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coltellate coltellodi Davide Milosa
Nelle motivazioni della sentenza sull'omicidio di Ernesto Albanese, il racconto di un'esecuzione di "rara crudeltà" con la morte sopraggiunta per "stillicidio ematico"

Non solo un omicidio ma “una condanna a morte di rara crudeltà”. Di più: “L’agonia fu molto lunga in quanto i numerosi fendenti non colpirono organi vitali e la morte sopraggiunse per dissanguamento, morte attesa come una liberazione”. Ancora meglio e più chiaro: la morte, recita il referto dell’autopsia, arrivò “per stillicidio ematico”. A essere assassinato in questo modo è Ernesto Albanese, calabrese di Polistena, malavitoso legato alla ‘ndrangheta lombarda, passeur del traffico di droga in provincia di Como. Muore il 9 giugno 2014. Il suo corpo sarà ritrovato solo a settembre, sepolto nel giardinetto di una villa in costruzione a Guanzate. Sopra alla fossa i killer festeggeranno con una “mangiata” a base di carne alla griglia. Lo uccidono in quattro. Saranno arrestati e condannati: tre ergastoli e una pena a vent’anni di galera. Omicidio di mafia quello commesso in concorso da Rodolfo Locatelli, Andrea Internicola, Francesco Virgato e Luciano Nocera, quest’ultimo con dote ‘ndranghetista ricevuta nel carcere di Como molti anni prima e ora ascoltatissimo collaboratore di giustizia. Agli atti della Dda oggi almeno 18 verbali. Nocera collabora, la magistratura milanese gli crede. Non, però, quella di Como. Le sue spiegazioni per dissociarsi dal fatto non hanno convinto i giudici.

Particolari rispetto alla dinamica dell’omicidio, la più feroce immaginabile, crudele oltre ogni definizione. Questo emerge dalle 70 pagine con cui il giudice del tribunale di Como motiva la sentenza emessa nel settembre scorso. A pagina 15, il quadro dello “stillicidio ematico” diventa chiaro. Poche righe, ma brutali, copiate dal referto autoptico. E’ il racconto senza aggettivi di come la ‘ndrangheta abbia potuto scannare un uomo. Sedici colpi di coltello “ma – annota il giudice – i fendenti potrebbero essere stati molti di più”. Sedici ferite che entrano nella carne. Ecco allora i risultati dell’autopsia: “All’esame le ferite sono: una all’emigabbia toracica anteriore destra, una all’emigabbia posteriore destra, tre all’emigabbia toracica posteriore sinistra, due al polmone destro, una all’emidiaframma destro, tre all’emidiaframma sinistro, due al peritoneo parietale anteriore destro, una alla milza, due allo stomaco”. Ferite non mortali. Per questo “gli aguzzini di Albanese lo video spegnersi lentamente fra atroci sofferenze”. La vittima, sarà ricostruito, andava in giro parlando male di Virgato e su Facebook minacciava i finti mafiosi del Comasco. Nocera, che lo aveva nel suo borsino degli spacciatori, lo aveva scaricato. Albanese, a suo dire, aveva alzato troppo la testa. Alla fine sarà ucciso “con un rituale – scrive il giudice – e con gli assassini che si passano di mano in mano il coltello”.

Sarà Rodolfo Locatelli a prelevare Albanese davanti alla chiesetta di Bulgorello. Lo aggredisce con pugni e colpi di mazze. Lo carica nel bagagliaio e guida fino ai boschi di Guanzate. Qui inizia l’orrore. Racconta tutto lo stesso Locatelli. Primo fotogramma: Nocera con il coltello in mano. Dice: “Come stai maiale”. Secondo fotogramma: il corpo di Albanese sta con il busto fuori dal bagagliaio. “Virgato ha colpito Albanese alle gambe, poi alla schiena, disse che avrebbe dovuto soffrire a lungo. Albanese implorava e gridava chiedendo di smetterla. Virgato lo colpiva sempre più forte”. Pausa. Terzo fotogramma: nei boschi ora c’è solo Locatelli e il corpo di Albanese. “Prima di morire mi aveva chiesto di finirlo e porre termine alle sue sofferenze. Avevo girato il corpo con la faccia in su dopo che lo stesso si era ripiegato su un lato finendo con la faccia nel suo sangue”. Poi un particolare piccolo ma decisivo. Dall’autopsia emerge, infatti, che “nel cavo orale vi era molto materiale terroso”. Scrive il giudice: “Questa circostanza, senza voler pensare all’ipotesi più agghiacciante di un’introduzione forzosa da parte degli assassini, evidenzia quanto lunga sia stata l’agonia: la vittima accasciata e con il volto rivolto verso il suolo respirò per lungo tempo con la bocca a contatto con la terra fino al punto di riempirsene la bocca”.

Da tutto questo Luciano Nocera prende le distanze. Spiega di essere stato portato sul posto senza sapere che Albanese fosse stato sequestrato e di aver assistito all’omicidio suo malgrado. Per i giudici la versione non è credibile. Tutti, infatti, lo indicano come il primo a sferrare il colpo di coltello. Di più: davanti ai pm milanese Nocera spiega: “Come cosa di ‘ndrangheta sono più alto in grado c’ho la Santa, sono della maggiore”. Tanto che, rileva il giudice, l’omicidio inizia solo quando Nocera arriva sul posto. Infine, diversi testimoni spiegano che ben prima del 9 giugno 2014 Nocera aveva “maturato la volontà di ucciderlo”. Insomma, Albanese viene scannato in terra lombarda perché “non stava più osservando i canoni di sobrietà e umiltà che devono contraddistinguere un sottoposto a un ‘ndranghetista superiore in grado”. Conclude il giudice: “Albanese non tributava il giusto rispetto e addirittura osava proferire minacce e insulti”. Omicidio di mafia senza dubbio. Rituale e brutale oltre ogni immaginazione.
(29 dicembre 2015)

ilfattoquotidiano.it

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