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2 aprile 1985, ore 8:35.
Un'autobomba esplode a Pizzolungo, vicino Trapani. Il bersaglio dell'attentato, il giudice Carlo Palermo, è vivo per miracolo. A fargli da scudo è l'automobile di Barbara Asta, che sta accompagnando a scuola i due figli di sei anni, Giuseppe e Salvatore. Dei loro corpi non resta quasi niente. Su quella macchina avrebbe dovuto esserci anche l'altra figlia Margherita, che quel giorno ha 10 anni. Ma i suoi fratellini non ne volevano sapere di vestirsi e, per non fare tardi, ha chiesto il passaggio ad un'amica. Anche lei da quel momento è una sopravvissuta. Quando ha saputo il nome di quel giudice, Margherita ha pensato che fosse colpa sua se la sua famiglia era stata disintegrata. Ma crescendo ha voluto capire, ha voluto saperne di più sui mandanti della strage. Il suo strazio non poteva rimanere un fatto privato. Oggi è un'attivista di Libera, combatte la mafia raccontando la storia di quelle vittime innocenti. Il giudice Palermo, invece, per le conseguenze di quell'attentato e le continue minacce ha lasciato la magistratura. Sono riusciti ad incontrarsi solo molti anni dopo, ricomponendo in un abbraccio i frammenti del loro destino.