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Il Presidente dell'Associazione tra i Familiari delle Vittime dei Gerogofili

Trent'anni. Sono gli anni di latitanza di Matteo Messina Denaro, il cui arresto suscita mezioni contrastanti per chi, a causa di quella mente, ha perso affetti e ancora ne soffre. Uno di questi ne rappresenta molti, si chiama Luigi Dainellilo zio di Nadia e Caterina Nencioni, le bambine rimaste uccise assieme ai genitori per colpa dall’esplosione di un’autobomba, un furgone Fiat Fiorino, alle 1.04 del 27 maggio 1993, in via dei Gerogofili. Oggi è il presidente dell'Associazione tra i Familiari delle Vittime ed ha raccolto il testimone da Giovanna Maggiani Chelli (deceduta nel 2019).
Quella strage lasciò uno squarcio insanabile nella vita di Luigi Dainelli, di tutti gli altri familiari e nella storia di Firenze; una strage che, come quelle di Milano e Roma, aveva come suo ideatore il boss Giuseppe Graviano e proprio Messina Denaro.
Almeno questo è emerso dalle sentenze che lo hanno condannato all'ergastolo, come ricordato dal magistrato Nino Di Matteo.
"Sono evidentemente venute meno le coperture di cui godeva ormai da 30 anni e questo ci lascia ben sperare che possano emergere nuove informazioni utili per arrivare alla piena Verità e Giustizia sulla Strage di Firenze".
Queste le impressioni a caldo rilasciate dal presidente Dainelli e affidate a un breve comunicato stampa divulgato dall'Associazione. Raggiunto poi telefonicamente, Dainelli, approfondisce quelle parole, soprattutto alla luce di una semplice considerazione, perché trenta sono anche gli anni (praticamente esatti) passati dall'arresto di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993: una concordanza di tempistiche che non può lasciare indifferenti.
"Non so se sia una casualità il fatto che sia stato arrestato a trent'anni esatti o quasi dall'arresto di Riina. Se la domanda riguarda il motivo per cui l'hanno preso ora, allora le rispondo che da trent'anni lui non si muoveva da lì. Non è che era scappato all'estero, come si diceva, ed è per questo che l'hanno preso solo ora. Lo sapevano dov'era. Avevano arrestato i suoi familiari, parenti stretti, tra cui anche il fratello e una sorella se non ricordo male. Dov'era lo sapevano insomma e l'hanno preso tranquillamente in una clinica privata a Palermo; e lui è andato lì come una persona normale, perché tanto con le protezioni che aveva, non avrebbero permesso gli succedesse nulla. O almeno così è stato finora. Quindi, cosa sia successo adesso e perché l'abbiano finalmente preso, beh quella è una domanda alla quale è difficile rispondere. Non se sia una risposta a livello politico. Però la prima domanda che mi viene in mente è: come mai, dopo trent'anni, ci voleva un governo di destra?".
Ineffetti, il presidente Dainelli non è l'unico a porsi la questione sul perché e su quale possa essere il messaggio politico che emerge da questo arresto. Non si sbilancia ma prova a dare una fisionomia al suo pensiero e a quello che potrebbe siginificare questo arresto nell'immediato futuro.
"Non so qual sia il messaggio politico, come detto. I Carabinieri del Ros sono stati bravi e tutto quello che si vuole. Erano stati bravi anche a prendere Riina, però, nonostante poi gli ufficiali del Ros siano stati in parte assolti, nel processo di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia sono rimaste in sospeso le risposte a certe domande: per esempio, perché non sono entrati subito nel covo di Riina a cercare i documenti che potevano chiarire molti aspetti di quegli anni? Quindi, ci sono dei punti ancora oscuri e sono tanti. Se, grazie all'arresto di Messina Denaro si riesce a scoprire finalmente una verità vera su quello che è successo nel 1993, posso solo che esserne felice e faccio un grosso plauso. Io sarei anche favorevole a concedergli dei benefici carcerari, se parla e si scopre finalmente tutta la verità politica e non solo mafiosa sulla vicenda, se serve per arrivare finalmente a una vera giustizia; perché sappiamo benissimo che quella che noi abbiamo, nonostante 16 ergastoli, non è la completa verità sulle stragi".
Certo, alla luce delle dichiarazioni di Dainelli, fa riflettere che negli ultimi mesi sia parlato a lungo di 41 bis e di ergastolo ostativo: una misura, quest'ultima in particolare, che  l'attuale governo sta difendendo strenuamente e che esclude da benefici come la liberazione condizionale, il lavoro all’esterno, i permessi premio e la semilibertà quegli ergastolani che non collaborano con la giustizia.
"Può darsi che nei prossimi giorni avremo una risposta anche a questo. Per certi ergastoli, come quelli per i mafiosi, io sono d'accordo che debbano stare dentro, come sono favorevole al 41 bis, ma non mescoliamo questo con altro. Non mescoliamo questo, che so, con la situazione di un ex brigatista, che magari viene scarcerato perché dopo anni e anni dice e viene giudicato essere una persona diversa rispetto al passato, perché quelle persone non hanno alle spalle delle organizzazioni che hanno continuato a esistere come sono quelle mafiose. Un mafioso se esce fuori, praticamente può rientrare in una situazione precedete a quella che ha lasciato, quando era stato mandato in prigione, per cui non sono benevolo: io voglio l'ergastolo completo. Fine pena mai come per noi fine dolore mai. Però, ripeto, se qualche beneficio può servire per far emergere determinate verità allora, credo ci debba riflettere". 

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