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georgofili big bnGiovanna Chelli: di Messina Denaro ancora nessuna traccia
di Miriam Cuccu
“Siamo già al ventiquattresimo anniversario dalla strage di via dei Georgofili, quando Matteo Messina Denaro passò sotto la Galleria degli Uffizi dicendo 'questi salteranno', ma del 'mandante interno a Cosa nostra' della strage terroristica eversiva” di quel 27 maggio '93, “in carcere a 41 bis non v’è traccia”. C'è amarezza nelle parole di Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione delle vittime di via dei Georgofili, a pochi giorni dal 24° anniversario della bomba che, esplodendo, stroncò la vita del 22enne Dario Capolicchio (bruciato davanti agli occhi della fidanzata Francesca Chelli, figlia dell'oggi presidente dell'associazione) e della famiglia Nencioni: Fabrizio, la moglie Angela Fiume e le due bimbe Nadia, 9 anni, e Caterina, 50 giorni, oltre a una quarantina di feriti. Un boato con il quale Firenze piombò nel terrore, quando il tritolo danneggiò gravemente parte della Galleria degli Uffizi e del Corridoio Vasariano, distruggendo per sempre alcune opere d'arte.
Sono stati necessari due processi per condannare i responsabili della strage (e delle bombe di Roma e Milano) oltre a delineare il quadro della trattativa tra lo Stato e la mafia nel quale si inseriscono le stragi del '92 e '93, compresa quella di Firenze. “Lo Stato - scrivevano i giudici nelle motivazioni della sentenza del secondo processo, quello a carico del boss Francesco Tagliavia - avviò una trattativa con Cosa nostra”, che “indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des” per interrompere la strategia stragista di Cosa nostra. E “l'iniziativa - precisavano - fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”.
Ma la Cassazione il 17 settembre 2014 aveva annullato con rinvio la condanna all’ergastolo per strage di Tagliavia, capo della famiglia palermitana di Corso dei Mille accusato di aver messo a disposizione i suoi uomini e prestato il suo consenso all'eccidio fiorentino. Così era stato tutto rimandato ad un nuovo processo d'appello fissato per il luglio successivo. Un duro colpo per i familiari delle vittime di mafia, se si somma alla successiva decisione di far slittare il dibattimento di altri sei mesi.
Ma anche al secondo processo d'appello il capomafia di Corso dei Mille viene condannato all'ergastolo. E questa volta, lo scorso 20 febbraio, la Cassazione ha confermato l'ergastolo per il boss.
Tagliavia venne arrestato nel maggio 1993. Uno dei suoi “soldati”, Pietro Romeo, l’aveva chiamato in causa già nel corso della prima inchiesta avviata immediatamente dopo gli attentati, ma le sue dichiarazioni non erano state ritenute sufficienti per procedere a carico del boss. Cosa che è stata resa possibile quando nel 2008 sono sopraggiunte le dichiarazioni d'accusa di Gaspare Spatuzza, che ha contribuito a riaprire le indagini non solo sui fatti del '93 ma anche su quelli del '92 con le stragi di Capaci e via d'Amelio.
Così, i due processi sulla strage di Firenze hanno accertato che i mandanti e gli autori materiali della strage erano esponenti della mafia, che ad ispirarla era stata l’avvenuta formale deliberazione di “una sorta di stato di guerra contro l’Italia”, da attuarsi utilizzando una precisa strategia di tipo terroristico ed eversivo. Una strategia che andava oltre i consueti metodi e le consuete finalità delle varie forme di criminalità organizzata, con la quale si intendeva “costringere lo Stato Italiano praticamente alla resa davanti alla criminalità mafiosa”. 

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