Il pm: “Dichiarazioni contrarie a realtà dei fatti”
di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
Siamo alle solite. Ogni volta che il sostituto procuratore nazionale antimafia Antonino Di Matteo interviene a qualche dibattito si solleva il ripetitivo vespaio di polemiche. Al “solito noto”, Vittorio Sgarbi, stavolta si è aggiunto anche l'ex direttore di Panorama, attuale deputato di Forza Italia, Giorgio Mulè.
Un vero e proprio intervento a gamba tesa contro le parole del magistrato, intervenuto sabato durante la seconda edizione di “Sum#02-Capire il futuro”, organizzato dall'associazione Gianroberto Casaleggio ad Ivrea. Per il parlamentare quello del magistrato è stato un “comizio”, “un monologo sconvolgente, che avrebbe dovuto già provocare una sollevazione in tutti coloro che hanno a cuore lo stato di diritto in Italia”. Quindi ha di fatto invocato l’opportunità di sanzioni disciplinari o interventi di Csm (Consiglio superiore della magistratura) ed Anm (Associazione nazionale magistrati).
Ma l’accusa di Mulè si è fatta ancora più aspra nel momento in cui, in barba a quanto scritto in sentenze definitive, si è voluto ergere a difensore dell’ex premier, già pregiudicato, Silvio Berlusconi.
Ed è questa la nota dolente, ed il motivo per cui l’intervento di Di Matteo ha dato fastidio. C’è una ferma volontà a non ricordare (“Patto del Nazareno” docet) quei fatti che sono stati accertati e sanciti dalla Cassazione. Così ogni qualvolta si ricordano le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di Marcello Dell’Utri laddove viene messo nero su bianco che per diciotto anni dal '74 al '92, l'ex senatore è stato il garante dell’accordo tra l’allora imprenditore Berlusconi e la mafia per proteggere interessi economici e i suoi familiari e “la sistematicità nell'erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell'Utri a Cinà (Gaetano Cinà, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all'accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra” si grida allo scandalo. In quella sentenza i giudici mettevano anche in rilievo come “il perdurante rapporto di Dell'Utri con l'associazione mafiosa anche nel periodo in cui lavorava per Filippo Rapisarda e la sua costante proiezione verso gli interessi dell'amico imprenditore Berlusconi veniva logicamente desunto dai giudici territoriali anche dall'incontro, avvenuto nei primi mesi del 1980, a Parigi, tra l'imputato, Bontade e Teresi, incontro nel corso del quale Dell'Utri chiedeva ai due esponenti mafiosi 20 miliardi di lire per l'acquisto di film per Canale 5”.
Antonino Di Matteo
Ancor più sibillinamente Mulè ha voluto ricordare che “non sono affatto rari i casi di macroscopici errori commessi dalla Cassazione”. E poi ancora: “Lui (Di Matteo, ndr) ne è diretto testimone avendo partecipato e avallato l'inchiesta che portò alla condanna definitiva in Cassazione all'ergastolo di nove innocenti per la strage di via d'Amelio”.
Immediata è arrivata la replica dello stesso Di Matteo a ristabilire la verità dei fatti rispetto all’ultima accusa: “Ciascuno è libero di criticare il contenuto delle mie riflessioni, ma dovrebbe avere l'onestà intellettuale di non utilizzare, nel tentativo di screditare il mio lavoro di magistrato, dati che non corrispondono a quelli reali. Nell'unico processo per l'attentato di via d'Amelio che ho seguito fin dalla fase delle indagini sono intervenute 24 condanne definitive per strage che non sono mai state messe in discussione. In un altro precedente processo del quale mi ero occupato solo nell'ultima fase dibattimentale io stesso avevo chiesto l'assoluzione di molti degli imputati la cui condanna è stata oggetto di revisione”.
Nella sua invettiva Mulè ha concluso dicendo: “Sia chiaro: ad essere in pericolo non è il garantismo, ma le stesse radici della convivenza civile".
A ben guardare a stravolgere il senso dello Stato di diritto sono le mistificazioni di tanti “benpensanti” che preferiscono scientemente di “non guardare” i fatti.
E a peggiorare lo scenario ci si mette proprio quella politica che in Italia occupa ogni spazio spingendosi a promulgare leggi che all’interesse di tutti i cittadini antepone quello di pochi. Quella politica che insiste nell’intento di cambiare la Costituzione (in barba dal risultato del referendum del 2016). Non c’è ancora un governo e sono già 39 le proposte di legge che vorrebbero intervenire sulla Carta fondamentale.
Commentare la correttezza o meno di una riforma della giustizia, di una legge, o denunciare l’esistenza di quella metastasi chiamata corruzione non è un attacco “alle radici della convivenza civile”.
Quanto detto da Di Matteo ad Ivrea non interferisce né sui processi in corso né in quelli che verranno e rientra pienamente nel diritto di manifestare il proprio pensiero e di partecipare alla vita pubblica, proprio di ogni cittadino. I lettori possono ascoltare quelle parole, senza filtri. Un richiamo a tutta quella politica “cialtrona” che scientemente ha messo da parte in questi anni la lotta alla mafia ed alla corruzione.
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