giorni, a Palermo, i segnali di ribellione alla mafia furono tanti e diversi. Ognuno trasformava nel proprio strumento di denuncia ciò che gli era più congeniale. Faccio riferimento, per esempio, ai “lenzuoli bianchi”, una forma di protesta che diventava simbolo di una Palermo che si opponeva, trasformando a tutti gli effetti la percezione dello spazio, le facciate dei palazzi, modificando l’aspetto usuale dei luoghi in cui il cittadino trascorreva la propria quotidianità.
O forse perché, svanita l’eco delle bombe, sono nate leggi che delegavano alla Magistratura la soluzione del problema Mafia, fin quando le indagini non si sono occupate di collusioni con alcuni rappresentanti della politica e delle istituzioni.
Quale è il tuo rapporto con le donne del digiuno?
Mi piace pensare che le donne che ho fotografato mi abbiano tenuto per mano durante questo percorso. Mi hanno accolto con generosità, con percezione del mio volere scoprire e capire di quel frangente di storia dell’Italia che per motivi anagrafici non ho vissuto. Ho cercato con loro un rapporto frontale, diretto, e questo ha comportato anche momenti di forte resistenza verso la possibilità di essere fotografate, resistenza nei confronti di un primo piano, che se non ben calibrato all’interno di una storia, correva il rischio di diventare puro protagonismo. Rispettando i tempi di ognuna ho iniziato a decodificare i loro messaggi, i loro sguardi…conservo una grande lezione sul valore dell’impegno civile, senza protagonismi, senza vanità, ma sul valore dell’agire insieme.
(In foto Pina Grassi)
Da palermitano come vivi la commemorazione della strage di Via D’Amelio?
Quest’anno il manifesto che invitava le associazioni, i singoli e cittadini ad essere presenti in via D’Amelio il 19 Luglio, era accompagnato dall’invito a recarsi in quel luogo per ricordare alle istituzioni che Palermo non ha dimenticato il sacrificio delle vittime della strage, e non per commemorare, perché la commemorazione va fatta quotidianamente, semplicemente mettendo in atto quello stile di vita e quei principi etici e morali che caratterizzavano chi nelle stragi ha perso la vita per servire lo Stato.
Da cittadino, Palermitano o non, trovo importantissimo che Magistrati coraggiosi, e che si battono per la ricerca della verità, quali Nino Di Matteo in via D’Amelio o Franca Imbergamo per l’inaugurazione di questa mostra sulle donne del digiuno, accettino, nei limiti del possibile, un confronto con quella parte di società che chiede giustizia, che ha sete di sapere.
Le donne del digiuno come cittadini italiani che non hanno dimenticato e sono affamati di verità. È veramente cambiato il contesto socio-culturale della Sicilia e dell’Italia?
Gli anni sono passati e nonostante la mafia abbia smesso di uccidere la sensazione è che ci sia ancora molto da fare. Il mito siciliano è svanito e con esso il potere militare della mafia. Tuttavia oggi la mafia è viva forse più di prima e ha i suoi uomini direttamente nelle istituzioni. La corruzione e la crisi della politica ne sono l’effetto più visibile.
I miei ritratti emergono dal nero, sono avvolti da quello stesso nero che avvolge la verità di cui gli italiani sono affamati.
Per quanto riguarda la Sicilia, ricordo di una manifestazione a San Giuseppe Jato nel ’96 a seguito dell’assassinio del piccolo Di Matteo…frequentavo le scuole medie e in molti quel giorno non vennero a scuola per non partecipare alla manifestazione di protesta…qualche mese fa invece ho avuto il piacere di fotografare una folla di bambini e adolescenti che animavano una delle vie principali di Palermo urlando slogan contro il pizzo. Sul cambiamento socio-culturale ho dunque fiducia nelle nuove generazioni.Francesco, perché bisognerebbe vedere la tua mostra “Le donne del digiuno”?
Penso fermamente che chi svolge un lavoro come il mio abbia la possibilità e il dovere di divulgare un messaggio, di esporsi utilizzando il proprio linguaggio ed esprimere da che parte stia, al di là delle peculiarità estetiche dell’immagine. Il mio lavoro sulle donne del digiuno racconta una storia importante, una storia vera, e la cronaca di questi giorni ci insegna che ora più che mai è importante ritrovare il senso della passione civile, il senso della legalità e della giustizia. Sono passati più di venti anni dal giorno in cui quelle donne scesero in piazza, e nonostante il tempo, è necessario ricordare a noi stessi che la lotta alla mafia deve essere un impegno quotidiano, non solo della magistratura o delle istituzioni, ma fondamentalmente di noi tutti.
La mostra “Le Donne del digiuno contro la mafia” è stata inaugurata il 18 luglio e sarà visibile fino al 23 agosto, al Palazzo Ziino, a Palermo.
Francesco Trotta per9ArtCorsoComo9
Tratto da: artspecialday.com