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dali antonio c ansaDepositate motivazioni sentenza che annulla verdetto appello
di Aaron Pettinari
I giudici della corte d'appello di Palermo hanno "illogicamente ed immotivatamente svalutato il sostegno elettorale di Cosa Nostra a D'Alì”. Con queste parole i giudici della Corte di Cassazione hanno motivato la sentenza con cui lo scorso gennaio hanno annullato il verdetto di secondo grado a carico dell’ex sottosegretario all’interno Antonio D’Alì, accusato di concorso in associazione mafiosa.
Gli ermellini hanno espresso un pesantissimo giudizio parlando di sentenza con “cadute logiche” che compie “un’illogica cesura” tra le condotte contestate all'imputato.
L'ex senatore era stato assolto dalla corte d'appello del capoluogo siciliano per le imputazioni relative ai fatti successivi al 1994, i giudici avevano poi dichiarato prescritte le accuse inerenti al periodo precedente a quell'anno.
"Rispetto alla gravità di tali condotte, - scrive il collegio presieduto da Paolo Antonio Bruno nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi - non appare logico operare una cesura netta tra i due periodi e non attribuire alcun rilievo postumo alla vicinanza (di D'Alì ndr) a personaggi di primissimo piano nel panorama mafioso ed all'asservimento ad operazioni immobiliari ed economiche funzionali agli interessi della cosca che possono dirsi accertati".
Il riferimento è al fatto accertato in sede processuale che D'Alì abbia "svolto attività a beneficio del massimo esponente di Cosa Nostra del tempo, Salvatore Riina, nel contempo godendo della fiducia della consorteria. Tale attività era consistita nell'intestazione fittizia di un terreno in realtà trasferito molto tempo prima ad un esponente di primo piano di Cosa Nostra che non poteva figurare quale intestatario per timore di confische; D'Alì si era prestato, prima, a mantenere la titolarità formale del terreno nonostante l'avvenuto trasferimento al mafioso e l'incasso sotto banco del prezzo e, poi, anni dopo rispetto al trasferimento di fatto, alla formalizzazione della compravendita nei riguardi di un prestanome, ricevendo il pagamento ufficiale di parte del prezzo in assegni e restituendolo in contanti, con un'utilità della cosca anche in termini di riciclaggio".
"Si dubita della logicità del ragionamento della Corte palermitana - si legge nelle motivazioni - nel momento in cui non prende una posizione netta sulla rilevanza al supporto elettorale fornito da Cosa Nostra a D'Alì non solo nel 1994, ma anche a quello ricevuto nel 2001. La Corte non ha spiegato, infatti, se ed in che termini il rinnovato appoggio del 2001 sia stato ritenuto dimostrato e le ragioni per cui esso non avesse un significato contra reo sia come concretizzazione di un accordo politico mafioso, sia in termini di dimostrazione della persistente vicinanza dell'imputato alla cosca - a dispetto degli anni trascorsi dall'ultimo sostegno - e dell'utilità di quest'ultima ad appoggiarlo nuovamente". Secondo la Cassazione, gli elementi raccolti evidenzierebbero "un atteggiamento (dell'imputato ndr) non solo di per sé incompatibile con l'osservanza dei doveri istituzionali di un senatore e sottosegretario, ma altresì sintonico con la vicinanza ed il 'debito' che gravava sull'imputato nei confronti della consorteria che l'aveva sostenuto". "Si tratta di profili che l'approccio settoriale prescelto dalla corte d'appello - dice la Cassazione - non ha permesso di sceverare adeguatamente e logicamente nel suo complesso e che comunque la corte, negando la rinnovazione dell'istruttoria, non ha consentito di approfondire come sarebbe stato necessario". Infine, per i Supremi giudici, il fatto che l'ex sottosegretario a gennaio del 1994 abbia terminato di "ridare" il denaro a Cosa nostra non può essere ritenuto uno spartiacque tra i rapporti provati con le cosche e la cessazione degli stessi.
Immediatamente la difesa di D’Alì, rappresentata dagli avvocati Gino Bosco e Stefano Pellegrino, ha espresso un parere negativo parlando di “motivazioni infelici” con “improprie valutazioni di merito che risultano ovviamente parziali”. Quindi hanno evidenziato come la Corte abbia comunque “messo dei paletti alla eventuale nuova attività istruttoria da compiersi in sede di appello, dichiarando inammissibili le richieste di integrazioni istruttorie avanzate dal PG al riguardo del teste Treppiedi e della vicenda di Linares, articolate nel ricorso per Cassazione dello stesso PG".

Foto © Ansa

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