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Categoria: Inchieste
Editore: Terra Nuova Edizioni
Pagine: 212
Prezzo: € 10,00
ISBN: 9788866810049
Anno: 2012

Visite: 1834

Recensione

Si va diffondendo sempre di più la consapevolezza che l’attuale modello di sviluppo sia incompatibile con i limiti fisici della Terra. Sappiamo di non poter continuare a inquinare come facciamo ora e che non riusciremo a soddisfare per sempre la nostra fame di materie prime ed energia. Fino ad oggi abbiamo usato il petrolio e altri combustibili fossili come se fossero fonti inesauribili, sviluppando un sistema agro-alimentare che per ogni caloria di cibo prodotta consuma circa dieci calorie di energia.
Passare a una produzione agricola biologica potrebbe contribuire a riequilibrare il bilancio energetico, dato che la produzione di fertilizzanti e pesticidi di sintesi richiede elevate quantità di energia fossile. Tuttavia, neanche l’agricoltura biologica convenzionale è in grado di ridurre in modo significativo la dipendenza del sistema agro-alimentare dalle macchine agricole e dalla logistica dei trasporti. Dunque, anche con la conversione al biologico di tutta l’agricoltura, la filiera che dai campi porta il cibo sulle nostre tavole continuerebbe a consumare più energia di quanta ne produce sotto forma di calorie alimentari.
Risultati migliori si avrebbero con il ritorno all’agricoltura di sussistenza, in grado di produrre dieci calorie alimentari per ogni caloria spesa nei campi. In questo caso, però, l’energia immessa nel sistema sarebbe costituita principalmente da quella muscolare dell’agricoltore e degli animali da tiro: uno scenario che risveglia in noi il timore che la sola scelta possibile sia tra uno stile di vita basato su elevati consumi e un’esistenza di fatica e sudore.
La buona notizia è che esiste una terza possibilità: la permacultura.
La permacultura integra idee e pratiche prese in prestito da molte altre discipline. In alcuni casi si tratta di pratiche agricole tradizionali, in altre di tecniche e applicazioni derivate da ricerche e studi scientifici molto recenti. L’unicità della permacultura risiede nel proporre un modello derivato dall’osservazione degli ecosistemi, ovvero delle comunità spontanee di piante e organismi animali, così come possono essere un bosco, una prateria, uno stagno o una palude.
Immaginate di trovarvi in una foresta. Il sole filtra tra le chiome degli alberi più alti, poco più sotto si incontrano le piante più giovani, gli arbusti grandi e piccoli. Procedendo sempre verso il basso troviamo lo strato di vegetazione costituito da rampicanti, che occupano gli spazi verticali, piante erbacee a taglia bassa, e poi muschi, tartufi e funghi che si sviluppano prevalentemente nei primi strati del terreno. Questa variegata stratificazione fa sì che la produzione di sostanza organica per unità di superficie sia enormemente superiore rispetto a quella che si riscontra, per esempio, in un campo di grano, dove troviamo un unico strato di piante, alte circa cinquanta centimetri.
Se questa nostra foresta fosse composta interamente da piante alimentari, quanta abbondanza ci sarebbe! Quanta ricchezza in più, rispetto a un campo di cereali! Eppure, per produrre tale quantità di biomassa, il bosco utilizza solo il sole, la pioggia e il terreno su cui cresce. A confronto, il campo di grano è piuttosto problematico: necessita di arature e lavorazioni, semine e concimazioni, diserbo e trattamenti contro i parassiti: tutti interventi che richiedono un grande dispendio di energia, sia sotto forma di lavoro fisico, sia come combustibili fossili.
Se fossimo in grado di creare un ecosistema che funziona come un bosco - ma con piante a uso alimentare - tutto quel petrolio non servirebbe più.

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