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"Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie a un’attività investigativa pura, classica".
Lo hanno affermato i carabinieri e lo hanno garantito più volte i magistrati della Procura di Palermo. 
Tutto sarebbe partito da un'intuizione, seguendo comunque una segnalazione sullo stato di salute del boss colpito da un tumore. 
Poi c'erano quelle intercettazioni telefoniche con i familiari che insistentemente avevano iniziato a fare discorsi su "persone ammalate di tumore" e su "interventi chirurgici". 
Gli investigatori annotavano tutto. Anche le ricerche che venivano compiute sui motori di ricerca come Google. Dal morbo di Crohn al tumore al fegato, la cerchia ristretta del boss cercava informazioni di vario tipo.
L'accelerazione sarebbe avvenuta negli ultimi tre mesi. Una tempistica coincidente con il riferimento che fu fatto in televisione da Salvatore Baiardo, il gelataio piemontese di origini siciliane che all’inizio degli anni Novanta gestì la latitanza dei fratelli stragisti Giuseppe e Filippo Graviano.
Nella puntata di Non è l'Arena, andata in onda lo scorso novembre, disse chiaramente che il boss di Castelvetrano era malato e che avrebbe potuto "farsi arrestare". 

La partita dell'ergastolo ostativo
Quell'intervista, effettuata dal conduttore Massimo Giletti, era stata girata nei giorni precedenti la sentenza della Corte costituzionale che si doveva occupare di ergastolo ostativo, cioè dell’articolo 4 bis che vieta ai boss mafiosi di uscire dal carcere senza collaborare con la giustizia. 
In quel colloquio che lo stesso Baiardo definiva "un pour-parler tra me e Giletti e qualche milione di telespettatori”, il gelataio di Omega addirittura faceva riferimento ad una possibile trattativa ("Potrebbe succedere come una vecchia trattativa che già era stata fatta nel 1993”) e poi aggiungeva: "Quando lo Stato deciderà di volerlo prendere lo prenderà. (…) Presumo che sia una resa sua (…) tutti cambiamo in 30 anni. (…) Posso dire che è una brava persona (…) io posso giudicare il comportamento che hanno avuto nei miei confronti, sono degne persone".


biardo giletti la7


Come è noto lo scorso 8 novembre la Corte costituzionale non è entrata nel merito decidendo di restituire gli atti alla Cassazione per "verificare gli effetti della normativa sopravvenuta (quella approvata dall'attuale governo, ndr) sulla rilevanza delle questioni sollevate, nonché procedere a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza”.
Di fatto, dunque, resta da verificare se siano ancora presenti o meno i profili di incostituzionalità che avevano dato origine al ricorso. Se i giudici di Cassazione optassero per portare di nuovo la questione alla Corte costituzionale, questa dovrebbe valutare la conformità anche della nuova normativa. 
Questo significa che sull'ergastolo ostativo la partita è ancora in corso. 
Baiardo si augura che l'ergastolo ostativo sia abrogato, in particolare per i boss di Brancaccio, Filippo e Giuseppe Graviano. 
Mentre il primo ha recentemente chiesto (ricevendo risposta negativa) la revoca del 41 bis il secondo è sotto processo a Reggio Calabria nel processo 'Ndrangheta stragista. In quella sede, ma anche successivamente ai magistrati di Firenze che indagano sui mandanti esterni, ha detto di aver avuto rapporti con Silvio Berlusconi negli anni ’80 e ’90 fino al suo arresto (circostanze al momento non riscontrate e sempre smentite dai legali dell'ex Premier e fondatore di Forza Italia). 
Ieri, giorno dell'arresto di Matteo Messina Denaro quella "profezia" di Baiardo è prepotentemente tornata alla ribalta. 
Giletti chiedeva a lui in maniera diretta: "Lei mi sta dicendo che siccome non sta bene… questo potrebbe essere un colpo molto forte per il nuovo governo…”
E Baiardo rispondeva: “È un fiore all’occhiello (…) può essere un… come si dice, un bel regalino”
“Questo vuol dire – proseguiva Giletti – (…) che qualcuno potrebbe dare delle indicazioni, come vennero date per la cattura di Totò Riina. (…) Lei mi sta raccontando uno scenario che potrebbe realizzarsi da qui a poco”. E Baiardo citava quel che era successo con Riina nel 1993. 


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Le parole di Paolo Guido
Ieri, a latere della conferenza stampa, il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido, rispondendo alle domande dei giornalisti presenti, ha sentenziato: "Posso garantire che Messina Denaro è stato catturato grazie a un’attività investigativa pura, classica. Abbiamo lavorato sui dati, fuori dalla Sicilia, lontano dalla clinica. In assoluta riservatezza siamo arrivati ad avere la data in cui un soggetto, che nominalmente risultava essere Andrea Bonafede ma che Andrea Bonafede non era"
E poi ancora: "Gli elementi che abbiamo acquisito sono affidabili e arrivano da un contesto graniticamente mafioso, geneticamente mafioso, che non tradirebbe mai"
Più che eventuali soffiate, dunque, gli spunti più rilevanti sarebbero arrivati dalle intercettazioni. 
In questi tre mesi i suoi presunti favoreggiatori intercettati e pedinati da tempo fra Castelvetrano e Campobello non hanno detto mai nulla, o non hanno compiuto passi falsi. Solo i familiari continuavano a parlare di malattie e di persone che si sono operate.
Da quelle informazioni, anche criptate, gli investigatori hanno potuto tracciare un identikit clinico e si sono messi alla ricerca di un soggetto che aveva scoperto metastasi al fegato e che, per questo, era sottoposto a chemioterapia.
Cercando sui database sanitari nazionali e siciliani. Si è giunti così al nome di Andrea Bonafede. 
Quel soggetto viene cerchiato in rosso nel momento che risulta essere nipote di uno dei più fidati collaboratori di Messina Denaro. 
Sono state acquisite le cartelle cliniche ed è stata ricostruita la "vita" ospedaliera degli ultimi due anni. Parallelamente è emerso dai tabulati telefonici ed altre registrazioni che Bonafede non si era mai mosso dal trapanese nei giorni dove, secondo la sua storia sanitaria, veniva operato o si trovava in chemioterapia. 
A quel punto per gli investigatori c'era il sospetto che il soggetto che veniva alla clinica Maddalena di Palermo fosse un'altra persona. Non uno qualunque, ma Matteo Messina Denaro. Un sospetto prima divenuto speranza e poi certezza, ieri mattina. 
E le parole di Baiardo? Una coincidenza, forse. Inquietante per molti aspetti. 
Senza nulla togliere alla brillante operazione di polizia giudiziaria che ha messo fine alla latitanza del boss che detiene i segreti sulle stragi di Stato, colpisce la tempistica del dibattito attuale sulle normative antimafia. Non solo l'ergastolo ostativo, ma il 41 bis. Due argomenti che a Cosa nostra stavano a cuore dai tempi del "papello" di Riina. 

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