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mattarella sergio c ansa 2016di Marco Travaglio - 25 febbraio 2015
E pensare che cominciava a starci simpatico, Sergio Mattarella. La scena delle delegazioni dei partiti che salgono al Quirinale per consultarlo sulle riforme “condivise” votate nottetempo dal Pd e basta, e della sua sfinge che le osserva impassibile, marmorea, senza tradire la minima emozione, come priva di circolazione sanguigna, costringendole a compulsare eventuali, impercettibili vibrazioni sopraccigliari per arguirne un eventuale pensiero, è davvero avvincente dopo nove anni di logorrea monitoria. Il silenzio tombale sull’Aventinuccio delle opposizioni contro la riforma costituzionale è uno splendido contrappasso ai moniti di Re Giorgio, che per molto meno avrebbe già intimato loro di smettere immantinente di opporsi.
E che dire delle acrobazie imposte ai quirinalisti corazzieri, ieri spalmati sul Napolitano giocatore per sostenere che faceva benissimo a impicciarsi sempre di tutto, e ora sdraiati sul Mattarella arbitro per argomentare che fa benissimo a non interferire. Anche la scelta dei mezzi di locomozione, dai voli di linea ai pedibus calcantibus, dal Frecciargento alla tramvia fiorentina con bandiera tricolore appiccicata alle spalle, è la messa in mora di questa casta imparruccata che considera le usanze dei cittadini comuni una diminutio, ai limiti della lesa maestà. Poi purtroppo ieri, dopo tre settimane di letargo, Mattarella ha parlato. Gli è scappato un monito. E ha subito fatto rimpiangere quando taceva. “Il magistrato – ha detto alla scuola delle toghe a Scandicci – non dev’essere né protagonista assoluto nel processo né burocratico amministratore di giustizia”. E così, invece di ricordare al governo che la legge sulla responsabilità civile dei giudici è incostituzionale perché cancella l’udienza-filtro sui ricorsi dei cittadini (l’ha detto la Consulta di cui fino al mese scorso lui stesso faceva parte), anche lui ha reso omaggio a un totem che ci portiamo appresso da vent’anni: la lagna sul “protagonismo” che chiunque passi per la strada (specie se ha la coda di paglia) si sente in dovere di lanciare ai magistrati che finiscono sui giornali per parole, processi o indagini. Una giaculatoria così stantia, tediosa e distante dalla realtà di un Paese fondato sull’illegalità di massa (soprattutto dei colletti bianchi), che persino Piero Grasso s’è sentito in dovere di replicare: “A volte il protagonismo viene da sé, per le cose importanti che fai. La gente deve sapere quando fai cose utili e importanti per la società”. Siccome Mattarella è uomo riflessivo – i turiferari che l’hanno scoperto un mese fa ci hanno rivelato che “pensa prima di parlare”, anzi addirittura “parla solo quando vuole lui” – forse risponderà a questa domanda: ma che senso ha dire che i “magistrati non devono essere protagonisti assoluti nel processo”? Persino Monsieur de La Palisse, che un quarto d’ora prima di morire era ancora vivo, troverebbe la frase troppo ovvia o troppo inquietante. Se vuol dire che nel processo ci sono anche gli avvocati, gli imputati, i testimoni, le parti civili e i cancellieri, grazie tante: ma non s’è mai visto un processo senza queste figure, anche perché sarebbe nullo (a parte l’udienza al Quirinale dove fu sentito Napolitano senza gli imputati perché il teste non li gradiva). Se invece intende che i magistrati non devono parlare, è una violazione dell’art. 21 della Costituzione (salvo che rivelino segreti d’indagine o anticipino sentenze, ma lì i codici e il Csm li sanzionano).

Se infine la frase significa che i magistrati non devono far parlare di sé, è insensata (se uno parla di me o no, dipende da lui, non da me). Oppure è incoerente con l’invito a non diventare burocrati. È dei burocrati, che fanno il proprio compitino (se lo fanno) senza disturbare nessuno, che non si parla mai. Si parla invece dei magistrati che si occupano dei potenti, e meno male: è proprio nell’anonimato che si nascondono le toghe corrotte, colluse, conniventi e nullafacenti. Qualcuno aveva mai sentito parlare del giudice Vittorio Metta, che alla fine degli anni 80 si vendeva le sentenze a Previti & B. senza mai parlare né far parlare di sé? No, negli stessi anni si parlava molto di Falcone e Borsellino, che per le loro inchieste o interviste erano spesso in tv e in prima pagina. Giudici protagonisti anche loro?

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 25 febbraio 2015

Fotogramma originale © Ansa

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