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“Lo Stato non abbia paura di fare domande e ascoltare risposte. L’arresto? Darà uno scossone. Letale pensare che ora la mafia sia sconfitta”

Se Matteo Messina Denaro si può pentire? Non lo so. Auspico che, se decidesse di parlare, lo faccia pienamente. Ma anche lo Stato deve fare la sua parte senza avere paura di fare domande e di ascoltare risposte come avvenuto in passato. Messina Denaro non deve aggiungere qualche tassello sulle stragi ma farci capire chi ha voluto gettare nel panico un Paese, con finalità terroristiche”. A dirlo è il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, intervistato dal quotidiano La Stampa sullo storico arresto, avvenuto ieri per mano della Procura di Palermo e dei Carabinieri del Ros, del capo mafia di Castelvetrano Matteo Messina Denaro.
Oggi è una giornata importante per la lotta alla mafia”, ha commentato Di Matteo. “Viene posta la parola fine alla latitanza di un uomo che è stato condannato definitivamente per le stragi del '92 e '93 e altri delitti gravissimi. Un boss crudele”. Tuttavia il magistrato ha subito sottolineato che “sarebbe letale pensare che lo Stato abbia sconfitto Cosa Nostra” con la sua cattura. “È un madornale errore pensare che con l'arresto del boss Matteo Messina Denaro, la mafia sia finita”. Anzi, “la mafia ha ancora la forza per tornare ad attaccare il cuore del nostro Paese”, ha avvertito il magistrato palermitano, già Sostituto procuratore di Palermo.
Secondo Di Matteo, “lo Stato avrà davvero vinto quando avrà approfondito e fatto chiarezza sul come e sul perché sia stata possibile una latitanza così lunga nonostante l'impegno di migliaia di agenti delle forze dell'ordine e di decine di magistrati”. Di fatti, a detta di Di Matteo e altri pm, “è assai probabile che la sua latitanza non sia dovuta solo all'abilità del fuggiasco ma anche alle protezioni di cui ha goduto. Proprio ieri in una sentenza della Corte di Assise di Palermo - ha ricordato il consigliere del Csm - a proposito della trattativa Stato-mafia che ha condannato i boss e assolto gli apparati dello Stato, è scritto che per un certo periodo gli alti funzionari del Vecchio Ros avevano coperto Provenzano per interesse nazionale in modo che potesse consolidare la leadership moderata rispetto all'ala stragista. Insomma ci sono sempre state coperture istituzionali. E fino a quando non si chiariranno le coperture e le complicità, allora come ora, non potremo dire di avere vinto”.
Di Matteo ha anche commentato le parole, quasi profetiche, pronunciate solo un paio di mesi fa da Salvatore Baiardo, l’uomo che curò la latitanza di Giuseppe Graviano, al giornalista Massimo Giletti il quale aveva riferito che il boss stragista era malato e che avrebbe potuto farsi arrestare concedendo alla mafia, come cambiale, l'abolizione dell'ergastolo ostativo.
Avevo già notato allora la precisione del suo racconto”, ha affermato Di Matteo. “Ora si deve fare il possibile per capire come abbia potuto prevedere tutto questo. E soprattutto come e attraverso chi aveva saputo delle condizioni di salute di Messina Denaro”.
Quindi il magistrato si è concentrato nell’inquadrare chi fosse Messina Denaro, e quale fosse e qual è tuttora la sua importanza in Cosa Nostra. “U siccu” “era il vero successore di Totò Riina. E’ stato un capo particolare. Ha incarnato lo spirito corleonese. È cresciuto con l'esempio del padre Ciccio Messina Denaro ed è stato il preferito, fin da ragazzo, di Riina, ma ha saputo traghettare Cosa Nostra nel nuovo millennio. Ha una storia diversa rispetto ai boss storici. Ha frequentato ambienti nuovi, ha avuto relazioni con donne straniere. Non era il capomafia che ha sempre vissuto nei casolari dell'entroterra siciliano. Ha utilizzato la tecnologia per comunicare, non solo pizzini. Ha aperto le frontiere nuove per investire fuori dalla Sicilia”. Inoltre, ha ricordato Di Matteo, “ha avuto un ruolo centrale, non solo operativo ma strategico negli attentati a Falcone e Borsellino. Per fare un esempio: indicò i monumenti da colpire. Era frutto solo delle sue conoscenze o aveva dei suggeritori?”. La sua forza è stata la sua qualifica di “custode di tanti segreti”. Anche dell'agenda rossa di Borsellino e dell'archivio di Riina. “Non si tratta di congetture, ma considerazioni fatte in un certo periodo dai boss e riferite dal pentito Nino Giuffrè, che è stato al vertice di Cosa Nostra. Giuffrè ha sostenuto che Messina Denaro avrebbe utilizzato l'agenda rossa e l'archivio di Riina come arma di pressione e ricatto all'interno e all'esterno di Cosa Nostra”. Ora che è finito in cella probabilmente ci sarà “uno scossone che creerà un assestamento attorno a nuovo equilibri, non solo nella mafia siciliana”, sostiene il consigliere del Csm.
Parlando, invece, dell’ergastolo ostativo - una delle misure più efficaci contro la mafia che il governo Meloni  è riuscito a tenere in vita dopo il tentativo sconsiderato del governo Draghi di smantellarlo - Di Matteo ha dichiarato che “l’abolizione dell'ergastolo ostativo è uno degli obiettivi primari di Cosa Nostra. Il fine pena mai è stato uno dei motivi delle stragi e dei ricatti. Il decreto di questo governo ha evitato che, dopo le sentenze europee e della nostra Consulta, l'abrogazione possa accadere facilmente ma non lo ha escluso in via definitiva”.
E alla domanda se questo è un governo che si impegnerà a fondo nella lotta alla mafia, il magistrato ha risposto: “Lo vedremo dai fatti. Me lo auguro. Non posso però non ricordare che di questo governo fa parte un partito, Forza Italia, fondato anche da Marcello Dell'Utri, condannato in via definitiva per mafia e che, lo dice la stessa sentenza definitiva, il suo leader (Silvio Berlusconi, ndr) ha avuto per anni rapporti economici con uomini di Cosa Nostra protagonisti del periodo stragista”.

Foto © Paolo Bassani

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