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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ritiene che si tratti diffamazione quando la si accusa di essere “neonazista nell’anima”. Eppure rivendica le origini del suo partito nell'Msi, fondato dai repubblichini di Salò, sodali e scherani della forze naziste che controllavano l’Italia del Nord. Mentre Almirante, il “fucilatore di partigiani”, rimane la luce della sua politica. Come dimostrerà che nessun sentimento neonazista alberga nella sua anima?

Luciano Canfora andrà a processo il 7 ottobre per diffamazione aggravata nei confronti di Giorgia Meloni per aver sostenuto, durante una conferenza nel 2022, che è “neonazista nell’anima”. Come potrà l’attuale presidente del Consiglio dei Ministri dimostrare che nessun sentimento neonazista alberghi nel profondo della sua psiche? Canta infatti il salmo 67, e Giorgia non può non conoscere la Bibbia: “L’intimo dell’uomo e il suo cuore: un abisso!”. Esibirà il certificato di quattro o cinque anni di sedute psicoanalitiche, che della sua anima le abbiano dato contezza meno condizionata da rimozioni? O si impegnerà solennemente a farle, quattro o cinque volte a settimana, con una molto ma molto brava (o uno, naturalmente)?
Che un tale processo si faccia è di per sé un obbrobrio. Quando Canfora ha esposto la sua opinione, l’11 aprile 2022, Giorgia Meloni era capo dell’opposizione ma nei sondaggi era ormai prossimo capo del governo. E in una democrazia anche mediocremente funzionante chi ha un tale potere non porta in tribunale nessuno per un’opinione che reputa offensiva, e una volta a capo del governo la ritira, sarebbe ovvio fair play. Ma il modello di democrazia di Giorgia Meloni è Viktor Orbán (o è passibile di diffamazione aggravata anche questa opinione, diffusissima in Italia e nel mondo?).
Forse è meglio così. Dovranno pronunciarsi i giudici, e così vedremo se c’è un giudice non solo a Berlino. Vedremo fino a che punto in Italia prevale la Legge o prevale il Potere. Perché a giudicare sine ira et studio non c’è storia. Valga il vero.
L’articolo 595 del Codice Penale stabilisce che chi “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno”. Se poi l’offesa “consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni”. A leggerlo così, nudo e crudo, fa venire i brividi, perché saremmo tutti passibili di galera.
In realtà la legge stabilisce che ciò non vale per il diritto di cronaca e il diritto di critica. E la Cassazione ha stabilito (16 febbraio 2011, Sezione V), che non ogni espressione “forte” e “pungente” è idonea a configurare penale responsabilità, essendo richiesta ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione un’obiettiva capacità offensiva della comunicazione, a prescindere dalla sensibilità del soggetto passivo. Inoltre numerose sentenze, fino alla Cassazione, hanno sottolineato che il diritto di critica è tanto più tutelato quanto l’oggetto della critica è persona che gode di potere e visibilità pubblica.
Ora, come si può negare che sia “neonazista nell’anima” una persona che dirige da anni un partito che affonda e rivendica le sue radici nel Movimento Sociale Italiano, fondato da gerarchi della Repubblica Sociale, i repubblichini di Salò, sodali e scherani della forze naziste che controllavano l’Italia del nord? E che continua a riferirsi ad Almirante come la luce della sua politica, quell’Almirante riconosciuto con sentenza definitiva, aprile 1978, “fucilatore di partigiani” proprio da gerarca repubblichino coi nazisti?
Al difensore di Luciano Canfora mi permetto comunque di suggerire la lettura di due letterariamente penosi ma istruttivi romanzi di Pietrangelo Buttafuoco, “Le uova del Drago” e “I cinque funerali della signora Göring”. Nel primo l’eroina è una bionda paracadutista delle Ss, lanciata, nella Sicilia liberata dalle truppe anglo-americane, per unire fascisti, islamici odiatori dell’Occidente e altri bei tomi, e compiere attentati. Gli anglo-americani sono la feccia della terra, i partigiani i lacchè della feccia della terra, e per nazisti e fascisti è tutto un ditirambo.
Il secondo costituisce, nelle parole di un recensore assai simpatetico, “un monumento di pietas meditata e dolente al superbo dèmone nazi Hermann Göring e alla sua adorata prima moglie, la baronessa svedese Carin von Fock, bionda dea ariana all’ombra della svastika”. Göring, per chi non lo ricordasse, era il vice Hitler, e Buttafuoco gli riserva violini, incenso e apologia di ogni risma.
Pietrangelo Buttafuoco, che non sarà neonazista nell’animo ma certo è filonazista in due suoi romanzi, è stato nominato dal governo Meloni presidente della Biennale di Venezia. A insaputa dell’anima di Giorgia?

Tratto da: micromega.net

Foto © Imagoeconomica

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di Saverio Lodato

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