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ingroia-c-giorgio-barbagallodi Antonio Ingroia - 19 luglio 2014
È ozioso, vigliacco e perfino immorale cercare di interpretare le intenzioni e il pensiero di chi non c`è più. Un esercizio assai in voga che immancabilmente si ripeterà come uno stanco rituale nella retorica dei tanti che si ergeranno a interpreti autentici del pensiero di Paolo Borsellino ancora una volta in occasione dell`anniversario della strage del 19 luglio 1992. Non lo farò. Non voglio aggiungermi al coro indecente. Ma una cosa è certa. Paolo Borsellino, che nei suoi ultimi giorni così tanto si era battuto per la verità sul massacro di Capaci del suo amico Giovanni Falcone, non sarebbe contento delle mezze verità finora acquisite su quella stagione di sangue in cui lui stesso venne ucciso. E mi pare di vederlo con quello sguardo che sapeva essere indulgente, ma anche severo e intransigente.

Anche noi, a 22 anni dalla strage, abbiamo il diritto-dovere di tracciare un bilancio e domandarci brutalmente: è servito il sacrificio di Paolo Borsellino? È servito il suo atto di generosità e di coraggio? Fu generoso con tutti, perfino verso uno Stato che non lo meritava.

Quando gli chiesi di rifiutare pubblicamente la candidatura a Procuratore Nazionale Antimafia, che lo avrebbe sempre più esposto, mi rispose di no perché non voleva creare imbarazzi al governo che lo aveva candidato. Un atto di generosità istituzionale verso uno Stato ingrato che in quegli stessi giorni lo stava consegnando ai suoi carnefici, con una trattativa assassina che avrebbe scambiato la vita di alcune vittime innocenti con quella di qualche esponente di una classe politica condannata dalla fine del Prima Repubblica, prima ancora che dalla mafia. Che si abbia in questi giorni il coraggio di guardare la realtà in faccia. Ecco perché è giusto parlare di uno Stato assassino dei propri figli e complice degli stragisti. Sipuò perdonare uno Stato così? No, questo è uno Stato imperdonabile. Uno Stato così si può solo processare. Ma il Potere è improcessabile, perché non si fa giudicare. Pretende irresponsabilità perché è l`antitesi del principio di responsabilità. E perciò rifiuta il processo e la verità, perché dalla verità derivano responsabilità. Ecco dove si radicano i depistaggi. Lo Stato ha depistato perché non emergessero le sue responsabilità, e se non fossimo stati tutti imbrogliati da false apparenze oggi non saremmo orfani della verità. Così si spiegano le coperture, i cui artefici sono stati premiati da fulminanti carriere. Così si spiegano ostacoli e campagne delegittimanti per fermare e denigrare chi, contro tutto e tutti, non si arrendeva e non si arrende, provando a salire il piano inclinato della verità, che ormai è diventata una parete liscia e verticale, inerpicabile.

E se non bastasse tutto questo, ecco il silenzio delle istituzioni, il buio della reticenza, la smemoratezza omertosa di un ceto politico e di una casta di custodi di segreti di Stato, i più inconfessabili, che ha chiuso per sempre il coperchio. Tutto sopito, rientrato, rimosso, seppellito. Come nulla fosse accaduto. In un paese davvero democratico ci sarebbe stata una rivolta di popolo, la magistratura sarebbe stata sostenuta, la politica, dalle più alte cariche dello Stato in giù, avrebbe fatto la sua parte anche supportando la magistratura. La verità non sarebbe stata così vergognosamente misconosciuta. Nessuno avrebbe mai negato la trattativa, né avrebbe osato definirla “meritoria e coraggiosa. E così sarebbe stato onorato chi da quella trattativa venne ucciso, nell`anima prima ancora che nel corpo. Nulla di tutto questo, invece. C`è una magistratura che, seppur ferita e offesa, continua, in un`aula bunker con le gabbie vuote, assediata non dalla mafia ma dall`ostilità dei potenti e dall`indifferenza dei più, un processo che va difeso, perché rimasto l`ultimo baluardo che dimostra la responsabilità di uno Stato colpevole di quella trattativa assassina.
E C’è un pezzo di società civile resistente, poco rappresentata nel mondo visibile di media e politica. Nient`altro. Il resto è buio e silenzio imbarazzato e complice. Paolo Borsellino meritava ben altro. La sua lealtà è stata tradita. Gli italiani non hanno saputo meritare il suo sangue, sangue versato che è un atto di accusa. L`Italia del dopoguerra ha saputo meritarsi il sangue versato nella resistenza democratica e antifascista. E da quella resistenza nacque la nostra Costituzione, una delle più avanzate al mondo. Non è stato così nell`Italia del ventennio dopo lo stragismo del `92-`93. E mi viene da pensare a Caponnetto quando disse, subito dopo la morte di Borsellino, “E finito tutto”.

(dal Fatto Quotidiano oggi, 19 luglio 2014, in edicola)

Tratto da: azione-civile.net

Foto © Giorgio Barbagallo

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